La Conferenza si è chiusa con un'intesa vaga in cui si esprime "la necessità urgente" di ridurre le emissioni climalteranti. La rabbia degli ambientalisti: "esito inaccettabile". Greta Thunberg: "non ci arrenderemo"
Il vertice Cop più lungo di sempre ha raggiunto alla fine una conclusione, ma non certo quella che in molti auspicavano. L’allarme reiterato e inquietante degli scienziati, il pressing degli ambientalisti, gli appelli dei movimenti di piazza: nulla è riuscito a smuovere dalla propria posizione quegli stati che non sembrano intenzionati ad accelerare sul fronte del taglio delle emissioni, né ad allargare i cordoni della borsa quando si parla di finanziamenti ai paesi più vulnerabili. Il consenso raggiunto in extremis sulla necessità di aumentare entro il 2020 gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni non basta a bilanciare il fallimento sugli altri fronti.“Considerando l’urgenza della crisi climatica”, ha ammesso candidamente la presidente della Cop25 Carolina Schmidt, “l’accordo raggiunto non è sufficiente, non siamo soddisfatti”. Anche Il Segretario generale Onu Guteress si è detto deluso.
Nodo irrisolto
Il fallimento più eclatante è quello che riguarda l’articolo 6 degli Accordi di Parigi, uno dei punti più rilevanti nell’agenda della Cop ospitata a Madrid. L’articolo in questione riguarda il così detto carbon market, il sistema che prevede - tra l’altro - la possibilità di finanziare il taglio delle emissioni in un altro paese conteggiandolo nel proprio. A dividere, in questo caso, sono state le regole di applicazione e in particolare la controversa possibilità di un doppio conteggio. Di fronte all’impossibilità di raggiungere un accordo, la Cop25 si è arresa, rimandando qualsiasi decisione al vertice previsto a Bonn il prossimo giugno.
Chi ha tirato il freno
A frenare maggiormente i negoziati, per ragioni diverse, sono stati paesi come il Brasile, l’Arabia Saudita, l’Australia, l’India, la Cina, il Sudafrica. Anche gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo: la decisione di Trump di uscire dagli Accordi di Parigi, infatti, sarà effettiva solo il 4 novembre 2020, il giorno successivo - peraltro - a quello delle elezioni presidenziali americane. Al momento, quindi, Washington partecipa regolarmente alle Cop e agli altri vertici dell’UNFCCC, la Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici. Non è sorprendente il fatto che alla Cop25 gli esponenti democratici in visita (Nancy Pelosi, John Kerry e Al Gore) siano stati accolti molto più calorosamente della delegazione ufficiale.
La rabbia degli ambientalisti
Chi si aspettava un “effetto Greta” è rimasto deluso. Quello appena trascorso è stato l’anno dell’attivista svedese, che è riuscita trasformare la sua protesta solitaria iniziata nell’agosto 2018 in un fenomeno di portata planetaria. Le manifestazioni di FridaysForFuture hanno raggiunto picchi di partecipazione mai visti negli ultimi decenni in nessun’altra protesta di piazza, eppure questo non è servito. Visto l’esito del vertice di Madrid, i movimenti hanno reagito con prevedibile disappunto. “La scienza è chiara, ma la si sta ignorando”, ha twittato Greta, “qualunque cosa accada non ci arrenderemo mai". Tutt’altro che soddisfatte anche le associazioni ambientaliste internazionali. Jennifer Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace, parla di accordo “totalmente inaccettabile”, notando come unica nota positiva il rafforzamento e la grinta della High Ambition Coalition e degli Stati insulari, particolarmente esposti alle conseguenze del surriscaldamento. Vanessa Perez-Cirera, capo delegazione del Wwf, sottolinea amaramente come quella che era stata definita la “Cop dell’ambizione” non sia stata “all'altezza delle aspettative della società civile e delle comunità vulnerabili, oltre che della speranza di milioni di persone per un mondo in cui possiamo vivere meglio".
Occhio al calendario
Vista l’importanza dei problemi lasciati irrisolti dalla Cop25 conviene dare un’occhiata al calendario dei prossimi appuntamenti. Un passaggio chiave sarà il vertice fissato a Bonn nel giugno 2020 (alla metà di ogni anno Bonn ospita una conferenza preparatoria in vista della successiva Cop), vertice che - come detto - dovrebbe tornare ad affrontare il delicato argomento dell’articolo 6. Toccherà poi al summit Ue-Cina di settembre a Lipsia, in cui si toccheranno i temi della crisi climatica e della biodiversità. Dobbiamo ricordare che il successo degli Accordi di Parigi, nel 2015, fu anche il risultato di un asse Usa-Cina creatosi dopo il bilaterale tra Obama e Xi Jinping: adesso Bruxelles potrebbe voler prendere il posto di Washington in una ipotetica ma virtuosa alleanza per l’ambiente. Infine la Cop26, che sarà ospitata a Glasgow a dicembre. Dodici mesi: troppi, probabilmente, se si deve fare fronte a un’emergenza.