Perché è così difficile cambiare

La complessità dei negoziati sul clima

Tutti si domandano se la Cop26 di Glasgow, la conferenza sul Clima delle Nazioni Unite, sia stata un fallimento oppure un successo. È una domanda inevitabile viste le premesse. Eppure, è una cosa seria dare una pagella ad una cosa come la Cop? È una cosa seria liquidare con un voto il lavoro di decine di migliaia di persone che sono venute in Scozia (cosa è stato deciso alla Cop)?

Forse bisogna mettere le cose in prospettiva, capire da dove siamo arrivati e cosa ci ha portato qui. E soprattutto qual è la traiettoria che abbiamo in eredità per guardare adesso verso il futuro.

Albert Einstein diceva di non pensare mai al futuro, perché arrivava troppo presto. E sulla questione climatica il tempo è il bene più prezioso che abbiamo. Gli effetti della crisi ci sono arrivati addosso ancora prima che fossimo d’accordo sul fatto che era reale.

Il martelletto di Alok Sharma, il presidente della COP26, si è abbassato almeno per 57 volte per l’approvazione di altrettanti documenti, fatti di decine di migliaia di parole, ognuna con la sua sfumatura, approvata all’unanimità. Ecco ben rappresentato il concetto di complessità (IL TESTO INTEGRALE DEL "PATTO DI GLASGOW").

"Il processo delle COP è un processo molto importante molto complicato. Tutti i documenti che vengono approvati da questo tipo di conferenze devono essere approvati all'unanimità da tutti i Paesi presenti, cioè quasi 200. Quindi ogni parola è approvata da tutta l'assemblea plenaria. E questo vuol dire anche che ogni parola è pesata e ha un peso".
Antonio Navarra, Presidente del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici

Nell'ambito dei negoziati sul clima l'utilizzo della terminologia è estremamente importante a seconda dell'uso di un determinato tipo di verbi oppure di altri. Infatti le disposizioni inserite all'interno degli accordi possono assumere un significato estremamente diverso. Ce lo spiega Federico Brocchieri, esperto di negoziazione climatica.

"Il termine DECIDES, quello che viene incluso all'interno delle decisioni, è proprio un termine in cui si dice che la Conferenza delle Parti decide di adottare tutto ciò che segue. Quindi è un termine estremamente importante".
"SHALL è il termine che si utilizza per indicare delle disposizioni che devono obbligatoriamente essere rispettate da tutti i Paesi o da determinate categorie di Paesi a seconda di come viene poi specificato".
"SHOULD è invece un termine che indica un forte incoraggiamento ma non in maniera obbligatoria".
"Ci sono poi dei linguaggi dei termini più blandi come ad esempio MAY, quando si dice che tutti i paesi possono mettere in atto determinate azioni si sta indicando effettivamente un'ampia discrezionalità da parte degli stessi".
"Lo stesso vale per ARE ENCOURAGED TO: c'è un incoraggiamento agli stessi Paesi di mettere in atto determinate azioni o pratiche".

1,5°C

Nel 1988 il climatologo della Nasa James Hansen testimoniò davanti al Congresso USA per  spiegare  l'urgenza  della  questione  climatica

In realtà gli scienziati studiavano il Global warming già da tempo, ma la data da segnarsi è che il riscaldamento globale esordiva sulla prima del NYT “Global Warming Has Begun”

La testimonianza di James Hansen davanti al Senato Usa, il 23 giugno 1988

La testimonianza di James Hansen davanti al Senato Usa, il 23 giugno 1988

In questi trent’anni, alcune cose sono cambiate profondamente: l’opinione pubblica oggi sa di cosa stiamo parlando quando affrontiamo la questione climatica, e secondo recenti studi delle Nazioni Unite la grande maggioranza delle persone vede il problema del clima come un’emergenza globale. Al contempo la scienza ha fatto grandi progressi, i dati a disposizione oggi sono solidi, consistenti, e centri di ricerca da tutto il mondo ci aiutano a capire cosa sta succedendo. 

Anche a livello politico sono state fatte diverse cose. Oggi abbiamo un accordo globale da cui partire per provare a cambiare rotta.

Mauro Albrizio, direttore Ufficio Europeo di Legambiente

Mauro Albrizio, direttore Ufficio Europeo di Legambiente

Nel Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992 viene adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)

Nel 1997 viene approvato il Protocollo di Kyoto

Il punto più drammatico: la Cop15 di Copenaghen, nel nel 2009. Un grande fallimento

Nel 2015 l'accordo di Parigi alla Cop21: il primo accordo universale sul clima dove tutti, nel rispetto degli impegni comuni ma differenziati, secondo le proprie responsabilità e capacità, devono impegnarsi a livello globale per fronteggiare l'emergenza climatica

Quindi, il punto più drammatico a Copenaghen. All’arrivo in aeroporto erano visibili dei cartelloni di Greenpeace, in cui si immaginavano - nell’anno 2020 - i leader impegnati alla COP15 chiedere scusa per aver fallito nel dare una risposta alla crisi climatica. C’era qualcosa di profetico. Poi, però, c’è stato il successo di Parigi.

Item 1 of 3

Il cambio di passo è stato dunque l’accordo di Parigi, raggiunto il 12 Dicembre 2015 durante la COP21, siglato da 195 Paesi (IL TESTO INTEGRALE).

Nella storia delle negoziazioni sul clima per la prima volta i governi firmatari si impegnavano a contribuire a contrastare il cambiamento climatico mediante lo sviluppo di piani nazionali di decarbonizzazione. Un accordo che ha anche introdotto concetti quali l’adattamento e ha identificato la necessità per i Paesi di definire impegni finanziari coerenti.

Christiana Figueres, che è stata Segretario Esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici tra il 2010 e il 2016 e che ha guidato le negoziazioni di Parigi, ci aiuta a capire meglio il punto di svolta della Cop di Parigi

Christiana Figueres, che è stata Segretario Esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici tra il 2010 e il 2016 e che ha guidato le negoziazioni di Parigi, ci aiuta a capire meglio il punto di svolta della Cop di Parigi

L'obiettivo del negoziato internazionale sul cambiamento climatico è di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto i 2 gradi in più rispetto al livello preindustriale e cercare anche di fermarsi a 1,5 gradi.

Le differenze fra un grado e mezzo due gradi sono significative ma un grado e mezzo non va visto come una frontiera netta una soglia che separa in modo chiaro l'assenza di impatti. Una zona di sicurezza da una zona invece con rischi ingestibili e incontrollabili.

Più si limita il riscaldamento globale, più ci mettiamo al riparo di possibili sorprese climatiche. Pensiamo ad esempio alla circolazione della corrente del Golfo, al ciclo dei monsoni o alla stabilità delle calotte glaciali in Groenlandia o della penisola ovest dell'Antartide.

Uno degli incendi che hanno devastato la California nell'estate 2021

Uno degli incendi che hanno devastato la California nell'estate 2021

Già oggi, con poco più di un grado di aumento delle temperature globali (che significa più di due gradi e mezzo in Italia e più di tre gradi nella zona dell'Artico), stiamo già vedendo gli impatti del riscaldamento globale. Ad esempio per gli incendi, che si sono fatti più devastanti. Oppure le ondate di calore o le precipitazioni estreme.

Nell'estate del 2021 la Germania è stata colpita da violente inondazioni

Nell'estate del 2021 la Germania è stata colpita da violente inondazioni

La conclusione è che dobbiamo limitare il riscaldamento globale il più possibile. La soglia di un grado e mezzo è davvero molto ambiziosa perché di fatto significa raggiungere emissioni nette zero entro il 2050.

Uno dei cardini dell’accordo di Parigi sono i cosiddetti NDCs cioè i Nationally determined contributions. Ossia i piani nazionali di mitigazione delle emissioni di gas serra che ciascun Paese predispone, comunica e si impegna a conseguire nel tempo al fine di raggiungere i propri obiettivi di decarbonizzazione.

La somma dei diversi Piani nazionali ci dà una misura del percorso di riduzioni delle emissioni che l’umanità sta percorrendo. Niklas Höhne di Climate Action Tracker, ci può aiutare a capire se siamo sulla giusta rispetto al tetto del grado e mezzo di temperatura.

Niklas Höhne di Climate Action Tracker

Niklas Höhne di Climate Action Tracker

"Prima di Glasgow abbiamo detto che c'era un'enorme discrepanza tra dove vogliamo arrivare e ciò che gli Stati stanno davvero facendo. C'è un enorme divario, e se si calcolano tutti gli NDC e tutti gli obiettivi nazionali, le emissioni di gas serra si stabilizzeranno entro il 2030, mentre per l'obiettivo di 1,5° dobbiamo dimezzare le emissioni globali. C'è un enorme divario e nel 2030 emetteremmo il doppio del dovuto per raggiungere l'obiettivo di 1,5°".
Niklas Höhne

Il giudizio di Jennifer Morgan, inviata speciale per il Clima della Germania e per anni numero uno di Greenpeace

Il giudizio di Jennifer Morgan, inviata speciale per il Clima della Germania e per anni numero uno di Greenpeace

Hanno colpito alcuni NDC non modificati rispetto a Parigi, o che non hanno incorporato il livello di ambizione necessario a fornire un contributo di decarbonizzazione efficace e nei temi necessari. Sulla lista dei cattivi troviamo, ad esempio, Brasile, Corea del Sud, Australia, Russia, ma anche paesi insospettabili come Svizzera o Giappone.

Inoltre, ha fatto discutere l’obiettivo dell’india di raggiungere emissioni zero solo 2070.

Francesco Starace, amministratore delegato di Enel

Francesco Starace, amministratore delegato di Enel

Tra le voci più critiche invece quelle dei giovani, il cui peso ha avuto un rilievo in questa COP e in tutto l’avvicinamento.