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"Mare Caldo" il progetto di Greenpeace che studia la salute del mare

Ambiente

Chiara Puglisi

Siamo stati a Trieste a seguire le operazioni di monitoraggio di Greenpeace nei fondali dell’Area Marina Protetta (AMP) di Miramare, dove un anno fa, nell’ambito del progetto “Mare Caldo”, sono stati posizionati dei sensori per la misurazione della temperatura lungo la colonna d’acqua. Miramare è solo l’ultima delle aree marine protette che ha aderito al progetto

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Iniziato a fine 2019 con una stazione pilota per la misurazione delle temperature fino a 40 metri di profondità installata da Greenpeace nel mare dell’Isola d’Elba ha via via raccolto l’adesione, nel 2020, di quattro aree marine protette: Portofino in Liguria, Plemmirio in Sicilia, Capo Carbonara e Tavolara-Punta Coda Cavallo in Sardegna, alle quali si sono aggiunte nel 2021 l’area marina protetta di Torre Guaceto in Puglia, di Miramare in Friuli Venezia Giulia, e dell’Isola dell’Asinara in Sardegna e Isole di Ventotene e Santo Stefano nel Lazio. Oggi con l'adesione dell’area marina protetta delle Cinque Terre e dell’area marina protetta delle Isole Tremiti sono ben dieci le Aree Marine Protette che hanno deciso di aderire alla rete e di lavorare insieme a Greenpeace. Questo è il secondo anno che Greenpeace, con il supporto scientifico del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova, rende noti i risultati del progetto Mare Caldo con cui effettua la raccolta, il monitoraggio e l’analisi dei fondali marini della nostra penisola. Sono state effettuate oltre 535 mila misurazioni della temperatura e i dati indicano chiaramente come i nostri mari si stiano riscaldando anche in profondità. Il rapporto evidenzia come l’aumento delle temperature stia causando drastici cambiamenti della biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare sempre più caldo. 

I risultati

Nonostante le temperature registrate durante l’estate del 2021 non abbiano evidenziato valori da record in profondità, il confronto degli andamenti con l’anno precedente ha permesso di individuare un’anomala e repentina ondata di calore a giugno 2020 all’Isola d’Elba e all’area marina protetta di Portofino, con temperature che in pochi giorni e per un periodo di tre settimane hanno registrato un aumento di circa 1,5°C rispetto al valore medio mensile, che ha coinvolto tutta la colonna d’acqua fino a 35-40 metri di profondità. Questi shock termici, registrati anche in Spagna e Francia, nello stesso periodo, dalla rete TMedNET, sono particolarmente dannosi per gli organismi sensibili come le gorgonie, specie simbolo dell’habitat a coralligeno del Mediterraneo. Come avviene ai coralli tropicali che si sbiancano, anche diverse specie mediterranee mostrano evidenti segnali di necrosi con conseguente mortalità delle colonie a causa dell’aumento delle temperature.

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L’impatto sulla biodiversità

I maggiori segnali di sofferenza sono stati registrati sulle gorgonie rosse, bianche e gialle dell’area marina protetta di Capo Carbonara (Sardegna). A sbiancarsi sono anche le alghe corallinacee incrostanti, particolarmente colpite da questo fenomeno nelle aree marine protette di Torre Guaceto (Puglia) e Capo Carbonara (Sardegna), e il Madreporario mediterraneo, la Cladocora Caespitosa, per il quale i ricercatori hanno messo in evidenza anche una significativa riduzione delle dimensioni delle colonie dagli anni Novanta a oggi. A Miramare, anche grazie alla rete di termometri installati per il progetto, nell’agosto 2021 è stato possibile evidenziare la relazione tra una moria di spugne nere dovute alla presenza di solfobatteri e un’ondata di calore in mare. L’aumento delle temperature porta alla scomparsa di alcune specie mentre altre, dette termofile, proliferano espandendosi. È il caso del vermocane, nome scientidico Hermodice Carunculata, che è aumentato in modo considerevole nelle aree marine protette più meridionali, o di alcune specie aliene, come il mollusco gasteropode di origine polinesiana (Lamprohaminoea Ovalis), osservato per la prima volta all’Isola d’Elba durante i monitoraggi di Greenpeace e Distav di Genova. Insieme ai ricercatori dell’AMP e dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), Greenpeace ha inoltre partecipato a un’immersione scientifica sulle Trezze al largo di Grado, dove si stanno monitorando gli effetti dei cambiamenti climatici su specie sensibili come la madrepora a cuscino e pinna nobilis nell’ambito dei progetti Tretamara e Life Pinna. 

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La storia della Rainbow Warrior

È la nave ammiraglia della flotta di Greenpeace. L’evento più noto legato a questa nave è il suo affondamento avvenuto il 10 luglio 1985, nel porto di Auckland, in Nuova Zelanda, da parte della DGSE, il servizio segreto francese responsabile delle operazioni all'estero in cui perse la vita il fotografo, e attivista di Greenpeace, Fernando Pereira. L'episodio doveva essere solo intimidatorio ed impedire alla nave di partecipare alle azioni di disturbo contro i test nucleari francesi nell'atollo polinesiano di Moruroa, la nave venne minata con due cariche esplosive collocate all'esterno dello scafo causandone l’affondamento nei bassi fondali del porto. Grazie anche al denaro ricevuto in indennità dalla Francia al termine del processo per i fatti avvenuti ad Auckland fu possibile acquistare, nel 1989, una nuova nave chiamata Rainbow Warrior II che fu risistemata con l'obiettivo di minimizzare il suo impatto ambientale: un veliero a tre alberi e motore diesel da 555 tonnellate a scafo metallico costruito in Gran Bretagna. La nuova imbarcazione fu presente al Summit della Terra a Rio de Janeiro nel 1992, nel 1993 sostituì la Sirius nella campagna per la difesa del Mediterraneo. Nel 1995 sarà di nuovo nell'Oceano Pacifico contro i test nucleari della Francia a Moruroa dove è stata al centro delle attenzioni delle truppe francesi insieme alla nave MV Greenpeace. Nel 2001 è stata in Qatar per far pressioni al WTO per chiedere l’adesione degli Stati Uniti al Protocollo di Kyoto. Questa la storia che ci riporta a Trieste e alla nuova Rainbow Warrior, la Terza, è la prima nave costruita appositamente per le campagne di Greenpeace ed entra in azione nell'ottobre 2011 prendendo il posto della Rainbow Warrior II, che dopo 22 anni di azioni non violente nei mari di tutto il Pianeta, nell'agosto 2011 viene donata a Friendship, una ONG asiatica. Rainbow Warrior III è equipaggiata con le più moderne tecnologie di comunicazione, un eliporto a poppa e due scialuppe di salvataggio. Per tenere al minimo il consumo di carburanti e farne un mezzo di trasporto verde e sostenibile, è dotata di un rivoluzionario sistema di alberatura che sorregge 1256 metri quadrati di vele. Gli oltre 400.000 componenti della nave sono stati acquistati o costruiti con il sostegno concreto dei donatori dell'associazione. Tutte le sue componenti sono state inoltre studiate per facilitare l'opzione d'uso più sostenibile

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