Emilia-Romagna, i droni per la semina nei campi allagati dalle alluvioni

“Dal 2023 qui è cambiato il mondo”, l’osservazione è netta. A Ravenna Claudio Mazzotti è il direttore generale del C.A.B., la Cooperativa Agricola Braccianti di Campiano. Nella sua voce, ferma e tranquilla, c’è la concretezza di chi è abituato a non girare intorno alle cose, ma con le parole arriva subito al punto. E il punto, da queste parti, è che c’è un prima e un dopo il maggio di 2 anni fa. L’alluvione che ha devastato l’Emilia Romagna non è stato un fenomeno isolato ma un punto di non ritorno. Il cambiamento climatico segna necessariamente la fine di un’epoca. E Mazzotti ne è convinto. Lo certificano le piogge straordinarie che hanno causato in questa regione nuove alluvioni nell’autunno scorso, “Da settembre a dicembre è caduta la pioggia di un anno intero. I nostri campi allagati sono ancora impraticabili”. I trattori non possono essere utilizzati nei terreni dove l’acqua non è defluita. Sprofonderebbero. Ora che è periodo di semina occorreva una soluzione alternativa alle tradizionali attrezzature agricole. Per la prima volta nei terreni del C.A.B. e di altre cooperative nel Ravennate e nel Ferrarese il rumore della semina, in questi giorni, non è il suono del motore di un grosso mezzo meccanico ma il ronzio elettrico e sottile delle eliche di un drone. Vola a 5 metri d’altezza, trasporta fino a 50 chili di peso, è pilotato a distanza ma su mappe impostate lavora anche in autonomia. Mazzotti, come siete arrivati alla rivoluzione dei droni? Il rischio era produzione zero e ricavi zero. I terreni allagati erano destinati a rimanere incolti. Ho 58 anni, lavoro la terra da 37 anni e non era mai successo. Il drone è stata quasi una scelta obbligata, era l’unica possibilità che avevamo. Ma non tutte le colture possono essere seminate con questo strumento. Il drone volando fa cadere il seme però non lo ricopre con la terra. Vanno bene i cereali, il grano tenero, duro e l’orzo. Mentre con il terreno in queste condizioni non so se ce la faremo con il coriandolo, l’erba medica, il pomodoro. Il drone non è la risposta a tutto. Abbiamo scelto di provare con il grano anche se non abbiamo certezze, non sappiamo che resa avrà. Gestire i terreni con questa tecnologia per noi è una sorta di esperimento. Dopo la semina, con il drone si procede allo stesso modo per la concimazione. Ma il grano lo abbiamo scelto soprattutto perché, se il raccolto sarà buono, potrà coprire i costi di produzione. Che sono più alti rispetto alla semina con normali attrezzature Molto più elevati. Abbiamo stimato costi superiori di quattro, cinque volte a quelli con trattore e seminatrice. Per la semina del grano il drone in un’ora completa poco più di due ettari, il trattore invece arriva a cinque ettari. Con il drone lavorano cinque persone, tre sono della società che lo mette a disposizione e due sono della nostra cooperativa. Durante la lavorazione, la semina si interrompe spesso. Ogni dieci minuti, per il cambio batteria, si fa atterrare il drone. E poi va ricaricato il serbatoio con i semi. La nostra è una cooperativa di 40 soci, questi maggiori costi a fronte di minori ricavi si traducono nel bilancio annuale in circa 600mila euro in meno. Come si ammortizza una spesa aggiuntiva simile? Certamente non ricadrà sul consumatore. Noi speriamo intanto di avere un buon raccolto. E poi ci auguriamo che il governo e le autorità territoriali mettano a disposizione aiuti per coprire i danni causati dal cambiamento climatico. Intendiamoci, le forti precipitazioni ma anche le gelate. Pochi giorni fa siamo andati sotto lo zero e si è compromesso il 40% della fioritura dei frutteti con piante di pesco. La tecnologia taglia posti di lavoro? Penso che la tecnologia non porti via il lavoro alle persone. Nel nostro caso serve per rispondere ai cambiamenti climatici, per cercare di ottimizzare le lavorazioni, dare un supporto alle decisioni e per salvaguardare l’ambiente. Cosa si può fare per i terreni, per evitare allagamenti come questi? Bisogna cominciare a regimentare le acque. C’è una rete di canali di scolo che non è adeguata al cambiamento climatico. Va allargata e migliorata. Poi occorrono casse di espansione e serve un piano di invasi per potere catturare l’acqua quando c’è e utilizzarla nel periodo estivo sempre più spesso segnato dalla siccità.

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