Estorcevano denaro per sbloccare pc infettati da virus: due arresti

Cronaca
Le indagini della Guardia di Finanza hanno portato all'arresto di due persone (Archivio Ansa)

La Guardia di Finanza di Frosinone ha messo fine all'attività di un gruppo criminale che richiedeva "riscatti" in bitcoin: altre cinque persone sono state sottoposte all'obbligo di firma

Installavano virus in grado di "sequestrare" i computer e poi chiedevano un riscatto per restituire i dati: il pagamento, di circa 400 euro, doveva essere effettuato solo in bitcoin, la valuta virtuale che rende più difficile il tracciamento della transazione. Era questa l'attività illecita di una banda che, dopo sei mesi di indagini, è stata sgominata dalla Guardia di Finanza di Frosinone con un'operazione che ha portato a due arresti e a cinque persone denunciate e vincolate all'obbligo di firma.

L'operazione "Virtual Money"

L'operazione, nome in codice "Virtual Money", è stata condotta dai militari del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria in provincia di Frosinone. I sette membri della banda sono tutti indagati per i reati di associazione per delinquere finalizzata all'estorsione, alla frode informatica ed all'autoriciclaggio: è stato anche disposto il sequestro di tutti i beni riconducibili al gruppo, in particolare i conti correnti su cui transitavano i soldi frutto delle frodi.

Le indagini online

Tutto è partito da numerose "segnalazioni per operazioni sospette" riguardanti una quarantina di carte ricaricabili utilizzate dal gruppo per far transitare i soldi: secondo le indagini delle Fiamme Gialle si è trattato di oltre un milione di euro in un anno. Le analisi della Finanza hanno quindi ricostruito tutte le fasi della frode: prima alcuni componenti riuscivano a inserire nei pc degli utenti prescelti il virus denominato "criptolocker" con il quale bloccavano l'uso dello strumento informatico; poi, per poter nuovamente utilizzare le funzioni del device i proprietari erano costretti a pagare un riscatto, rigorosamente in bitcoin da acquistare su siti di cambiavalute riconducibili agli indagati. Il controvalore, di circa 400 euro per ogni estorsione, veniva accreditato su carte di credito ricaricabili intestate a dei prestanome. I finanzieri hanno anche ricostruito i successivi movimenti di denaro che, dalle carte ricaricabili, confluiva prima su conti correnti nazionali e, successivamente, all'estero per l'acquisto di ulteriori bitcoin.

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