'Ndrangheta Piemonte, pm a Riesame: "Ex assessore Rosso è ricattabile"

Piemonte
Roberto Rosso (ANSA)

Durante l'udienza di questa mattina, la Procura ha chiesto al Tribunale della libertà di respingere la richiesta di scarcerazione. Il filone di inchiesta è stato formalmente chiuso: l'atto, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, è stato notificato ai difensori

Il pm Paolo Toso ha chiesto questa mattina al tribunale del Riesame di Torino di respingere la richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa dell'ex assessore regionale Roberto Rosso, in quanto è convinto che quest’ultimo non abbia detto la verità e che sia in qualche modo "ricattabile". Inoltre, la procura di Torino ha chiuso formalmente le indagini su Rosso, arrestato lo scorso 20 dicembre per voto di scambio politico-mafioso nell'ambito dell'inchiesta sulla presenza della 'Ndrangheta in Piemonte.
In apertura di udienza, la Procura di Torino ha depositato i verbali degli interrogatori di tre persone, tra cui quello dell'imprenditrice Enza Colavito, anche lei arrestata, effettuati nei giorni scorsi.

La decisione del Riesame

Il pm Paolo Toso, in aula, ha detto no alla scarcerazione: "Quando lo abbiamo interrogato Rosso ha mentito. Evidentemente è ricattabile". L'ex assessore si era difeso riferendo di non sapere che Garcea e Viterbo erano legati alla 'ndrangheta e che il denaro era un contributo per l'attivazione della campagna elettorale sul territorio. "Ma di quella somma mancano i rendiconti" ha obiettato il pm dopo aver prodotto il verbale dell'imprenditrice Enza Colavito, considerato uno degli intermediari: "A Rosso - ha dichiarato la donna - non dissi che quei due erano dei mafiosi, ma che erano degli spacciatori".

Rosso verso il processo

L'atto di conclusione dell'inchiesta, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, è stato notificato ai difensori. Gli indagati, a vario titolo e per episodi diversi, sono in tutto undici. L'ipotesi d'accusa è quella già contestata il 20 dicembre al momento dell'arresto, con qualche modifica dettata dagli accertamenti successivi. Rosso, tramite due intermediari, avrebbe fatto avere a due presunti boss della criminalità organizzata, Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, "almeno 5.000 euro" in cambio di pacchetti di voti in occasione delle elezioni della primavera scorsa, dove si era candidato per Fratelli d'Italia. La chiusura delle indagini è avvenuta nelle stesse ore in cui davanti al tribunale del Riesame l'avvocato difensore, Giorgio Piazzese, spiegava ai giudici che non c'erano esigenze cautelari perché Rosso si è dimesso da tutte le cariche, ha chiarito la sua posizione con gli inquirenti e nelle carte non c'è traccia di comportamenti finalizzati a favorire i boss.

La cellula di ndranghetisti a Carmagnola

L'avviso di chiusura delle indagini riguarda undici persone, accusate a vario titolo di episodi diversi, e racconta la storia della costruzione nella zona di Carmagnola (Torino) di una cellula di 'ndranghetisti - riconducibile alle famiglie Arona, Defina e Serratore - legata alla cosca Bonavota di Vibo Valentia. Il fascicolo d'inchiesta ormai chiuso potrebbe unirsi a quello di un'altra indagine chiamata 'Carminius', con 41 indagati, sul radicamento del clan nella cittadina piemontese. Tra gli undici destinatari del nuovo provvedimento spicca l'imprenditore Mario Burlò, anche lui arrestato il 20 dicembre, che secondo gli inquirenti era diventato una specie di gallina dalle uova d'oro per la cosca: grazie a lui i boss potevano acquisire il controllo o la gestione di attività economiche. Un esempio è la costruzione di 240 nuovi appartamenti in un villaggio-vacanze a Olbia: "Ci faremo lavorare le nostre imprese", si sente dire in una intercettazione. "E' una millanteria", ha replicato la difesa: "Quell'affare non è mai andato in porto, così come nessuna delle proposte che ci sono state fatte. C'erano tante altre persone alle riunioni, basterebbe interrogarle. Ma questa indagine è stata fatta in fretta".

La presa d'atto delle dimissioni da consigliere regionale

Nel frattempo è arrivata la presa d’atto, da parte del Consiglio regionale del Piemonte, delle dimissioni da consigliere di Rosso. I primi a chiederle, con un ordine del giorno presentato nell'aula di Palazzo Lascaris, erano stati gli esponenti di Fratelli d'Italia, partito dal quale è stato espulso subito dopo l’arresto.

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