Amazon guarda a OpenAI?

Amazon sarebbe immersa in colloqui preliminari con OpenAI per un investimento-monstre che potrebbe raggiungere o superare i 10 miliardi di dollari. Secondo quanto riportato da Reuters, le discussioni sono in corso e non è ancora certo che si arrivi a un accordo definitivo. Ma l’operazione si inserisce in un momento chiave per OpenAI, impegnata a raccogliere nuovi capitali dopo la riorganizzazione della propria struttura societaria, funzionale a future aperture ai mercati e in particolare a una possibile quotazione in Borsa con valutazioni che supererebbero il trilione di dollari. Per Amazon si tratterebbe del più significativo investimento diretto nella società guidata da Sam Altman, storicamente legata a Microsoft, che resta il principale partner industriale e finanziario. Il nodo infrastrutturale: chip e cloud al centro dell’accordo Il cuore strategico della trattativa, naturalmente, non ruota solo intorno al capitale. Una parte rilevante dell’intesa allo studio riguarda l’utilizzo da parte di OpenAI dei chip di intelligenza artificiale sviluppati da Amazon, in particolare Trainium, progettati per l’addestramento e l’inferenza di modelli su larga scala. Per il gruppo fondato da Jeff Bezos sarebbe un passaggio cruciale: dimostrare che le proprie soluzioni hardware possono competere con le onnipresenti e ambitissime GPU Nvidia, oggi dominanti nel mercato AI, e rafforzare il posizionamento di AWS come alternativa credibile ad Azure di Microsoft per i carichi di lavoro più avanzati. In questo senso, l’investimento assumerebbe una valenza industriale simile a quella già vista con Anthropic dei fratelli Daniela e Dario Amodei, dove capitale, cloud e hardware sono stati legati in un’unica strategia. Da fornitori a partner strategici Amazon e OpenAI collaborano già sul piano commerciale: AWS offre infatti modelli OpenAI tramite servizi enterprise e soluzioni personalizzate, seppur in modo meno esclusivo rispetto ad Azure. L’eventuale ingresso diretto nel capitale rafforzerebbe questo rapporto, trasformandolo da semplice partnership tecnologica ad alleanza strategica di lungo periodo, con Amazon in grado di influenzare, indirettamente ma non troppo, le scelte infrastrutturali di uno dei principali sviluppatori di modelli generativi al mondo. Reuters riferisce anche di discussioni relative alla fornitura ad Amazon di versioni per le imprese dei prodotti OpenAI, inclusi strumenti basati su ChatGPT, senza che al momento emergano dettagli su integrazioni dirette nei flussi di e-commerce o nelle interfacce consumer. Dove pure Rufus e Alexa, gli strumenti AI di Amazon, finirebbero per integrare soluzioni di Altman & co. Gli altri investimenti AI di Amazon: una strategia coerente L’operazione OpenAI non sarebbe isolata. Amazon ha già investito miliardi in Anthropic, diventandone uno dei principali finanziatori e partner cloud esclusivi, e ha sostenuto altri player nel campo dei modelli LLM e dell’AI generativa. A differenza di Microsoft e Google, infatti, il colosso guidato da Andy Jassy ha scelto una strategia diversificata: non puntare su un solo campione ma costruire un portafoglio di alleanze in grado di alimentare AWS come piattaforma neutrale per l’intelligenza artificiale. In quest’ottica, OpenAI rappresenterebbe non un’alternativa ad Anthropic ma un ulteriore tassello per intercettare domanda, carichi di lavoro e sviluppo tecnologico, mantenendo Amazon al centro dell’infrastruttura globale dell’AI. “L’intelligenza artificiale sta assumendo un ruolo sempre più simile a quello di un’infrastruttura essenziale, paragonabile all’energia elettrica: una fonte vitale per l’innovazione – spiega Mario Moroni, esperto di tecnologia e innovazione e podcaster di successo col suo Il Caffettino - chi controlla l’AI controlla l’infrastruttura e, di conseguenza, una parte rilevante del futuro economico, industriale e persino geopolitico. La competizione non si gioca più solo sulla qualità dei modelli, che oggi evolvono meno rapidamente di quanto la percezione pubblica suggerisca, ma sulla capacità di farli funzionare dentro applicazioni quotidiane, servizi indispensabili e piattaforme da cui è difficile uscire. È questo il vero terreno del lock-in industriale che spiega gli investimenti di Microsoft in OpenAI, l’accelerazione di Google su Gemini e ora anche l’interesse strategico di Amazon. In questo contesto le grandi aziende tecnologiche affidano a OpenAI il ruolo di soggetto che “rischia”, sperimenta e spinge sull’avanguardia, assumendosi anche il rischio reputazionale, mentre i grandi investitori restano centrali sul piano dei diritti e delle quote ma più protetti. Il risultato è un equilibrio in cui OpenAI tende a configurarsi come un’infrastruttura relativamente più libera e aggressiva sul mercato, sostenuta da più attori, mentre sullo sfondo si delinea anche una logica di contenimento geopolitico, con gli Stati Uniti che, attraverso alleanze tra grandi gruppi tecnologici domestici, cercano di arginare l’avanzata della Cina sul fronte dell’intelligenza artificiale”. Oltre il ritorno finanziario: il vero senso dell’operazione Dal punto di vista finanziario, un ingresso in OpenAI consentirebbe dunque ad Amazon di partecipare alla crescita di uno degli asset più strategici del decennio. Ma il valore reale è soprattutto industriale e geopolitico. L’obiettivo è presidiare l’infrastruttura e fare di AWS il luogo dove l’intelligenza artificiale viene addestrata, distribuita e scalata, indipendentemente dal modello utilizzato. Trasformarla nell’autostrada dell’AI, specie per il mondo enterprise. Poi naturalmente il passo aprirebbe la strada a integrazioni più profonde nell’ecosistema Amazon, dalla logistica intelligente all’assistenza clienti, da Alexa ai servizi per sviluppatori, senza vincolarsi a un solo fornitore di modelli. Anche se non mancano i rischi: “Questo scenario si inserisce in un contesto che molti analisti descrivono come l’avvicinarsi di una possibile bolla dell’intelligenza artificiale generativa, attesa tra il 2027 e persino prima, con dinamiche che ricordano la bolla delle dot-com dei primi anni Duemila – conclude Moroni - una fase di forte speculazione seguita da una correzione che, pur dolorosa, potrebbe contribuire a stabilizzare il mercato e a ridimensionare i modelli più fragili. La differenza rispetto ad allora, però, è sostanziale: oggi non c’è solo la competizione interna agli Stati Uniti ma una Cina che ha fatto passi avanti significativi nella robotica, nell’intelligenza artificiale e nella formazione tecnico-ingegneristica, ponendo il rischio che un’eventuale bolla colpisca soprattutto il mercato americano, accelerando ulteriormente il vantaggio cinese. In questo quadro, anche l’operazione Amazon–OpenAI evidenzia l’assenza strutturale dell’Europa, rimasta ai margini sia della generativa che della robotica, con il risultato di un continente sempre più confinato al ruolo di cliente finale, spesso costretto a pagare servizi costosi senza avere un reale controllo sull’infrastruttura. A complicare ulteriormente lo scenario c’è il fatto che OpenAI prevede aumenti progressivi dei prezzi dei propri abbonamenti almeno fino al 2029, un elemento che rafforza l’idea di un mercato in rapida concentrazione, mentre l’Europa resta sostanzialmente spettatrice”.

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Simone Cosimi