Mancanza di ossigeno minaccia oceani: zone morte quadruplicate da 1950
AmbienteLo studio di un team guidato dai ricercatori dello Smithsonian rivela che gli effetti del riscaldamento globale hanno provocato l'espansione delle aree marine carenti dell'elemento, compromettendo la vita degli organismi acquatici
Cosa succede nelle "zone morte"
Nelle cosiddette ‘zone morte’ degli oceani aumenta la mortalità dei pesci e degli organismi marini. In queste aree l’ossigeno scende a livelli talmente bassi che molti animali soffocano e muoiono. I pesci che sopravvivono evitano allora queste zone e vedono il proprio habitat restringersi, mentre diventano più vulnerabili ai predatori e alla pesca. La carenza di ossigeno può innescare il rilascio di pericolose sostanze chimiche da parte di microbi che proliferano in queste condizioni, come il diossido di carbonio e l’acido solfidrico. E così, poiché solo alcune specie riescono a crescere lo stesso nelle zone morte, la biodiversità complessiva precipita.
Gli effetti del cambiamento climatico
Circa metà dell’ossigeno della Terra proviene dagli oceani, spiega Vladimir Ryabinin, segretario esecutivo della Commissione oceanografica intergovernativa, “ma gli effetti del cambiamento climatico stanno incrementando grandemente il numero e le dimensioni delle ‘zone morte’ nel mare aperto e nelle acque costiere, dove l’ossigeno è troppo poco per essere in grado di sostenere gran parte della vita marina”. Tra le cause principali dell’espansione delle “zone morte” c’è il riscaldamento globale provocato dall’utilizzo di combustibili fossili. Acque più calde, causate dal riscaldamento globale, trattengono meno ossigeno. E questo provoca, per un beffardo circolo vizioso, l’accelerazione del metabolismo degli organismi marini, che così sono costretti a respirare più velocemente, consumando ossigeno più rapidamente. Le zone costiere, compresi gli estuari dei fiumi, sono minacciate invece dai fertilizzanti e dalle acque fognarie che vengono scaricate in mare. L’inquinamento da liquami, letami e fertilizzanti facilita la nascita di alghe, e quando queste si decompongono consumano l’ossigeno.
Una mappa delle 'zone morte' : in rosso le acque costiere e in blu gli oceani in carenza di ossigeno (foto del team GO2NE allegata alla ricerca)
I rischi anche per l’uomo
Ad essere a rischio però non è soltanto la vita marina ma anche le condizioni di sussistenza dell’uomo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. I piccoli pescatori potrebbero non essere in grado di trasferire la loro attività se l’assenza di ossigeno dovesse compromettere le loro zone di pesca o costringere i pesci a spostarsi. Anche il turismo potrebbe farne le spese. Le barriere coralline, principale motivo di attrazione in alcuni Paesi, potrebbero deperire senza abbastanza ossigeno. “Sarebbe una perdita tremenda per tutti i servizi che fanno affidamento sul turismo, come gli hotel, i ristoranti, i taxi e tutto il resto”, spiega Lisa Levin, co-autrice della ricerca. “Le conseguenze di ecosistemi oceanici malsani possono essere estese”.
Come si può risolvere
Come contrastare il problema? I ricercatori che hanno effettuato lo studio spiegano che “la situazione si può risolvere con un sforzo globale per fermare il cambiamento climatico” e che “anche azioni locali possono dare una mano per bloccare il declino dell’ossigeno”. Ma il professor Robert Diaz del Virginia Institute of Marine Science, che ha revisionato la ricerca, commenta: “l’espansione delle ‘zone morte’ e la diminuzione dell’ossigeno nelle acque non sono problemi prioritari per i governi. Sfortunatamente, solo una grave e persistente mortalità delle industrie ittiche porterà a prendere sul serio la questione”.