SOLUZIONI
PER IL PRESENTE
L'umanità raccolta negli accordi internazionali
Il punto non è che non si parli di crisi climatica. Anzi, ormai da una ventina d’anni se ne parla tanto. Ma è importante scremare tutte queste informazioni e coglierne il senso. In particolare, occorre arrivare al punto in cui lo slogan lascia il posto al ragionamento e si riesce a cogliere la complessità dei temi legati al surriscaldamento globale.
C'è un momento in cui l’umanità deve parlare la stessa lingua e lasciare il complesso di Babele. La soluzione – le soluzioni – a un problema così complesso passano attraverso i negoziati. Perché una cosa è certa: nessuno può risolvere la crisi climatica da solo.
Una delle frasi ricorrente di tutte le ultime COP è “All hands on deck” - “tutti sul ponte”, tutti devono agire per aiutare: le persone, le imprese, le istituzioni. Agire dal basso e dall’alto. Se dobbiamo ridurre rapidamente le emissioni, fermare la deforestazione, rimuovere la CO2 in eccesso nell’atmosfera, allora non c’è dubbio: bisogna agire tutti insieme.
Il ritardo che abbiamo accumulato fa sì che, se oggi vogliamo stare ben sotto i 2 °C di aumento delle temperature a livello globale dobbiamo fare qualcosa di straordinario, e non da soli.
Ecco dunque il ruolo delle COP, che sta per Conferenza delle Parti. Si tratta di appuntamenti mondiali sul clima che hanno scandito negli ultimi anni i tentativi di mettersi d’accordo, tutti insieme, sulle soluzioni alla questione dei cambiamenti climatici partendo dai dati scientifici. Le COP sono un mondo a parte, complicato da capire. Però forse vale la pena fare questo sforzo. Riguarda la vita di tutti i giorni. Si tratta di una enorme riunione di condominio, in cui il condominio stesso è la Terra. Nessuno probabilmente ha piacere di partecipare ad una riunione di condominio nella vita di tutti i giorni. Eppure sono appuntamenti a cui, alla fine, bisogna andare, oppure occorre delegare qualcuno che ci rappresenti e parli per noi. E così accade anche per le Conferenze sul clima. Noi, come Italia, deleghiamo tra gli altri il Ministero dell'Ambiente. Abbiamo chiesto al ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Sergio Costa, cosa sono le Cop e cosa intende chiedere l'Italia durante il prossimo appuntamento.
La COP26 si doveva svolgere nel novembre del 2020 a Glasgow, ma è stata posticipata di un anno a causa della pandemia Covid-19. Ma il Covid non ha fermato completamente il negoziato, che è proseguito in incontri esterni, bilaterali, fra le parti, ad esempio fra Europa e Cina. Allo stesso modo il Covid non ha fermato la crisi climatica. Chi ha partecipato personalmente all’ultima COP, quella di Madrid, può testimoniare in tutta sincerità quanto sia complicato capire il meccanismo decisionale che regola questi appuntamenti.
Si tratta di un negoziato complesso, composto da cinque tavoli negoziali paralleli, perché sono davvero tanti gli argomenti su cui bisogna mettersi d’accordo.
Ma come funziona il processo negoziale legato alle Cop e a tutti i trattati firmati in precedenza? Lo possiamo vedere in questo grafico, che ricorda un po' le illustrazioni dei libri di scuola sui gironi danteschi rappresentati nella Divina Commedia.
Per districarsi in questo inferno di negoziazioni fatto di numeri, date e nomi è necessario trovare un buon Virgilio, tanto per restare in tema, come Stefano Caserini. Un mondo respingente, complicato più degli acronimi che servirebbero a capire meglio e invece finiscono con il disorientare. Chi conosce bene le COP dall’interno sono i negoziatori. Sono persone reali, che lasciano le hall delle Cop ed entrano nelle stanze dove si discute dei problemi legati al clima da un punto di vista tecnico. Uno di questi è Federico Brocchieri: a lui abbiamo chiesto come è la vita del negoziatore e quali sono le parti in causa durante queste trattative.
In effetti i negoziatori fanno un lavoro difficile e faticoso. Le trattative, nelle fasi finali delle COP spesso durano intere giornate e proseguono nella notte. Quelle ore interminabili di discussione sono un lento processo incrementale, fatto di piccoli passi avanzamenti e a volte passi indietro, come in tutte le trattative.
Di stalli e di ripartenze durante le trattative ci parla Mauro Albrizio, che dirige l'Ufficio Europeo di Legambiente a Bruxelles, che ha vissuto quei momenti di confronto durissimo durante le COP.
Un percorso accidentato che alla fine che ha prodotto l’Accordo di Parigi, che è stato un punto di svolta nella lotta al cambiamento climatico. Con l’Accordo di Parigi sono chiari gli obiettivi e il processo con cui tutti i Paesi devono fare di più. Ora si può dire che è il momento dei “compiti a casa” per tutti gli Stati. Ce lo racconta Janos Pasztor, Executive director del Carnegie Climate Governance (C2G) Initiative, che conosce molto bene e da vicino il Palazzo di Vetro e l'Accordo di Parigi.
E qui entrano in campo gli NDC, i Contributi Nazionali Determinati, di cui ha parlato in precedenza anche il Ministro Costa. Sono oggi uno dei punti centrali del negoziato sul clima. Si tratta degli impegni volontari dichiarati dagli Stati per ridurre le emissioni di gas climalteranti, per aumentare la produzione di energia rinnovabile, e così via. Nel 2015, con l'Accordo di Parigi, c’è stato il primo giro di impegni. Ogni 5 anni questi stessi punti devono essere rivisti al rialzo, fino a quando, sommando tutti gli impegni volontari, si arriverà ad essere in linea con l’obiettivo di contenimento dell'aumento delle temperature globali. Sommando gli impegni del 2015 non si arriva ad un livello di emissioni compatibile con “il rimanere ben sotto i 2°C”, come vuole l’Accordo di Parigi, bensì si toccano i 3° C.
Bisogna quindi capire chi sta facendo di più, e chi meno, nella lotta al cambiamento climatico. Bisogna individuare quali sono i Paesi con le migliori strategie a lungo termine. Per ora disponiamo di uno strumento che ci permette di monitorare questo apporto. Le pagelle alla performance climatica dei singoli attori a livello mondiale le dà Climate Action Tracker. Ce ne parla Niklas Höhne.
Climate Action Tracker dà delle vere e proprie pagelle sui progressi nella riduzione della CO2. Abbiamo chiesto al ministro Costa che pagella ha l'Italia.
Intanto possiamo affermare che, come Unione Europea ,abbiamo già ridotto le emissioni di gas serra. Siamo a circa il 25% in meno rispetto ai livelli del 1990, quindi l’impegno per i prossimi 10 anni aumenta significativamente. Qualcosa è stato fatto, ma per raggiungere il 55% di riduzione delle emissioni bisogna cambiare marcia, perché abbiamo soltanto pochi anni.
Questo numero è stato incardinato nella "Legge europea sul clima", come possibile base dell'NDC europeo del 2020. Ma va ricordato che c’è stato un voto del Parlamento europeo, un emendamento alla "Legge europea sul clima", che ha chiesto di innalzare l’obiettivo al 60% sempre al 2030. Si inizia a fare veramente sul serio.
In questo processo di cambiamento, l'opinione pubblica e la pressione della società civile hanno un ruolo cruciale. Noi abbiamo chiesto a Jennifer Morgan di Greenpeace International qual è il ruolo di una ong come Greenpeace nel contesto delle COP.
Di pressione della società civile nel suo complesso parla anche Nigel Topping, nel ruolo di High-Level Climate Action Champion per il Regno Unito, sottolineando soprattutto la spinta dei giovani nel chiedere interventi più incisivi per la riduzione delle emissioni.
Oltre alle ONG, ci sono poi gli stakeholder. Si tratta di alcuni tra gli attori cruciali nei processi di trasformazione che si confrontano con i Paesi, con la ricerca, con le ONG e con la stessa società civile, perché hanno le competenze per fare da driver in questi stessi processi. Tra le aziende che fanno sentire la propria voce c’è Enel X, uno dei partecipanti fissi delle COP: sostiene la mitigazione attraverso l’elettrificazione dei consumi. Abbiamo ascoltato le parole di Francesco Venturini, Amministratore Delegato di Enel X.
Torneremo sul processo di elettrificazione dei consumi, un processo necessario nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Ma da solo non basta. Deve essere necessariamente accompagnato dalla ricerca di processi di efficienza energetica. Non c'è miglior spot, sotto questo punto di vista, della "casa solare passiva" di Amory Lovins, del Rocky Mountain Institute, sulle montagne del Colorado. Lovins è il creatore del concetto di "Negawatt" ed è uno dei più importanti innovatori nei processi di efficienza energetica. E lì, nella sua casa, il futuro è già iniziato.
La casa di Amory Lovins, con la piantagione di banani dentro, immersa nel freddo delle Montagne Rocciose eppure priva di riscaldamento, è senz'altro eccezionale. Le case solari passive rappresentano senz'altro la frontiera dell'efficienza energetica. Ma non occorre essere tutti Ronaldo o Messi, essere al top dell'efficienza energetica e dotati di una simile abitazione, per poter far qualcosa nella partita climatica. Una prima cosa che possiamo fare per dare il nostro contributo è cercare di essere più efficienti nei nostri consumi, nel modo in cui ci muoviamo o abitiamo le nostre case. Oggi è possibile riqualificare le abitazioni per ridurre in modo drastico i consumi.
Molti case e appartamenti sono in classe G; se si passa alla classe C si dimezzano i consumi di energia, con la classe A i consumi scendono di 5 volte, dunque diventano un quinto rispetto al valore precedente. E poi ovviamente, in cima alla scala, ci sono le case passive, la frontiera dell’edilizia sostenibile cui abbiamo fatto cenno: case che non usano energia fossile, ma che consumano solo l’energia rinnovabile che producono.
Già ottenere una casa in classe A, o anche migliorare la propria abitazione di 3 o 4 classi, vuol dire dare un contributo importate per il problema del cambiamento climatico. Vuol dire prepararsi al mondo in cui, come europei, vogliamo fare a meno dei combustibili fossili. Il mondo del 2050, che ormai non è più così lontano. Si può approfittare dei bonus che consentono di riqualificare la propria abitazione con un doppio salto di classe. E c'è anche una convenienza economica. Ma occorre anche una progettazione adeguata di questi interventi per identificare dove sono le fughe di calore, e dove la casa è maggiormente "un colabrodo energetico" grazie alla termografia edile. Importante è anche trovare il modo di fornire energia alla casa senza combustibili fossili, magari con l'elettricità e una pompa di calore.
E, a proposito di spifferi, c'è una casa molto particolare che sicuramente non ne ha, usa esclusivamente energia prodotta da fonti rinnovabili e orbita a 400 km sopra le nostre teste. Si tratta chiaramente della Stazione Spaziale Internazionale. Abbiamo chiesto a colui che ne è stato il comandante di farci un esempio di efficienza energetica a bordo: Luca Parmitano, astronauta italiano dell'ESA.
Se ci spostiamo verso l'elettricità, quella grande quantità di energia nei vari settori che oggi soddisfiamo con i combustibili fossili andrà rimpiazzata con grandi quantità prodotte da fonti rinnovabili. Ci sono diversi studi che dimostrano come sia possibile soddisfare l'intero consumo energetico con le rinnovabili. Uno dei pionieri in questo settore, che per primo ha studiato i sistemi energetici basati soltanto sul vento, sul sole e sull'energia elettrica, è Marc Jacobson dell'Università di Stanford.
La proporzione futuro/presente è la chiave di lettura per capire a che punto la transizione energetica è arrivata. Anche Lovins, in precedenza, ha parlato di tecnologie che già esistono, ma che vengono utilizzate in maniera differente.
L’elettrificazione della mobilità - abbiamo detto - è un esempio quotidiano di elettrificazione dei consumi. Ma sembra ancora lunga la strada per questo futuro, per arrivare ai concetti di smart grid, o smart city, che rappresentano il contesto in cui la rivoluzione elettrica si dovrebbe compiere. Ne abbiamo parlato con Francesco Venturini, Amministratore Delegato di Enel X.
Il fatto che il futuro stia arrivando ancor più velocemente di quello che noi ci aspettassimo crea degli scompensi e degli squilibri sociali. Una trasformazione, quella della transizione energetica, che potrebbe cogliere alcuni player impreparati.
Just Transition, la giusta transizione, significa non lasciare indietro nessuno. La rivoluzione dell’energia che abbiamo davanti porterà tanti posti di lavoro, ma alcuni inevitabilmente verranno persi, in particolare nei settori più vicini ai combustibili fossili. Un numero inferiore a quelli che saranno creati, dunque nel complesso c’è un beneficio. Ma non sono gli stessi posti di lavoro, sono altre tipologie. Per cui è importante occuparsi dei lavoratori che saranno penalizzati dalla transizione, e non per loro colpa. Serve una strategia industriale moderna, serve formazione, servono risorse dedicate. Ce ne parla ancora Amory Lovins.
E proprio per tutelare i lavoratori e gli scompensi sociali di questa transizione è stato creato un fondo. Si chiama Just Transition Fund. Come ha intenzione di utilizzare questi fondi l'Italia? Lo abbiamo chiesto al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Sergio Costa.
Di Just Transition Fund parleremo anche nel successivo longform, insieme al Vicepresidente esecutivo della Commissione Europea e commissario per Clima e Green Deal, Frans Timmermans. Intanto inquadriamo un altro degli aspetti della mitigazione dei cambiamenti climatici, ovvero la rimozione della CO2 dall'atmosfera.
Dopo a drastica rimozione nelle emissioni di gas climalteranti, sarà necessario rimuovere dall'atmosfera centinaia di miliardi di tonnellate di CO2. Si può fare in diversi modi: uno è espandere la presenza delle foreste sul nostro pianeta, o usare tecniche conservative nell'agricoltura per rimettere carbonio nel suolo. E poi ci sono tanti altri sistemi e tecnologie che vengono studiate e sono oggi un punto di ricerca importante per molte università in tutto il mondo. Ce ne parla Sabine Fuss, Sustainable Resource Management and Global Change dell'MCC Berlin.
Il metodo più naturale per rimuovere la CO2 dalla nostra atmosfera è affidato ai nostri alberi, che ricoprono il pianeta Terra e riescono a rimuovere fino a un terzo delle emissioni totali di CO2 da parte dell'uomo. Della loro importanza ci parla la FAO, in questa clip realizzata in occasione della Giornata internazionale delle foreste 2020.
Il surriscaldamento globale mette a rischio anche le grandi foreste del Pianeta, che devono subire gli impatti non solo della deforestazione, ma anche dei grandi incendi. Incendi che si fanno sempre più devastanti per effetto dei periodi siccitosi più prolungati o dell'aumento delle temperature portate dal riscaldamento globale. Abbiamo visto cosa è successo in Amazzonia, in Siberia, in Australia o in California. Quindi le foreste potranno darci un contributo per permetterci di stabilizzare le temperature globali: sono una soluzione, ma non possono essere l'unica strategia.
E proprio di incendi come quelli appena citati, che hanno cambiato la geografia della nostra vita, ad esempio della Napa Valley in California, parleremo nel prossimo longform di Impact, guardando a ciò che succederà nel futuro, a tutti questi impatti che sono già presenti e con i quali bisogna fare i conti.
Link di riferimento
L'economia circolare secondo Enel.it: https://corporate.enel.it/it/economia-circolare-futuro-sostenibile
La mission Enel #connettilatuaenergia:https://corporate.enel.it/it/storie/a/2020/07/nuova-energia-connette-ogni-cosa-futuro-sostenibile
Archivio Storico di Enel: https://archiviostorico.enel.com/
Blog Climalteranti: https://www.climalteranti.it/category/temperature/
Il programma del Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con l’Ufficio dell’Inviata Speciale delle Nazioni Unite per i Giovani e il programma Connect4Climate della Banca Mondiale, che promuove incontri virtuali e interattivi rivolti ai giovani di tutto il mondo in vista dell’evento speciale “Youth4Climate: Driving Ambition” e della Pre-Cop26, che si svolgeranno entrambi a Milano nell’autunno 2021 e che, per la prima volta, consentiranno ai giovani di dare un contributo alle negoziazioni tra i quasi 200 paesi membri della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici: https://youth4climate.live/