A pesare sul risultato italiano, si evidenzia nel report, sono principalmente il rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e una politica climatica ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza
L’Italia non avanza nella lotta alla crisi climatica. La denuncia arriva da Legambiente. Il Belpaese guadagna appena una posizione rispetto allo scorso anno è 29° anziché 30°, rimanendo ancorato al centro della classifica stilata dal Climate Change Performance Index 2023, il rapporto sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta redatto da Germanwatch, Can e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente per l’Italia. Le performance analizzate nel rapporto annuale, presentato oggi alla Cop27 di Sharm el Sheikh, hanno come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030 e vengono misurate attraverso il Climate Change Performance Index (Ccpi) basato per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
L'immobilismo dell'Italia
Analizzando la posizione dell’Italia, si evidenzia come il sostanziale immobilismo sia dovuto al rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e a una politica climatica nazionale ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica. L’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec), infatti, consente un taglio delle emissioni di appena il 37% rispetto al 1990 entro il 2030. “Serve una drastica inversione di rotta” commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Si deve aggiornare al più presto il Pniec per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030” precisa Ciafani. L’Italia può centrare l’obiettivo climatico del 65%, soprattutto grazie al contributo delle rinnovabili, “ma deve velocizzare sia gli iter di autorizzazione dei grandi impianti industriali alimentati dalle fonti pulite sia quelli delle comunità energetiche” conclude il presidente di Legambiente.
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La classifica
In cima alla classifica ci sono i paesi scandinavi che continuano a guidare la corsa verso emissioni zero. Danimarca e Svezia si posizionano rispettivamente al quarto e quinto posto, soprattutto grazie al loro impegno per l’abbandono delle fonti fossili e nello sviluppo delle rinnovabili. Le seguono Cile, Marocco e India che rafforzano l’azione climatica, nonostante le loro difficili situazioni economiche. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Iran, Arabia Saudita e Kazakistan. La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola al 51° posto perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno. Un gradino più in basso, al 52° posto, si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale che però guadagna tre posizioni rispetto allo scorso anno. Tra i paesi del G20, solo India (8^), Regno Unito (11°) e Germania (16^) si posizionano nella parte alta della classifica, mentre l’Unione Europea sale di tre gradini rispetto allo scorso anno, raggiungendo il 19° posto grazie a nove Paesi posizionati nella parte alta della classifica, frenata però dalle pessime performance di Ungheria e Polonia che continuano a essere fanalino di coda.