Continua la favola di Emily Cooper, la ragazza americana che si trasferisce a Parigi dove trova un bel lavoro, conoscenze interessanti e tanti vestititi alla moda. Arrivano su Netflix gli ultimi episodi della quarta stagione della serie
Emily in Paris non è una serie che va necessariamente presa alla lettera. Arrivata ai nuovi episodi della quarta stagione continua a proporre scenari e situazioni da cartolina (o selfie), ma grattando la superficie si può trovare di più. Si trovano, assai semplificate, aspirazioni e frustrazioni di donne e uomini di differenti generazioni, tutti alla ricerca di un equilibrio tra carriera e vita personale, tutti concentrati su sé stessi e tutti in balìa delle imprevedibili situazioni dell’esistenza sociale, tanto sorprendenti quanto inevitabili e decisive. I protagonisti, oltre che ossessionati dall’eleganza, sono eccentrici, ma in fondo non è difficile immedesimarsi durante lo show. Ci si può ritrovare in Emily, che sa come fare carriera, ma deve imparare ad amare e vivere il momento; o forse nel suo capo, una donna inflessibile eppure fragile; forse negli intrecci di letto e di convenienze; forse nel collega leale e comprensivo, o in quello esuberante.
Il quaderno di situazioni della serie ha una pagina per ogni episodio e nelle ultime puntate sposta l’azione da Parigi a Roma, dove Emily vive un’avventura che comincia con una vacanza sentimentale.
Partono da qui le interviste, innanzitutto con Lily Collins, l’attrice principale.
Nella quarta stagione ci sono Emily a Parigi e Emily a Roma: due personaggi in uno…
Sì, Emily a Roma è come in vacanza: è più calma, respira più profondamente, le interessa vivere un’esperienza piuttosto che impadronirsi di un’esperienza. La serie è comunque globale e la moda è in primo piano. Lo vediamo anche nella locandina, che evidenzia l’eleganza di Emily mentre scende la scalinata di Piazza di Spagna.
Qual è il suo rapporto personale con la moda?
Amo la moda da quando ero piccola, soprattutto quella comoda e pratica. In questa stagione ritrovo molto me stessa da questo punto di vista: mi piacciono i completi, i pantaloni, i maglioni, le camicie con il colletto, la tinta unita. C’è molto di Emily che vorrei fare mio e indossare.
Per Emily qual è l’equilibrio tra lavoro e vita?
Sta imparando: mi pare che quest’anno stia migliorando perché ci sono alcuni personaggi che le spiegano come si fa. Marcello, per esempio, le raccomanda di stare di meno al telefono e di vivere le situazioni invece di scattare fotografie. Credo che Emily abbia bisogno di essere sollecitata, perché fa parte di quella generazione che vuole trovare punti di riferimento nel telefono.
Lily Collins è figlia d’arte: il padre è Phil Collins, musicista di popolarità globale.
Lily, quanto è stato importante per lei essere immersa nell’arte fin dalla nascita?
Ho sempre saputo di voler essere un’artista in qualche modo. Scrivere, disegnare, dipingere, recitare, essere creativa sono nel mio sangue. È ciò che amo ed ho sempre amato.
Philippine Leroy-Beaulieu, l'attrice che nella serie è Sylvie Grateau, titolare della agenzia di marketing parigina per cui lavora Emily, a Roma ha trascorso l’infanzia. Suo padre, attore caro a generazioni di spettatori, era Philippe Leroy, che nella nostra capitale si era trasferito dalla Francia. Philippine parla benissimo l’Italiano.
Che effetto le ha fatto girare due episodi a Roma?
È stato bellissimo girare questa serie importantissima nella mia vita in una città importantissima per me. Molto commovente.
Perché questa serie è così importante per lei?
Perché ha cambiato la mia vita e poi ha dimostrato che anche dopo tanti anni si può tornare ad avere successi. Sylvie Grateau, il mio personaggio, mi ha ispirato per molte ragioni e mi ricorda anche mia madre e il suo lavoro nella moda. È anche un modo di ricordare le donne forti che conobbi da giovane, negli anni ’90: non solo forti e un po’ sgarbate, ma anche molto fragili e buone.
Vedo in lei lo stesso sguardo che aveva suo padre: lo sguardo di un attore che ha capito perfettamente la propria parte e guarda se anche gli altri l’hanno capita. Ci si ritrova?
Sì, anche nell’ironia del suo sguardo.
Darren Star è l’autore di Emily in Paris. È un regista, sceneggiatore e produttore di grande rilievo nel mondo e nella storia delle serie. Sue sono Beverly Hills 90210, Melrose Place e Sex and the city.
Vorrei chiederle quanto è difficile realizzare una serie che abbia successo in Occidente, Oriente, Settentrione e Meridione di questo mondo che cambia continuamente.
Non è possibile pianificarlo, ma certamente è rivoluzionaria la possibilità dello streaming. Nel mondo ognuno può vederla nello stesso momento e nella propria lingua, prima era impossibile.
Si tratta di pubblici molto differenti.
Sì, ma una città come Parigi attrae tutti e anche le storie sono universali. Il pubblico capisce che le storie interessanti possono arrivare da ogni posto.
Nella serie c’è una star che non compare ufficialmente nel cast: la moda. Qual è il suo ruolo?
Penso che sia molto divertente. È importante anche che il cast sappia cosa significhi indossare la moda e sia disposto a collaborare con i costumisti. Credo che al pubblico piaccia sempre vedere vestiti alla moda.
Perché ha messo a confronto Parigi e Roma?
Trovo che siano città yin-yang, il bianco e il nero. Secondo me Roma è l’altra città da sogno in Europa. Per la gente andarci, viaggiare, forse viverci, è un’aspirazione. Per Emily è un’esperienza nuova.
Philippine Leroy, lei è d’accordo? Roma è l’altra città da sogno d’Europa?
Per me è la prima, ma non si deve dire…