Perché l’acqua di alcuni Comuni italiani potrebbe non essere più potabile

Le acque italiane avranno limiti più severi per essere considerate potabili. Lo ha deciso il Governo, con un decreto legge che è ora in approvazione al Parlamento, riducendo i livelli di Pfas – i cosiddetti inquinanti eterni – consentiti nel sistema idrico italiano. Si tratta di sostanze chimiche pericolose, alcune anche cancerogene, impiegate in numerosi processi industriali per realizzare prodotti a largo consumo, dalle pentole antiaderenti alla carta igienica. Molecole che, disperdendosi e accumulandosi nell’ambiente, finiscono anche sulle nostre tavole tramite alimenti e – appunto – acque. Cosa ha deciso il Governo La decisione, repentina, dell’Esecutivo è arrivata a distanza di un paio di mesi dalla pubblicazione dell’indagine “Acque senza veleni” di Greenpeace, che ha monitorato per la prima volta il livello di contaminazione da Pfas in tutte le regioni d’Italia, “per sopperire – come si legge in una nota dell’organizzazione non governativa – alla mancanza di dati pubblici a riguardo”. Il report, in sintesi, ha evidenziato una presenza diffusa di molecole inquinanti nelle nostre acque, ma un solo caso in cui le contaminazioni superano i limiti di legge. E il buon risultato non sarebbe dovuto tanto alla pulizia delle acque, quanto all’indulgenza delle norme italiane. La possibilità di ridurre i livelli consentiti dei Pfas più pericolosi in Europa è in mano ai singoli Stati membri, che non sempre legiferano. Ma, quando lo fanno, sono molto severi. Per la somma di quattro specifici gruppi di molecole , la Danimarca ha introdotto un limite a 2 nanogrammi per litro. E, oltreoceano, anche gli Usa lo hanno imposto a 4 nanogrammi per litro. L’Italia, che fino a questo decreto non aveva una soglia specifica per queste quattro sostanze, l’ha posta più alta, a 20 nanogrammi per litro, come la Germania. “Siamo contenti che il Governo abbia legiferato – commenta Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace e autore dell’indagine “Acque senza veleni” – ma con i valori limite si può fare molto meglio. Questi non tutelano le fasce più fragili, come i neonati”. Sono limiti sufficienti? Al centro del decreto – e della polemica – ci sono quattro molecole: Pfos, Pfoa, Pfna e Pfhxs. Sono quelle che anche l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ritiene più pericolose ma che al momento la legge europea non bandisce esplicitamente. Una direttiva Ue del 2020 impone a tutti gli Stati membri un limite di 100 nanogrammi per litro a un gruppo di venti sostanze, che l’Italia aveva già allargato a 24, ma non prevede limiti specifici per quelle più nocive. “Ammettiamo che davvero queste quattro molecole siano presenti in una quantità di 100 nanogrammi per litro d’acqua – spiega Ungherese – Prendendo le dosi massime di assunzione stabilite dall’Efsa, a un uomo di 100 chili basterebbero 4,5 litri a settimana di acqua per superarle. Ed è già un calcolo al ribasso perché solo il 10-20% dei Pfas li assumiamo dall’acqua, il resto arriva con la dieta”. Senza contare i soggetti più vulnerabili. “Ai neonati – continua Ungherese – bastano 0,63 nanogrammi per chilo di peso corporeo per sforare il limite. Perciò, la soglia italiana a 20 nanogrammi non è ancora cautelativa”. Il decreto italiano, però, non regola solo queste quattro molecole. Introduce anche il monitoraggio di altre sostanze inquinanti e impone limiti specifici per il Pfas più diffuso al mondo, il Tfa. “Siamo tra i primi a regolamentarlo”, ammette l’operatore di Greenpeace. La soglia è fissata a 10 microgrammi per litro, inferiore a quella tedesca di 60 e superiore a quella dei Paesi Bassi di 2,2. La difficoltà a legiferare, però, è dovuta in gran parte alla rapidità con cui la ricerca riconosce la pericolosità delle sostanze: “È tutto in evoluzione – spiega Ungherese – dovremmo considerarli dei valori ad interim. Solo per rendere l’idea, l’Efsa fino al 2017 fissava una dose massima di assunzione a migliaia di nanogrammi per litro per i Pfas. Nel giro di pochi anni, siamo arrivati a 4”. Quali acque non sarebbero potabili con i nuovi criteri La domanda è di interesse pubblico: se prima solo le acque di Arezzo erano fuorilegge, con i nuovi limiti quante altre lo sarebbero? I dati più completi a cui possiamo fare riferimento sono proprio quelli dell’indagine “Acque senza veleni” che monitorano due delle quattro molecole introdotte nel nuovo limite, i cancerogeni Pfoa e Pfos. Al momento, solo considerando i livelli di Pfoa, i comuni di Bussoleno e Rapallo distribuirebbero acque non potabili. Estremamente a rischio, considerando che il limite di 20 nanogrammi è dato dalla somma di quattro sostanze, anche Torino e Imperia . Non migliore la situazione a Milano dove solo i livelli di Pfos raggiungono gli 8,4, i più alti in tutta Italia. Il calcolo, però, è ancora impossibile da portare a termine perché in molti comuni Greenpeace non è riuscita a realizzare rilevazioni ad hoc. Secondo un test dell’associazione ambientalista Pesticide action network Europe, neppure le acque in bottiglia sarebbero al sicuro: i Tfa sono stati trovati in 10 campioni su 19, provenienti da marchi della grande distribuzione organizzata. Ma, per la nostra sicurezza, le acque non sono le uniche fonti di contaminazione da Pfas. “Il vero problema di questi limiti – conclude Ungherese – è che non affrontano il nocciolo del problema: la produzione. Nella stragrande maggioranza dei settori i Pfas si possono evitare e, dove non è possibile, ci dovremmo limitare alle applicazioni essenziali. Altrimenti, continueremo a disperdere molecole inquinanti nell’ambiente”.

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Andrea Ceredani

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