Gli ologrammi sono tornati: ma ci servono davvero?

Proiettarsi – letteralmente – ovunque nel mondo grazie a un ologramma. Una riproduzione di sé tridimensionale visualizzata all’interno di una grossa cabina con un display da quasi 90 pollici o in una versione più piccola, che ricorda un mini-bar casalingo. L’olandese Holoconnect aveva raccolto parecchie attenzioni l’anno scorso al Mobile World Congress, la grande fiera in corso a Barcellona che dalla telefonia racconta ormai a tutto tondo elettronica di consumo e innovazione. Quest’anno è tornata con versioni aggiornate dei suoi Holobox e Holobx Mini e pure con un atro progetto: oltre a trasmettere ologrammi di persone in carne e ossa, queste “cabine” possono ospitare, a seconda delle necessità degli avatar tridimensionali alimentati, o meno, dall’intelligenza artificiale. Oppure banalmente programmati per svolgere una serie di compiti. L’ologramma dall’immaginario anni Novanta alle applicazioni pratiche Fondata da André Smith e Marnix Lock, Holoconnects è una di quelle startup che maneggiano con destrezza un certo immaginario della fantascienza anni Ottanta - la saga di "Star Trek", dove in "Voyager" non manca neanche il dottore virtuale di bordo, è semplice, chi si ricorda “Automan”? - e Novanta fatta di navicelle spaziali e comunicazioni a distanza fra pianeti e mezzi a zonzo per lo Spazio interstellare, sposandolo al più raffinato immaginario cyberpunk e alle tecnologie attuali. Di ologrammi ne abbiamo visti parecchi in passato e per un periodo – diciamo fra dieci e quindici anni fa – sembrava che ogni gigante della musica prematuramente scomparso dovesse reincarnarsi sui palchi di mezzo mondo come ologramma: Whitney Houston, Michael Jackson, Tupac Shakur, Elvis Presley, Maria Callas, Roy Orbison, gli Abba quasi tutti vivi e vegeti ma con i propri alter ego virtuali. Per un po’ hanno fatto notizia, poi – anche se la storia è andata avanti – il filone si è afflosciato. Holoconnects imbocca una direzione totalmente diversa: gli ologrammi vuole portarli nella quotidianità e dar loro un’utilità pratica. Holobox e Holobox Mini forniscono infatti una visualizzazione olografica 3D di una persona, un prodotto o un logo, “trasformando la comunicazione creando esperienze immersive e interattive che offrono un coinvolgimento e un impatto senza pari” spiegano dall’azienda. Disponibili in nero, bianco o con un design personalizzato, i due scatoloni sono inoltre interessanti perché si tratta di sistemi "plug and play" con fotocamera integrata: attacchi la spina e se hai un’ottima connessione puoi portare gli ologrammi in qualsiasi luogo con latenza praticamente nulla. Abbiamo provato di nuovo il sistema alla fiera di Barcellona e l’impatto è sempre notevole. I possibili settori di applicazione La tecnologia olografica di Holoconnects ha teoricamente un numero enorme di applicazioni in settori come ospitalità, viaggi, assistenza sanitaria, vendita al dettaglio, intrattenimento, comunicazioni, eventi, istruzione, pubblicità e altro ancora. Negli ultimi due anni, per esempio, il sistema è stato usato per istruire e promuovere un'iniziativa Unicef per la sostenibilità e la soluzione climatica, aumentare la consapevolezza e il supporto per il Fondo centrale di risposta alle emergenze delle Nazioni Unite creando "una connessione viscerale tra i cittadini globali e gli individui che vivono in zone di crisi” o sostituire concierge e receptionist al D&B The Facility Group e in un hotel danese della catena alberghiera scandinava CIC Hospitality. La scheda tecnica. E la domanda filosofica Lato tecnico, Holobox sfoggia uno schermo LCD da 86 pollici anti-riflesso e naturalmente touch, speaker Hi-Fi da 80W, varie porte come due Hdmi, una Usb e una Usb touch, una Lan, connettori, output jack, luci dimmerabili per un peso complessivo di 200 chili. Sì, ma oltre il progetto, una soluzione del genere può davvero avere senso su larga scala? Forse, specialmente a scorrere foto e video delle prime applicazioni concrete sul campo di questi due anni, sì. Perché indubbiamente l’ologramma “scalda” più di un pessimo video bidimensionale proiettato magari in condizioni di luce sfortunate. Rapisce cioè l’attenzione. La plasticità tridimensionale porta sempre con sé un valore aggiunto e specialmente in alcune situazioni, diversissime fra loro, può avere un senso se i costi rimangono relativamente bassi. O se magari gli Holobox possano essere noleggiati per il tempo necessario, senza il bisogno di acquistarli. Le clip del loro uso ad esempio in una conferenza politica, per ospitare testimonianze e speaker lontani che non potevano intervenire di persona, ma per assurdo anche l’impiego pubblicitario specialmente in alcuni segmenti di prodotto, dall’automotive all’alimentare fino al travel, sembrano funzionare. Si collocano in un punto intermedio fra i cartelloni retroilluminati o i pannelli video e la presenza fisica dell’oggetto promosso. Vedremo se sarà una loro rinascita o se dovremo rimpiangere l’ologramma di Jacko.

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