Cop29, scontro sul testo finale. C’è il rischio di un rinvio
AmbienteLe piccole isole e i paesi più poveri abbandonano la stanza e denunciano di non essere stati consultati sull’ultima versione del testo. Anche i Paesi più poveri respingono la nuova offerta di 300 miliardi l’anno per finanziare la transizione e adattarsi alla crisi climatica. Passano le ore e il quorum per approvare un testo rischia di svanire
Allo stadio olimpico di Baku, dove la Cop29 è arrivata ai tempi supplementari, tecnici e volontari staccano cavi, portano via tavoli e sedie. Eppure la fine sembra ancora lontana. Nella stanza dove si stanno scrivendo le regole della finanza climatica dei prossimi dieci anni, la discussione si interrompe all’improvviso quando i delegati dei Paesi più poveri lasciano il tavolo e abbandonano la sala. Denunciano di non essere stati consultati sul nuovo testo.
“Nessun accordo è meglio di un brutto accordo”
Uno dopo l’altro escono anche l’inviato speciale per il Clima, John Podesta, inseguito dai giornalisti. Dopo di lui Jennifer Morgan, veterana delle Cop – prima da attivista, poi da rappresentante della Germania – cammina a passo svelto e con un volto che non lascia presagire nulla di buono. Si allontana anche il commissario europeo Wopke Hoekstra. Passa davanti a un attivista che al suo passaggio urla: “Nessun accordo è meglio di un brutto accordo”. Uno slogan che da ieri unisce il Sud del Mondo e che racchiude alcuni degli scenari possibili delle prossime ore. Perché oltre a un testo approvato ma che scontenta in molti, c’è anche la possibilità di rinviare tutto all’anno prossimo. Nel testo che ha portato allo scontro la cifra che i Paesi più ricchi si impegnano a mobilitare in favore dei più poveri passa da 250 a 300 miliardi l’anno. Soldi che servono per finanziare la transizione e ridurre le emissioni. Il gruppo chiamato G77, che in realtà racchiude 134 Paesi, non ci sta e vuole vedere nero su bianco 500 miliardi l’anno.
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Nulla di fatto?
La plenaria fissata per le 16 (italiane) slitta e tra gli scenari c’è anche il più temuto, quello di un nulla di fatto. Ogni decisione alle Cop deve essere presa per consenso, nessuno deve opporsi. Ma deve esserci un quorum di due terzi dei Paesi. Un numero che rischia di svanire da lunedì mattina quando molti delegati saliranno su un aereo per tornare a casa. L’unica volta che nelle conferenze sul Clima è accaduta una cosa del genere è stata nel 2000 alla Cop6 che si è tenuta all’Aia. Se dovesse ripetersi anche questa volta, l’appuntamento sarebbe a giugno dell’anno prossimo, ai negoziati intermedi che si tengono a Bonn, in Germania.