Con le nostre telecamere vi portiamo nel centro di ricerca supersegreto di Google a San Francisco. Dove centinaia di informatici, ingegneri e scienziati di ogni campo sviluppano le tecnologie del futuro con l'intelligenza artificiale
Immaginate un computer in grado di eseguire in tre minuti calcoli che la più veloce macchina esistente farebbe in diecimila anni. Immaginate un software capace di tradurre qualunque linguaggio, perfino quello animale. Immaginate, ancora, un algoritmo che possa diagnosticare una malattia da una semplice foto, e un tessuto intelligente che riconosce come viene toccato e comanda il telefono che avete in tasca, il vostro lettore musicale, o quello che volete. Adesso smettete di immaginare, ed entrate con noi nel laboratorio dove si progetta il futuro.
Nel centro supersegreto di Google
Sky Tg24 è volata a San Francisco, nel supersegreto e avanzatissimo centro di ricerca di Google, dove lavorano centinaia di informatici, ingegneri e scienziati di ogni campo. Tutto questo è scienza (non fantascienza...) e si chiama “intelligenza artificiale”. L’idea è piuttosto semplice: proprio come il cervello umano anche le macchine possono apprendere dall’esperienza. "Fino a ieri allenavamo i computer partendo da zero – ci racconta Jeff Dean, Senior Vice President di Google e capo del team che si occupa della ricerca sulla A.I. - gli facevamo osservare il mondo e loro potevano fare una cosa, o al massimo alcune. Se ci pensi, questo approccio è folle: è come dimenticare la tua intera educazione per ogni nuovo problema che devi risolvere. Quello che vogliamo fare oggi è invece avere un computer che esegua più compiti, insomma abbia una sorta di educazione, e impari dicendo: uhm, questo problema è simile ad altri che ho già superato, come posso usarli per risolverlo?". Così funziona ad esempio Kitty, cagnolino cibernetico che zampetta per la stanza superando gli ostacoli che si trova davanti.
Dalla salvaguardia di specie protette alla diagnosi di malattie
Il motore di ricerca più usato al mondo ha cominciato a investire in questo campo per migliorare il sistema di catalogazione delle informazioni su internet, lo ha esteso all’applicazione delle mappe e al riconoscimento delle fotografie in rete. Oggi, però, Google fa anche molto altro, perché questa tecnologia è sfruttata da organizzazioni internazionali e università. Ecco così che l’intelligenza artificiale aiuta gli scienziati a tracciare specie protette, come avviene grazie alla startup Rainforest Connection, che raccoglie i suoni provenienti dalle foreste pluviali di mezzo mondo e li scompone al computer, attribuendoli ai singoli uccelli. Oppure, l'intelligenza artificiale serve a combattere i cambiamenti climatici prevenendo le zone a rischio inondazione. Allo stesso modo gli algoritmi aiutano i medici a diagnosticare alcuni tipi di tumori o malattie come anemie o glaucomi, a partire da una scansione fotografica ad altissima risoluzione.
Tecnologie per superare gli ostacoli
In California incontriamo Dimitri Kanevsky, scienziato russo premiato dal presidente Obama per le sue ricerche sui software in grado di assistere i disabili. Dimitri ha perso l’udito a un anno di età, per questo ha sviluppato una applicazione in grado di riconoscere la sua voce e tradurla in simultanea. Oggi quel programma funziona con tutte le voci e in futuro comprenderà tutti gli idiomi. In teoria, questo algoritmo potrebbe un giorno farci letteralmente “parlare” con gli animali. Ma come analizzano i suoni, i programmi più avanzati riconoscono anche le immagini. Che bisogno c’è di muovere un mouse, ad esempio, quando il computer capisce direttamente il movimento della mano?
Una grande potenza di calcolo
Sean Fanello, 33 anni, ricercatore arrivato a Google da Pizzo Calabro (via Cambridge e poi Microsoft), ci spiega come funziona: "Come persone siamo bravissimi a capire le distanze: io riesco a capire che tu stai di fronte a me questo oggetto sta più avanti, e dietro ce ne sono altri. Una fotografia invece è un elemento piatto, quindi non conosciamo la distanza per ogni pixel, conosciamo soltanto il colore. Con la A.I. riusciamo ad addestrare tutta una serie di macchine in modo che quando mostrerò una nuova foto all'algoritmo, questo sarà in grado di darmi la distanza precisa per ogni punto della telecamera. Per tutto questo, la potenza di calcolo è fondamentale.
Il computer quantistico
Il Sacro Graal degli elaboratori elettronici si chiama computer quantistico, e da anni in tutto il mondo è in corso una gara a realizzarlo. Lo scorso ottobre Google ha annunciato di esserci riuscita, anche se i rivali di IBM sono scettici: fondamentalmente si tratta di un calcolatore superveloce, che permetterà di fare cose ad oggi inimmaginabili. Come sempre, però, il futuro porta con sé anche dei rischi. Arriverà il giorno in cui le macchine soppianteranno gli uomini? "Io penso al machine learning come a uno strumento", spiega ancora Jeff Dean. "Bisogna distinguere le cose che possono fare i computer da quelle che dovranno continuare a fare gli uomini, perché ci sono compiti per i quali i calcolatori non sono adatti". Ma non è un fenomeno nuovo. Negli ultimi 200 anni abbiamo introdotto tecnologie che hanno immediatamente evidenziato cosa fosse più adatto a una macchina. "Se pensiamo al Machine Learning come a uno strumento, i computer ci aiutano davvero a fare cose nuove in combinazione con loro, piuttosto che sostituirci. L'intelligenza artificiale sarà sempre più integrata nella vita di tutti i giorni", sottolinea ancora Fanello. "L'importante è che l'utente sia al centro di questa innovazione, ovvero che abbia totale controllo dell'intelligenza artificiale che possa decidere utilizzarla e quando no".
Principi etici
Il tema resta comunque delicato. Chi programma questi software avrà sulle nostre vite un controllo eccessivo? Se i computer imparano dagli input che diamo loro, che sarà della nostra privacy? Per rispondere a queste domande, Google ha adottato principi etici all’insegna della trasparenza, della condivisione di tecnologie e risultati, e della tutela dei dati personali. Gli scienziati hanno ben presenti i pericoli di un uso distorto delle loro scoperte. Ma, da ingegneri, rispondono con una battuta: più che dell’intelligenza artificiale, sarebbe meglio preoccuparsi della stupidità naturale.