E' morto il capo della polizia Antonio Manganelli

Cronaca

E' deceduto nel reparto di rianimazione dell'ospedale San Giovanni di Roma. Era ricoverato dal 24 febbraio dopo essere stato colpito da una emorragia cerebrale. Cancellieri a SkyTG24: "Un uomo vero, giusto, dalle grandissime qualità morali"

"L'ultima cosa che m'interessa è la poltrona. Sono un poliziotto di strada che ha coronato il suo sogno di ragazzo: fare l'investigatore". Furono queste le parole pronunciate da Antonio Manganelli il giorno del suo primo discorso ufficiale da capo della Polizia. Era il 3 luglio 2007. Manganelli è morto questa mattina, aveva 62 anni. E' deceduto nel reparto di rianimazione dell'ospedale San Giovanni di Roma dove era ricoverato da oltre tre settimane. Il 24 febbraio, il capo della Polizia era stato operato d'urgenza per l'asportazione di un edema cerebrale.
"Era un uomo vero, giusto, dalle grandissime qualità morali" è il ricordo del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri (VIDEO).



Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano esprime solidarietà alla famiglia del prefetto e il suo partecipe cordoglio all'intera amministrazione della Pubblica Sicurezza. Il premier Mario Monti lo ha ricordato come "una guida autorevole e aperta al dialogo, anche nelle situazioni più difficili". "Un servitore dello Stato, un uomo straordinario. Ha saputo chiedere scusa quando le forze dell'ordine non hanno assolto fino in fondo il loro compito" ha detto commosso l'ex prefetto Achille Serra a SkyTG24.


"Ciao Antonio, maestro di vita e amico vero. Rimarrai per sempre nel mio cuore" ha scritto su Twitter Roberto Maroni, che a lui aveva dedicato la vittoria alle regionali in Lombardia.
Immediato anche il saluto di Nichi Vendola: "E' stato un vero  servitore dello Stato, un sincero democratico, un protagonista  intelligente e determinato della lotta contro le mafie"

Portò in aula Buscetta -
Uomo capace di mediare - arrivò alla guida del Dipartimento dopo i fatti del G8 di Genova con il via libera anche di Rifondazione Comunista - primo tra i colleghi a capire che è sui giovani che bisogna lavorare per affermare il concetto di legalità e del tutto disinteressato alla vita mondana, Manganelli è stato soprattutto un investigatore. Uno di quelli che le indagini non le ha solo dirette ma le ha anche fatte. C'è lui accanto a Tommaso Buscetta, quando il primo grande pentito ruppe il silenzio di tomba calato sull'aula bunker di Palermo, per testimoniare contro le cosche. Era il 1986. "C'era una nebbia spessa, che attraversava l'aula e colpiva ciascuno di noi c'erano attimi di tensione come se fossero strutture solide che in qualche modo dovevi attraversare".
E fu sempre Manganelli, a gennaio, a dare la notizia della morte di Antonino Calderone, altro storico pentito di mafia. Quando il boss decise di passare dalla parte dello Stato, nel 1987, nell'appartamento in Francia dove si era rifugiato c'erano Giovanni Falcone e Manganelli. A lui si rivolse Calderone, appena la moglie entrò nella stanza. "Lei è spostato?" chiese. "No", rispose lui. "Allora mi ascolti bene. Da questa sera lei ha una moglie e tre figli. Si sente in grado di salvarmeli questi tre piccoli e questa donna?". "Le do la mia parola - rispose - Per lei non so, ma per loro le do la mia parola".

Una vita dedicata a combattere la criminalità organizzata - A combattere la criminalità organizzata Manganelli ha passato buona parte dei suoi 62 anni. Se ne occupa fin dagli anni settanta, dopo essersi laureato in Giurisprudenza a Napoli, ma è negli anni Ottanta che comincia a lavorare spalla a spalla con quello che sarà professionalmente un 'fratello' e anche un amico: Gianni De Gennaro. Per un decennio i due sono inseparabili: sono numero uno e numero due dell'Anticrimine e poi al Servizio centrale operativo, l'eccellenza investigativa della polizia. Insieme hanno lavorato su Mafia e sequestri di persona, droga e criminalità economica al fianco di gente come Falcone e Borsellino, collaborando con le polizie di mezzo mondo, dall'Fbi alla Bka tedesca. Manganelli non ha mai tradito il suo 'capo' e nel giorno dell'avvicendamento alla guida della polizia gli espresse "gratitudine, ammirazione, amicizia e stima".
Insieme, i due hanno arrestato boss del calibro di Pietro Vernengo, Piddu Madonia, Nitto Santapaola, Pietro Aglieri. Nel 1991, quando De Gennaro tiene a battesimo la Dia, Manganelli va a guidare lo Sco, sette anni dopo diventa questore di Palermo e nel 1999 va a dirigere per due anni la questura di Napoli. Poi il ritorno al Viminale alla guida del Servizio centrale di protezione, la nomina a vicecapo e, il 25 giugno 2007, la guida del Dipartimento della pubblica sicurezza.

Le scuse - Solo una volta le strade di Manganelli e De Gennaro si sono separate ed è stato in occasione del massacro della Diaz. Manganelli era in vacanza. Ma appena divenne numero uno volle la scuola di formazione per l'ordine pubblico, a Nettuno, per evitare un'altra Genova. E quando l'anno scorso sono arrivate le condanne definitive per i vertici impegnati in quei giorni, è stato il primo a chiedere scusa. "E' chiaramente il momento delle scuse - disse - ai cittadini che hanno subito danni ma anche a quelli che, avendo fiducia nell'istituzione Polizia, l'hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza" (IL VIDEO). Gli ultimi anni Manganelli li ha passati a cercare di spiegare due concetti: l'importanza di parlare ai giovani, per far loro capire che "la legalità conviene"; la necessità che non siano solo le forze di polizia ad occuparsi di sicurezza. "A noi viene spesso chiesto di assumerci responsabilità che spettano alla società civile e ad altre istituzioni. Non possiamo sempre fare da supplenti. Serve una sicurezza partecipata in cui ognuno svolta il proprio ruolo, senza mai tirarsi indietro".

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