The Bad Guy 2, i registi: "Accorsi agente segreto? Volevamo solo lui"

Su Prime Video è finalmente disponibile la seconda stagione di “The Bad Guy”, la serie creata da Ludovica Rampoldi, Davide Serino, Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana e prodotta da Indigo Film e Amazon MGM Studios in collaborazione con Fifth Season. Stasi e Fontana sono anche i due registi. E se Stasi si è occupato insieme agli altri sceneggiatori della scrittura, Fontana ha firmato il montaggio. Lavorano insieme da molto tempo. Negli anni, fin dai loro inizi con i cortometraggi e i video su Youtube, hanno avuto modo di sviluppare una visione precisa, in cui convivono citazioni e riferimenti e in cui comicità e drammaticità si muovono quasi parallelamente. La seconda stagione di “The Bad Guy” riprende esattamente dalla fine della prima: Nino Scotellaro , ex-magistrato diventato mafioso, è sulle tracce dell’Archivio che proverebbe l’esistenza di una trattativa tra Stato e Cosa Nostra. In scena entrano altri personaggi – mafiosi, ministri, agenti segreti – e il ritmo del racconto prende un’altra velocità e un altro passo. Per Stasi e Fontana, manca ancora qualcosa, un tassello finale, che sperano di poter girare dopo essere tornati al cinema con un nuovo film. La prima stagione di “The Bad Guy” si apre con una scena ambientata in una villa, e quella stessa villa, ora, torna nella seconda stagione. Avevate già un canovaccio con tutti i punti di contatto e le sequenze chiave da inserire? Giuseppe G. Stasi: Quella scena, in particolare, è successa. Non l’avevamo minimamente prevista. E infatti c’è una battuta che abbiamo tagliato, e che abbiamo inserito dopo, che dice Suro e che fa: “Non c’è niente di più sicuro di un immobile sottoposto a sequestro”. Giancarlo Fontana: Chiaramente ci sono alcune cose che avevamo già preso in considerazione. Stasi: Il peluche del delfino, per esempio, era previsto. Così come erano previsti altri easter egg sparpagliati in giro per le puntate. Ci siamo divertiti a offrire elementi ulteriori agli spettatori più attenti. Fontana: La prima stagione non è finita per mancanza di idee, come qualcuno ha suggerito malignamente; è finita perché doveva finire. Stasi: Abbiamo chiuso con un cliffhanger. Fontana: E molti, questa cosa, non ce l’hanno perdonata. Sapevamo perfettamente come andare avanti, come far uscire Nino da quella situazione. Stasi: E sapevamo che l’attenzione si sarebbe spostata sulla ricerca dell’Archivio. La prima a citarlo è Leonarda . A proposito di citazioni e riferimenti e a proposito di questa vostra intenzione di offrire ulteriori livelli di lettura allo spettatore: quanto sono importanti per voi, per la costruzione del racconto? Una citazione, per intenderci, vi permette di risolvere anche dei problemi di messa in scena? Stasi: Le dico soltanto una cosa: questo studio dove siamo ora si chiama “Cit. Studio”. E non è un caso. Noi ricorriamo spessissimo al citazionismo. E lo facciamo anche fuori dal set. Fontana: Citiamo film che ci hanno formato e che ci hanno accompagnato per una parte importante della nostra vita. Stasi: E a volte ci sono delle citazioni palesi. Pensi che c’è stata un’inquadratura che la troupe, non noi, ha chiamato “inquadratura Ritorno al Futuro”. Prima di girare, abbiamo fatto vedere la scena a cui ci stavamo riferendo. Fontana: Durante le riprese siamo soliti preparare dei montaggi che contengono elementi di altri film e di altre serie, proprio per restituire il “mood” che abbiamo in mente. Nella seconda stagione, le citazioni ci hanno permesso di risolvere dei problemi tecnici. E che cosa avete citato? Fontana: Il dialogo tra Hooper e Brody de “Lo Squalo”. Stasi: Tra l’altro, noi quella scena l’abbiamo dovuta girare di notte per avere una situazione – diciamo così – più tranquilla. Fontana: E per restituire un’idea precisa di quello che avevamo in mente, abbiamo detto proprio così; abbiamo detto: la facciamo come l’ha fatta Spielberg. Chi è che ha l’ultima parola? Stasi: Nessuno dei due. Anche quando abbiamo girato separati, ci mandavamo via WhatsApp le inquadrature che stavamo facendo. Fontana: Non c’è un’ultima parola. Non c’è qualcuno che comanda. Decide il buon senso. Stasi: La cosa bella di questo lavoro è che alla fine si decide tutto al montaggio. Quindi è Fontana che decide. Stasi: Sì, prima ti dice “facciamo così” e poi al montaggio taglia tutto. Fontana: A volte non dico proprio niente. Faccio direttamente dopo. Il fatto che l’attualità vi abbia inseguito e, in un certo senso, affiancato ha reso tutto più difficile? Alla fine delle riprese, c’è stato il pericolo di ritrovarsi tra le mani una storia già “vecchia”? Stasi: Per una serie così, sì. Moltissimo. Pensi al Ponte sullo Stretto. Prima di Salvini, ne aveva parlato solo Berlusconi. Quindi quando l’abbiamo scritta, era una cosa veramente vecchia. Poi la realtà ci ha superati. Anzi, se vuole, in un certo senso, è venuta in nostro soccorso. Una delle caratteristiche principali di “The Bad Guy” è l’equilibrio che viene raggiunto tra i vari elementi e i vari toni della trama: dal verosimile al paradossale, dal comico al drammatico. C’è stato però un punto, un “salto dello squalo”, oltre il quale non siete voluti andare? Stasi: In realtà non c’è una regola. Per la seconda stagione, abbiamo lavorato con due nuovi sceneggiatori: Giacomo Bendotti e Giordana Mari. Non nomino Fortunata Apicella perché lei c’è stata anche durante la prima stagione. Con Giacomo e Giordana, non abbiamo impostato niente, nessun vademecum. Ci siamo affidati al nostro istinto, e non abbiamo fatto niente che non fosse nelle nostre corde. Fontana: La verità è che non ci siamo proprio arrivati a quel punto di rottura. Forse è stato un ragionamento che abbiamo fatto dopo le prime stesure. Ma ora non saprei nemmeno dirle per cosa o in quale momento. C’è stata una vera e propria naturalezza in tutte le scelte che abbiamo preso. Ne “Il Sol dell’Avvenire”, Nanni Moretti dà un’idea piuttosto chiara del funzionamento e dell’organizzazione di realtà come le piattaforme streaming. Voi avete avuto dei momenti in cui i consigli dell’algoritmo – chiamiamoli così – si sono fatti pressanti? Stasi: Quasi sempre siamo stati indipendenti, e ci sono arrivate giusto delle veline. Non dico di no. La nostra filosofia però è un’altra. Tutte le scelte che abbiamo preso sono state frutto di una, ehm, “trattativa”. Se esistesse una formula, ci sarebbero solo serie di successo. Fontana: O film o in generale prodotti di successo. Stasi: Il pubblico non è stupido; lo capisce quando una cosa è stata fatta in libertà, e tende a premiarla. Fontana: Sicuramente abbiamo fatto una serie che a noi piace, e questo è fondamentale. Noi siamo contenti. Aldo Baglio è una delle aggiunte del cast di questa stagione. Vi piace prendere attori che, nell’immaginario comune, sono associati alla comicità e inserirli in contesti estremamente drammatici? Baglio, per intenderci, interpreta un mafioso. Fontana: È una cosa che abbiamo fatto spesso. Non solo con Aldo, che è famoso soprattutto per i suoi ruoli comici. L’abbiamo fatto anche con Luigi Lo Cascio ma al contrario. Luigi viene da un certo tipo di cinema ed è sempre stato visto in un certo modo. Qui, secondo noi, si libera al massimo e dimostra tutto il suo talento comico. Stasi: La vera natura di Luigi, che lui stesso nasconde, è profondamente comica. Noi siamo contenti di essere stati il detonatore che l’ha fatta venire fuori. Fontana: E la stessa cosa, poi, è successa con altri attori. In molti hanno associato “The Bad Guy” a “Breaking Bad”. E in effetti il percorso del protagonista è abbastanza simile: da brava persona a cattivo. Stasi: Secondo noi, però, c’è anche qualcos’altro. Perché non stiamo parlando di una persona qualunque. Stiamo parlando di un magistrato che passa dall’altra parte e diventa un mafioso. Ed è questa idea ad aver illuminato tutti. Perché? Stasi: Viviamo in un Paese che delegittima incessantemente la magistratura e il potere giudiziario. E noi sapevamo che un uomo che viene costantemente pungolato da questo odio e che a causa di questo odio perde tutto, la dignità e la libertà, si trova davanti a una scelta. Restare sulla retta via è difficile; abbandonarsi al male, invece, può sembrare quasi come una rinascita. Se nella prima stagione avete preso in giro una certa rappresentazione televisiva dei magistrati-eroi, nella seconda vi siete spostati su una rappresentazione quasi macabra della politica e del potere costituito. Anche questo faceva parte delle vostre intenzioni iniziali? Stasi: Le esagerazioni arrivano fino a un certo punto. La politica è sempre stata così. C’è il potere per il potere. Non per fare del bene, non per migliorare le cose, ma solo per avere altro potere. I politici vogliono essere longevi, e per esserlo sono disposti a giocare un ruolo secondario. Berlusconi, per il suo desiderio di essere sempre protagonista, non è mai riuscito a diventare Presidente della Repubblica. Com’è nato l’agente segreto interpretato da Stefano Accorsi? Stasi: Quando abbiamo cominciato a scrivere la seconda stagione, ci siamo subito detti che quel personaggio doveva essere interpretato da Accorsi. Fontana: Non c’erano altre possibilità. E lui vi ha detto subito di sì? Stasi: Aveva amato la prima stagione e si è detto disponibile a fare qualunque cosa per la seconda. Noi glielo abbiamo solo raccontato, il ruolo. Non avevamo nemmeno un copione finito. Fontana: Il look è effettivamente molto americano. Mentre giravamo è uscito “The Killer” di David Fincher, e molte cose ci sono sembrate simili. Però lo precisiamo: noi stavamo già lavorando a “The Bad Guy”. Accorsi, insomma, è il nostro Michael Fassbender. Fontana: Oppure è Fassbender a essere l’Accorsi inglese. Un ruolo fondamentale in “The Bad Guy” lo gioca la musica. In questa stagione, per esempio, c’è un brano di Lucio Dalla. Avete sempre avuto in mente queste canzoni durante la fase di scrittura? Stasi: Alcune sì. E in qualche modo ci hanno condizionato mentre giravamo. A volte, ci rendiamo conto di lavorare rispettando una sorta di partitura. E quando mettiamo la musica al montaggio, funziona perfettamente. In generale, quando iniziamo a scrivere, ci diamo una playlist. “Com’è profondo il mare”, in questa versione con i Tiromancino, non doveva essere dov’è poi finita, ma in un’altra scena. Era così bella, però, che si è trovata da sola il suo spazio. Dopo la palestra di dodici episodi, volete continuare con la serialità o volete tornare al cinema? Stasi: C’è un tassello mancante nella storia di “The Bad Guy”. Al di là di questo, voi che intenzioni avete? Fontana: Sentiamo indubbiamente il bisogno di evadere dalla serialità e di tornare a qualcosa di più contenuto e compiuto, un film che inizia e finisce in due ore. E quindi sì, vorremmo riprendere con il cinema. Stasi: Manchiamo da prima del Covid. E invece per la chiusura di “The Bad Guy”? Stasi: Dipende dai numeri. Se questo oracolo dell’algoritmo si pronuncia in modo favorevole, potremmo trovare il modo per concludere la storia. Fontana: Se ci sono le condizioni giuste, ovviamente. Stasi: Una chiusura manca e sentiamo di doverla dare al pubblico. Qual è la politica degli autori? Che responsabilità si ha quando si lavora a una serie come questa? Stasi: Noi siamo andati a briglia sciolta. Ci sono state chieste le fonti da cui siamo partiti per sviluppare la nostra storia, e ne abbiamo trovate diverse. Ranucci, per esempio, ha parlato abbondantemente della Trattativa nel suo libro, “Il patto”. Quando abbiamo creato dei personaggi, però, non ci siamo posti dei problemi. Perché la base e il contesto generale restano validi. “The Bad Guy” è un’eccezione in questo Paese? Fontana: Sicuramente per scriverla l’Italia è il posto ideale. Gli spunti sono ovunque. Produttivamente, dipende dai numeri. Se “The Bad Guy” dovesse andare straordinariamente bene, finirebbe per diventare un punto di riferimento. Come succede spesso: quando qualcosa va bene, viene ripreso e imitato finché non stufa. Stasi: Se avessimo avuto l’idea l'anno scorso e fossimo andati a proporla ad Amazon, difficilmente saremmo riusciti ad andare avanti. Fontana: Al momento non è un’idea riproducibile. “The Bad Guy” risponde alla nostra necessità di seguire una certa visione di bello. Perché si fa così tanta fatica nel raccontare questo genere di storie? L’Italia è un Paese troppo conservatore? Stasi: Forse sì. Forse siamo in difficoltà a raccontare una storia che si rifà alla realtà. In Inghilterra, sono riusciti a fare “The Crown”. Immagini se dovessero fare una serie sugli Agnelli in Italia. O una “Succession” sui Berlusconi. E poi c’è un altro problema. Quale? Stasi: Questo mestiere viene ancora visto come un gioco e non viene preso seriamente. Ma anche noi abbiamo i nostri rischi e i nostri problemi. Se manca questa consapevolezza, non ci sono proprio le premesse per poter lavorare seriamente. Fontana: C’è sempre un atteggiamento paternalistico nei confronti del pubblico. Si tende a sottovalutarlo. Tutti dicono di sapere cosa vogliono gli spettatori, ma non è vero. Stasi: Forse quello che ci frena è questo: siamo un Paese irrimediabilmente cattolico.

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