"Non sono hacker": legali chiedono scarcerazione fratelli Occhionero

Cronaca

"Contro di loro non ci sono prove, solo ipotesi investigative in uno stato ancora embrionale", dicono gli avvocati dell'ingegnere e della sorella accusati di aver avviato un'attività di cyberspionaggio attraverso l'accesso abusivo a caselle di posta elettronica. Riesame deciderà entro venerdì

“Gli Occhionero non sono hacker. Contro di loro non ci sono prove, ma solo ipotesi investigative in uno stato ancora embrionale”. Con queste parole gli avvocati Stefano Parretta e Roberto Bottacchiari hanno chiesto ai giudici del Riesame la scarcerazione dell’ingegnere Giulio Occhionero e della sorella Francesca Maria. I due sono stati arrestati tre settimane fa con l'accusa di aver avviato un’attività di cyberspionaggio attraverso l'accesso abusivo (consumato o tentato) a caselle di posta elettronica, sia personali sia istituzionali, appartenenti a professionisti del settore giuridico-economico, a esponenti della politica o riconducibili a enti pubblici. Il tribunale del Riesame di Roma dovrà decidere entro venerdì se confermare o meno l'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Maria Paola Tomaselli e sollecitata dalla Procura.

Chiesta revoca misura cautelare - I legali degli Occhionero hanno chiesto la revoca della misura cautelare o, in subordine, la concessione dei domiciliari. Secondo loro, infatti, sono da ritenersi “carenti o labili” gli indizi di colpevolezza e le relative esigenze cautelari. “È un dato tecnico acquisito e incontrovertibile – dicono – che la mail con l'allegato malevolo inviato lo scorso aprile all'Enav spa (da cui è partita l'inchiesta, ndr) non possa essere ricondotta in maniera certa a nessuno e tantomeno agli indagati”. Di diverso avviso il pm Eugenio Albamonte: secondo lui il virus, che ha un codice, riconduce alla licenza nominativa riferita a Occhionero ed è ospitato sul server su cui insistono i domini dell'indagato.

Le tesi della difesa - E ancora: per le difese sono appena undici le eventuali accoppiate (username e password) di appartenenti ad enti “utili per compiere accesso agli account (che non vi è traccia che vi sia stato)”. Mentre il resto contenuto nell'ordinanza del gip, dicono, appare essere “una mera elencazione di indirizzi di posta elettronica e/o di siti istituzionali di pubblico dominio, da tutti conoscibili con una ricerca su internet”. Per chi indaga, invece, dall'analisi dei file contenuti nel database si è scoperto che sarebbero 1.935 le credenziali utilizzate dagli Occhionero per gli accessi ai relativi account.

Accertamenti patrimoniali ancora in corso - Per la difesa, inoltre, non solo non esisterebbe prova di accesso abusivo a caselle di posta elettronica privata o istituzionale da parte degli Occhionero, ma le indagini non avrebbero documentato che ci siano stati “rivendita e/o smercio” dei dati “eventualmente acquisiti in maniera indebita". Lo dimostrerebbero, tra l'altro, gli accertamenti patrimoniali sul conto dei due fratelli. Accertamenti che, fa sapere la Procura, sono ancora in corso e non sono stati completati.

“Perché non vuole dare le password?” - I difensori degli Occhionero, poi, ritengono che nei mesi scorsi, in un lasso di tempo abbastanza ampio, la polizia giudiziaria abbia provato “numerose volte al giorno a inoculare il captatore informatico sul computer 'gamma' dell'ingegnere. Questi ripetuti tentativi quotidiani possono aver generato un traffico telematico che necessariamente ha 'sporcato' e alterato il traffico telematico di quel periodo con evidenti riflessi sulla genuinità e attendibilità delle risultanze dell'intercettazione telematica passiva”. Tesi che non trova d'accordo la Procura, che insiste su un fatto: il rifiuto di Giulio Occhionero di fornire agli inquirenti le password di accesso sui computer e sui server. “Se non ha nulla da nascondere, perché non ce le vuole dare?”, è la domanda del pm Albamonte. “Non le vuole dare per salvaguardare la privacy”, è la replica degli avvocati.

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