I due alpinisti tenteranno la scalata delle due vette di ottomila metri incastonate nel Karakorum, a poca distanza dal K2. Gli ultimi a riuscirci furono Reinhold Messner e Hans Kammerlander nell'estate del 1984
"Ci abbiamo pensato, ripensato, cambiato idea tante volte. Poi un giorno è tornato a casa, mi ha parlato del progetto con quella luce negli occhi e ho capito". A parlare è Tamara Lunger, la fortissima alpinista da qualche anno compagna di cordata di lui, quello con la luce negli occhi: Simone Moro, esploratore verticale dal curriculum già leggendario. Il progetto è stato svelato ieri. Si tratta di un’invernale, in perfetta consonanza con la storia del "signore del freddo", capace di metter in fila quattro prime invernali sugli Ottomila. Moro e Lunger proveranno il concatenamento del Gasherbrum I (8.068 m) e Gasherbrum II (8.035 m), due vette di ottomila metri incastonate nel Karakorum, in Pakistan, a poca distanza dal K2 (la fotogallery).
Il precedente
Nell'estate del 1984 furono Reinhold Messner e Hans Kammerlander a realizzare la prima salita e traversata delle due cime. Fu un’impresa eccezionale, il primo concatenamento in assoluto di due Ottomila. "A 35 anni di distanza vogliamo riproporre la stessa avventura ma nella stagione più difficile, l’inverno, tentando di concatenare le due cime di 8000 m. Nessuno in tutti questi anni ha mai ripetuto questa traversata, neppure d'estate" racconta Simone Moro. "A differenza di come è stato fatto 35 anni fa, proveremo a riproporre questa grande avventura basandoci sulla nostra esperienza con le salite invernali. Divideremo realisticamente il progetto in due: tenteremo inizialmente la salita del Gasherbrum I, raggiunto per la prima volta in inverno il 9 marzo 2012 dagli alpinisti polacchi Adam Bielecki e Janusz Golab (salita mai più ripetuta). La seconda parte sarà l'ascesa del Gasherbrum II partendo direttamente dal colle che separa le due cime".
Le difficoltà dell'impresa
La difficoltà più grossa sarà, come tradizionalmente accade a quelle quote in quel quadrante di mondo, la lunghezza delle finestre di bel tempo. Ecco perché Simone e Tamara provano a partire con un’arma in più: partire con un processo di acclimatamento e adattamento alla quota già avviato. "Il sogno sarebbe arrivare a campo base e, se c’è bel tempo, provare subito la vetta. Senza dover necessariamente aspettare e salire e scendere dalla montagna per acclimatarsi" spiega Moro.
La preparazione
L’alleato si chiama terraXcube, un’infrastruttura di ricerca di Eurac Research, partner scientifico del progetto, nella quale Moro e Lunger passeranno 4 settimane, che simula le condizioni climatiche più estreme del pianeta Terra, dalle tempeste sulle vette dell’Himalaya al caldo torrido dei deserti nordafricani. I ricercatori di Eurac Research investigheranno l’acclimatamento nella camera ipobarica e monitoreranno il de-acclimatamento una volta che Simone e Tamara saranno tornati dalla spedizione reale. Osserveranno gli impatti dell’alta quota sul cuore, sulle funzioni respiratorie, cognitive e metaboliche e monitoreranno come e quanto a lungo permangano gli effetti dell’acclimatamento una volta scesi di quota. Informazioni sui parametri fisiologici preziose per tutto l’ambiente alpinistico e per le attività sportive che hanno a che fare con la quota e le attività in ipossia. Il protocollo di studio è stato approvato dal Comitato etico per la sperimentazione clinica dell'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano. L’idea è conoscere sempre più a fondo come reagisce l’organismo all’ipossia non solo per migliorare la sicurezza delle spedizioni alpinistiche, ma anche quella di chi lavora ad alta quota (squadre di soccorso, piloti, etc).
Pronti a partire
Per Simone Moro il GI rappresenterebbe il quinto ottomila invernale. Eppure non sembra affezionato alla 'collezione' dei grandi 14. "Mi interessa di più come salire, farlo con un progetto un po’ diverso, qualcosa di innovativo rispetto a quello che ho già fatto. Forse qualcosa di più difficile: non solo un Ottomila invernale, ma fare una traversata". Moro ne ha parlato durante la presentazione a Milano del nuovo libro "I sogni non sono in discesa". Dal canto suo Tamara Lunger resta fedele al suo bellissimo rapporto con la montagna e la scelta di scalare in inverno è più una via filosofica che una volontà di prestazione. "Non ho un vero e proprio amore per il freddo. Salire in inverno è l’unico modo di trovare poche persone sulla montagna. Mi piace il silenzio in quota, è la cosa che più mi è mancata in questo anno e mezzo in cui mi sono fermata, per dare tempo al mio corpo di riprendersi. Ora non vedo l’ora di ripartire".