Cina, l'espansione dei consumi crea montagne di cyber-spazzatura

Ambiente
Una scultura di rifiuti elettronici fatta dagli attivisti di Greenpeace nel 2005 a Pechino (Getty Images)
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La domanda di elettrodomestici e di prodotti informatici da parte della classe media è in continuo aumento. E questo genera milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi, che mettono a rischio l'ambiente

La cyber-spazzatura minaccia l'Asia, e in particolare la Cina. È il frutto dell'espansione della domanda di beni di consumo elettronici dei Paesi orientali, che si prospetta sempre più difficile da gestire. Gli ultimi numeri del fenomeno sono arrivati da un'indagine dell'Onu, che prende in considerazione 12 Paesi tra la parte orientale del continente e il Sud-Est Asiatico: oltre alla Cina e a Hong Kong, a essere conivolti sono stati Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Vietnam, Cambogia, Malesia, Singapore, Indonesia e Filippine.

Montagne di rifiuti elettronici – Le montagne di rifiuti elettronici (che in Italia vengono definiti Raee, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) crescono con una rapidità impressionante. Gli scarti di computer e monitor, telefoni, televisori, giochi elettronici e piccoli elettrodomestici hanno toccato nel 2015 il record negativo di 16 milioni di tonnellate, con un incremento del 63% in soli cinque anni.

La classifica - A guidare la speciale classifica è la Cina, dove nel 2015 la produzione di questo genere di rifiuti è stato pari a 6,7 milioni di tonnellate, con un aumento di oltre il 100% in cinque anni. Il Paese, già alle prese con livelli di inquinamento dell'aria che lo hanno costretto a prendere misure drastiche, si trova quindi ad affrontare anche questa emergenza ambientale. Subito dietro si trova il Giappone, con 2,2 milioni di tonnellate e una crescita sui cinque anni del 13,2%. Tra i maggiori produttori di spazzatura elettronica anche la Corea del Sud, con 831mila tonnellate (+29%) e l'Indonesia, 812mila e un incremento del 68%.

L'espansione della classe media – L'indagine, condotta dalla United Nations University, identifica la causa del problema nel rapido sviluppo della classe media, e non nella crescita complessiva della popolazione in sé: la produzione di rifiuti in Asia (3,7 kg a persona) è infatti ancora di gran lunga inferiore a quella europea (15,6). "L'aumento del reddito, unito alla creazione di un numero sempre maggiore di gadget e sturmenti di breve durata come gli smartphone sono le ragioni di questa tremenda crescita", ha spiegato al "Guardian" uno dei coautori della ricerca, Ruediger Kuehr.

Il problema ambientale – I dispositivi elettronici hanno una forte impronta ecologica, e per la loro produzione necessitano di un'enorme quantità di acqua ed energia. Per renderla sostenibile, sempre secondo Kuehr, in questi Paesi sarebbe necessaria più attenzione verso il riciclo e il recupero di questi oggetti. Inoltre, il recupero potrebbe rivelarsi fondamentale anche perché i telefoni di ultima generazione, i monitor, i televisori e le stampanti contengono materiali pericolosi come il piombo e il mercurio. Senza contare che le stesse cartucce delle stampanti sono considerate tossiche. Il riciclo di questi materiali potrebbe invece dimostrarsi vantaggioso non solo per l'ambiente, ma anche per i produttori, che così avrebbero a disposizione una maggiore quantità di materie prime.

Le colpe dell'Occidente – Va detto però anche che molti dei cyber-rifiuti dell'Asia provengono da Europa e Nord America, nonostante le restrizioni da parte di molti Paesi: la Cina, ad esempio, ha messo un freno alle importazioni, che però non è valido ad Hong Kong. Stimare la quntità dei rifiuti che l'Occidente esporta in Asia è complesso, anche se un'indagine dell'Ong Basel Action network ha svelato che circa il 50% dei vecchi monitor e stampanti statunitensi finisce proprio in Asia. Un esperimento simile – con dei Gps inseriti nella spazzatura elettronica – sarà presto condotto anche a livello europeo.

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