Coding per bambini, il progetto di Ied Milano e Coderdojo

Tecnologia

Cristian Paolini

Imparare a programmare giocando ai videogiochi, un percorso che come ci spiega uno dei promotori del programma, Giacomo Cusano, può essere un primo passo verso quello che domani può diventare un lavoro

La scorsa settimana abbiamo parlato del progetto di Ied Milano e Coderdojo indirizzato ai giovani e giovanissimi che vogliono imparare a programmare giocando ai videogiochi. Un percorso che come ci spiega uno dei promotori del programma, Giacomo Cusano, può essere un primo, e in alcuni casi primissimo, passo verso quello che domani può diventare un lavoro, ma soprattutto un cammino dal valore formativo ed educativo a prescindere per chi vive il presente, ma è già proiettato nel futuro.

 

Insegnare a creare videogiochi, qual è il valore del percorso educativo che proponete?

Lo scopo non è quello di fare diventare per forza programmatori i partecipanti alle nostre lezioni, ma fornire abilità e competenze che vanno oltre. La differenza tra giocare a un videogioco e crearlo è la stessa che c’è tra progettare una cosa e viverci dentro. Non si mettono elementi a caso, ma serve progettazione. Si inizia dallo storytelling per passare allo studio dei personaggi e alla creazione dei dialoghi per arrivare a costruire un progetto definito dopo averlo solo immaginato. Ed è qui che ci si trova davanti alle prime difficoltà che riguardano la fase di realizzazione e che permettono di imparare molto. Noi stimoliamo lo spirito di collaborazione, spingendo i bambini e i ragazzi a confrontarsi tra di loro per trovare la soluzione prima di fare ricorso al mentor. Noi diciamo che copiare è bello in quanto il lavoro  di squadra ha un valore specifico: si tratta di prendere un’idea, anche di un altro, elaborarla e migliorarla. E’ il principio di Scratch che è la community alla base del lavoro di coding che proponiamo. Si tratta di un approccio nuovo in open source, utilizzando gli strumenti realizzati da altri, ma citandoli ovviamente.

Qual è lo sviluppo professionale che il vostro percorso può avere nel nostro Paese?

Il programmatore è in assoluto tra le professioni più richieste. Per quanto riguarda il mondo dei videogiochi, l’Italia non è certo ai primi posti nel mondo anche se ci sono tante realtà interessanti. C’è anche da dire che una volta lavorare in questo settore significava farlo in un’azienda strutturata, oggi una persona o anche un paio grazie alle app possono creare e vendere il loro prodotto esattamente come avviene in realtà leader come quella anglosassone o quella francese.

L’ex ministro Calenda è tornato ad attaccare i videogiochi, accusandoli questa volta di essere causa del crollo della lettura tra i giovanissimi. Lei cosa ne pensa?

Sinceramente penso che non sia una critica fondata. Quando ero giovane io il problema era la televisione, ora l’attenzione si è spostata sui videogiochi e sui social. Io credo che il punto sia l’educazione che i genitori impartiscono ai figli. Se mio figlio passasse tutto il giorno a leggere e non avesse il minimo contatto sociale sarebbe ugualmente un problema. Come lo sarebbe se dedicasse tutto il tempo libero a un’attività sportiva, cosa di per sé lodevole. E, sempre parlando dei videogiochi, i genitori devono assumersi anche la responsabilità di conoscere i giochi dei figli assicurandosi che siano adatti alla loro età.

Quali sono i giochi più adatti ai giovanissimi e quali quelli da evitare secondo la sua esperienza?

Sicuramente mi sento di consigliare i sandbox come Minecraft, visto che stimolano la loro creatività. Mentre sono profondamente contrario ai giochi che nella versione base sono gratuiti, ma che richiedono un pagamento per ricevere contenuti aggiuntivi perché fanno passare il messaggio, specie ai giovanissimi, che se vuoi migliorare devi pagare.

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