Clima, Figueres: "La decarbonizzazione? Conviene a tutti"

Quando si collega via Zoom dalla sua casa in Costa Rica, sullo sfondo, al di là delle vetrate, si vedono tutte le piante tropicali tipiche del Paese del centroamerica. Così, circondata dalla natura, Christiana Figueres risponde alle domande di Sky Tg24 Insider. Lo fa durante i giorni cruciali della COP30 in corso a Belém, in Brasile, e con lo sguardo sempre rivolto al futuro, con ottimismo. Proprio quell’ottimismo di cui ci darà una definizione molto precisa e pratica, in conclusione di questa intervista. Un ottimismo che si basa su decenni di lavoro fatto ai tavoli più importanti della diplomazia climatica. Impossibile riassumere la sua vita professionale in poche righe. Basti pensare però che dal 2010 al 2016 Figueres è stata Segretaria Esecutiva dell’UNFCCC , la convenzione quadro che dal 1992 costituisce le fondamenta di tutta l’azione globale di contrasto ai cambiamenti climatici. Ed è anche una delle artefici, nel 2015, dell’Accordo di Parigi, l’intesa firmata da 195 Paesi che sancisce l’impegno a contenere il riscaldamento globale entro i 2°C, ma idealmente sotto la soglia critica di 1,5°C. Oggi, dieci anni dopo quel momento storico, Figueres riflette sui tanti progressi fatti fin qui e sulla direzione verso cui il mondo sta andando. Una direzione che, secondo lei, è ormai tracciata: è quella della decarbonizzazione, che conviene ai Paesi, alle popolazioni, all’economia. Qual è l'eredità, il valore e il ruolo dell'Accordo di Parigi oggi, dieci anni dopo la sua firma? Dieci anni dopo l’adozione dell’Accordo di Parigi vediamo i risultati di quello che è stato riconosciuto come “l'Effetto Parigi” in molti settori diversi. Per cominciare, dobbiamo notare che prima dell'Accordo di Parigi il mondo era sulla strada di un riscaldamento tra 4 e 6 gradi. Oggi è da qualche parte tra 2,3 e 2,6 gradi, il che è ancora lontano dal tetto di 1,5 che dobbiamo rispettare, ma è molto meglio di 4 o 6. E poi la tecnologia: abbiamo visto un aumento inaspettato, direi addirittura esponenziale, delle tecnologie che possono aiutare ad affrontare il cambiamento climatico. Dieci anni fa l'Agenzia Internazionale dell'Energia aveva previsto che forse le rinnovabili avrebbero iniziato a entrare nel mercato elettrico, negli anni successivi. Oggi le rinnovabili soddisfanno l'80% della crescita della domanda globale di elettricità e l'energia solare si è espansa 15 volte più velocemente di quanto pensassimo fosse possibile dieci anni fa. Per quanto riguarda i veicoli elettrici vediamo una situazione molto simile: dieci anni fa solamente un’auto su cento, nel mondo, era elettrica. Oggi ne abbiamo una su cinque, per non parlare della Cina dove sono molte di più. Pensiamo a quanti posti di lavoro sono stati creati, a quanto è sceso il costo delle rinnovabili, a come sono cambiati i modelli di investimento. Possiamo passare in rassegna molti elementi diversi, la lezione è la stessa: stiamo assistendo all’avvio di una nuova economia nel mondo, sia nel Nord che nel Sud globale. Una nuova economia che si basa su tecnologie pulite che contrastano il cambiamento climatico, ma che sono anche più economiche, migliori, più rapide da costruire e contribuiscono a rendere migliore la qualità della vita delle persone. E che dire del valore politico dell'Accordo di Parigi? Conta ancora oggi la responsabilità politica che ogni governo ha nei confronti dell’altro? Se guardiamo ad esempio agli Stati Uniti sembra che non sia più così È importante capire che esistono due realtà. Una è la realtà economica, l’altra è quella politica. Per quanto riguarda la realtà politica, ricordiamo che dieci anni fa il termine “Net Zero” appariva a malapena in qualche documento. È stato molto difficile farlo entrare nell'Accordo di Parigi. Oggi l'83% del PIL globale si basa sugli obiettivi del Net Zero. Quarantanove Paesi hanno questi obiettivi nelle loro leggi nazionali. Tra di loro, ci sono anche 19 membri del G20. Per questo secondo me non è corretto presumere che la politica abbia effettivamente voltato le spalle alla decarbonizzazione. Purtroppo, c'è un paese - gli Stati Uniti - che sta attirando decisamente troppe attenzioni da tempo. La conseguenza è la nascita del mito secondo cui altri Paesi starebbero seguendo l’esempio statunitense. Non è così. Un solo Paese è uscito dall’Accordo di Parigi e ci tornerà quando avrà una nuova amministrazione. Tutti gli altri ci sono ancora. Perché? Perché conviene alla loro economia. Perché contribuisce alla loro indipendenza energetica, alla salute della popolazione, alla modernizzazione della loro tecnologia, dei loro sistemi di trasporto e dei loro sistemi energetici. Semplicemente perché è un mondo migliore, più economico, più veloce da costruire. Ma che forma avrà questo mondo? Si parla molto della crisi del multilateralismo e dell’insorgenza di un mondo multipolare in cui le istituzioni sovranazionali sono indebolite, un fatto che per la gestione della crisi climatica è significativo Anche se il mondo si sta allontanando dalla leadership singola o a trazione bipolare di Stati Uniti e Cina per muoversi verso una leadership multipolare – un fatto che io penso che sia sano per il mondo -, ciò non significa che il multilateralismo sia indebolito. Al contrario, è un motivo ancora più valido per continuare un processo multilaterale in cui tutti i Paesi si uniscono e controllano ognuno le azioni dell’altro. Ogni governo è sovrano e nessuno può costringerlo a fare qualcosa che non vuole fare, giusto? Questo significa che solo gli altri Paesi, insieme, possono chiedere conto delle azioni e ritenere gli altri Paesi responsabili delle proprie scelte. Questo è il ruolo politico delle riunioni multilaterali, costruire lo spazio necessario affinché i governi possano controllarsi a vicenda. E la responsabilità reciproca è fondamentale per capire se stiamo facendo progressi nell'affrontare il cambiamento climatico alla stessa velocità in cui si muove la minaccia del cambiamento climatico. Sappiamo di essere rimasti indietro. Ecco perché sarebbe importante avere una roadmap, un percorso verso il progresso che possa, nel tempo, colmare il divario tra dove siamo ora e dove dobbiamo essere. Qual è il ruolo delle aziende, del settore economico privato? Non tutte – guardiamo ad esempio le Big Tech – sembrano interessate al percorso verso la decarbonizzazione, specialmente visto quanto impattano loro stesse sul clima Il settore privato ha riconosciuto da tempo che è nel suo interesse muoversi verso le energie rinnovabili e verso tecnologie pulite. Anni fa esisteva solo un gruppo molto ristretto di aziende pioniere che si erano date obiettivi volontari di sostenibilità. Oggi, dieci anni dopo, il 91% delle aziende mantiene o espande i propri investimenti nella transizione. Non è più un obiettivo, è già un investimento. Oltre 12.000 aziende utilizzano il framework Science Based Targets , un modello molto rigoroso di rendicontazione e trasparenza per poter monitorare le proprie riduzioni delle emissioni. Quindi direi che l'ambizione climatica aziendale sta diventando preponderante. E non perché vogliano salvare il pianeta, ma perché sono interessate alla continuità del loro business e l'unico modo per ottenerla è seguire le linee guida sulla sostenibilità. E pensa che questo continuerà ad accadere anche se alcuni governi dovessero tornare indietro rispetto agli impegni di decarbonizzazione? Mi riferisco agli Usa ovviamente, ma anche l’Unione Europea sembra volersi tirare indietro rispetto ad alcuni dei suoi più ambiziosi obiettivi Non penso che sia corretto mettere l'UE nello stesso calderone degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno deciso che non credono nemmeno più nella scienza. È una posizione molto diversa da quella dell'UE che è sempre stata leader in queste questioni e che ha presentato un NDC che aspira alla riduzione del 90% delle emissioni, con una flessibilità del 5%. È un obiettivo impressionante. Non solo: l'energia pulita contribuisce ad almeno un terzo della crescita economica totale dell'UE. Ed è per questo che io credo che l’Unione Europea capisca che è questa la competitività verso il futuro e che, se vogliono mantenere il loro ruolo di superpotenza economica, è con la Cina che dovranno competere, perché è la Cina che è intervenuta per colmare lo spazio lasciato dagli Stati Uniti. La Cina è sicuramente interessata a continuare a investire nelle proprie capacità interne per quanto riguarda i veicoli elettrici, la tecnologia eolica, solare, le batterie. Lo fanno perché rafforza la loro economia, ma anche perché c'è un mercato in crescita in diversi Paesi, specialmente in via di sviluppo, che vogliono importare questa tecnologia. Si tratta di un mercato da diversi trilioni di dollari che sta crescendo e chi vuole partecipare deve continuare a investire nell'aumento di queste tecnologie. Io penso sia una storia molto, molto bella di corsa verso la vetta. Ovviamente con l’eccezione degli Stati Uniti che si chiamano fuori a loro rischio e pericolo. Tra tre anni dovranno cercare di raggiungere Europa, Cina e India che saranno in posizione di leadership. Parliamo della Cina. Ad oggi i Paesi che vogliono decarbonizzare devono necessariamente guardare alla Cina per quanto riguarda le tecnologie utili a questo scopo. Che differenza farà questo nuovo approccio rispetto al passato? Si tratta di una enorme differenza. Attualmente circa tre quarti della popolazione vive in Paesi che dipendono dall'importazione di combustibili fossili per produrre la propria energia. Questo significa che non possono smettere di importare carburante e quindi dipendono da paesi fragili, volatili e imprevedibili, inclusi gli Stati Uniti. Nessuno dei Paesi che importano carburante ha alcun controllo sul prezzo né sulle decisioni dei Paesi da cui importa. La nuova realtà geopolitica che sta emergendo è molto diversa: sempre più Paesi si rendono conto che non devono più dipendere da altri, perché dispongono già del loro carburante. Si tratta del sole, del vento e dell'acqua che hanno già sul loro territorio. Ovviamente, per poter usare le proprie energie rinnovabili devono costruire le centrali, i pannelli solari, le turbine eoliche e così via. La maggior parte dei Paesi non ha la capacità tecnologica per farlo e quindi compra quello di cui ha bisogno. Importa la tecnologia e la installa. Ma una volta pagata questa tecnologia si diventa indipendenti perché ciò che serve per farla funzionare è già tutto sul territorio. Si tratta di un paradigma molto, molto diverso. Il fatto che gli Stati Uniti siano usciti dall'Accordo di Parigi ha sicuramente causato una pausa nella produzione americana di queste tecnologie. E il Paese che più ne è felice è la Cina, che sta usando questa “pausa” come una grande opportunità per aumentare la propria esportazione di prodotti. Si tratta quindi di una nuova relazione geopolitica che riguarda il modo in cui il potere viene prodotto e da dove proviene. Tornando all’Accordo di Parigi. Vi siete resi conto in quel momento che si sarebbe trattato di un fatto storico, qualcosa che stava cambiando il mondo? Sì, sapevamo tutti che avrebbe cambiato la storia e che questo accordo avrebbe accompagnato la decarbonizzazione dell'economia globale per i decenni a venire. È stato progettato appositamente per quello scopo. Quello che non sapevamo è che avrebbe avuto un effetto così rapido, perché ciò che vediamo ora, dieci anni dopo, va oltre qualsiasi cosa avremmo potuto immaginare. Lei è anche tra i fondatori dell’organizzazione “Global Optimism” che attraverso diverse iniziative si propone di cambiare la narrazione attorno al cambiamento climatico, ispirando così azioni positive. È convinta che dovremo essere ottimisti, riguardo il futuro? Penso che dovremmo tutti scegliere di concentrare la nostra energia, i nostri pensieri, il nostro tempo nel contribuire alla soluzione di questo problema. Questa è la mia definizione di ottimismo. Posso contribuire alla soluzione? Sì. Dovremmo tutti contribuire alla soluzione? Sì, in qualunque ambito operiamo. Questa è la mia definizione di ottimismo. Sedersi e presumere che qualcun altro si occuperà del problema, oppure pensare che il problema non possa essere risolto sono entrambi atteggiamenti molto irresponsabili.

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Ambra Orengo