Climate Crisis, sull'Appennino -40% di precipitazioni nevose

Ambiente
Nicola Veschi

Nicola Veschi

I primi due mesi dell'anno sono stati il gennaio e febbraio più caldi da quando si fanno rilevazioni. Più in generale nel centro Italia l'inverno che volge al termine è stato uno dei più secchi. Sugli Appennini è nevicato pochissimo con ripercussioni sulle attività che vivono di turismo invernale. Ma tutto questo potrebbe avere conseguenze anche sulle riserve idriche per la prossima estate

Tre nevicate in tutto l’inverno. L’appennino centrale ha vissuto uno degli inverni più secchi degli ultimi anni. Le precipitazioni sono calate del 40%. I primi a pagarne il prezzo sono i gestori degli impianti sciistici che hanno lavorato al 20% delle loro capacità. Per chi lavora con la neve è una situazione che impone investimenti e una seria riflessione su come riorganizzare la propria attività. Per mantenere viva la montagna non si può più pensare di lavorare solamente 4 mesi l’anno (PER APPROFONDIRE: VIDEO)

L'allarme degli esperti

Meno pioggia e meno neve. Quanto deve preoccupare quello che è successo in questi ultimi mesi? "Quello che sta succedendo è che la statistica di questi avvenimenti, la frequenza con la quale piove, la frequenza con la quale nevica, l’intensità delle precipitazioni, sta lentamente cambiando e sta cambiando in maniera consistente con quello che ci aspettiamo già da decenni e cioè che a mano a mano che il clima del pianeta cambia, a mano a mano che il clima del mediterraneo cambia, la statistica delle precipitazioni pure essa sta cambiando", afferma Giulio Boccaletti, Direttore scientifico CMCC Bologna. L’attenzione degli scienziati, quindi, è sulla ciclicità degli eventi. "L’evento individuale non è preoccupante, ma l’evento ripetuto nel tempo è sì preoccupante", dice Boccaletti. La mancanza di neve preoccupa soprattutto per il normale approvvigionamento delle falde acquifere che si trovano nel sottosuolo che si misura a distanza di mesi. "Le precipitazioni nevose immagazzinano acqua e la rilasciano nel periodo primaverile nel momento in cui si ha la fusione del manto nevoso" afferma Emanuele Romano, Ricercatore IRSA-CNR, "Ciò che sta avvenendo adesso per quanto riguarda le risorse idriche sotterranee, le falde, lo vedremo quest’estate e nel prossimo autunno, se continua il deficit". 

Da 20 anni gli esperti del settore sanno che la situazione strutturale del Paese non è più in grado di rispondere ai cambiamenti climatici. Le rilevazioni periodiche che ci mostra Emanuele Romano spiegano che negli ultimi 25 anni i picchi di siccità sono quasi raddoppiati rispetto alle osservazioni fatti negli ultimi 50 anni del secolo scorso. E dunque le prospettive per i prossimi mesi non sono rassicuranti. "Se non dovesse piovere in primavera in estate e in autunno in centro Italia avremo grosse difficoltà", conclude Romano.

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