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Mercoledì, l'adolescenza complessa di un'emarginata. Recensione della serie tv

Serie TV

Gabriele Lippi

La prima serie tv di Tim Burton arriva su Netflix il 23 novembre, visibile anche su Sky Q e tramite app su NOW Smart Stick. Una teen dramedy a tinte gotiche che porta con sé l'estetica e la poetica tipiche del regista di Burbank. E una grande prova di Jenna Ortega

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L’adolescenza può essere un incubo, una specie di horror pieno di mostri e insidie. E viverla un’avventura complicata, soprattutto per chi non si riconosce nel branco. Mercoledì, la prima serie tv di Tim Burton che dal 23 novembre approda su Netflix (visibile anche su Sky Q e tramite app su NOW Smart Stick) si presenta come una dramedy teen a tinte gotiche in cui l’elemento del coming of age appare filo conduttore almeno quanto il mistery ricco di colpi di scena e la componente horror e soprannaturale.

Ph Credit: Netflix

Benvenuti alla Nevermore Academy

Già dal primo trailer, i produttori della serie ci hanno messo davanti all’antefatto che porta la giovane Addams a cambiare scuola per trasferirsi alla Nevermore Academy, un collegio per giovani outcast ai margini della cittadina di Jericho, pieno di lupi mannari, sirene, vampiri e gorgoni. Ora, dopo aver rovesciato dei piranha nella piscina del suo liceo per punire dei bulli, parrebbe quasi automatico che Mercoledì si trovi più a suo agio in mezzo a un gruppo di creature fantastiche, e invece così non è.

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REIETTA TRA I REIETTI

Mercoledì, semplicemente, appare del tutto distante dalla definizione di animale sociale. È solitaria e misantropa e preferisce passare il proprio tempo con un violoncello o davanti a una macchina da scrivere che a scattarsi selfie da postare sui social media. Così ci vuole poco perché pure alla Nevermore Academy l’idea di una sua integrazione si sgretoli. Reietta tra i reietti, Mercoledì non sembra riconoscersi nella quotidianità dei suoi coetanei e il destino vuole che finisca in stanza con una compagna che appare come il suo perfetto opposto. E non è un caso che il personaggio con cui pare trovarsi più a suo agio sia una Mano che non parla, che in inglese si chiama Thing, e con cui si innesca una divertente ed efficace dinamica da buddy movie.

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Ph Credit: Netflix

UN MOSTRO CHIAMATO SOCIETÀ

Anche se la protagonista si ritrova quasi subito a dover risolvere una serie di omicidi scavando nel passato della sua famiglia, il vero cattivo della serie non pare avere le sembianze di un mostro. È piuttosto, un prodotto della diffidenza, della paura del diverso, del dover apparire a tutti i costi, dell’omologazione a un canone prestabilito e dell’obbligo di rispondere ad aspettative predeterminate da altri. Le pressioni sociali e familiari sono il vero mostro che rischia di spezzare le identità di giovani adolescenti alla ricerca del loro posto in un mondo che non li comprende e li respinge. Il ribaltamento di prospettive viene perfettamente inquadrato nel ritratto di famiglie totalmente disfunzionali, tra le quali quella degli Addams, apparentemente la più assurda e distorta, risulta essere l’unica in cui i genitori mostrino quantomeno la volontà di comprendere le esigenze dei propri figli e assecondarne le inclinazioni.

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UN TIM BURTON IN GRANDE FORMA

La mano di Tim Burton è evidente. Nei primi quattro episodi, quelli diretti dal regista di Burbank, a dominare è un’estetica grottesca ma elegante, che gioca coi contrasti tra colori accesi e il bianco e nero di Mercoledì, tra la fotografia luminosa di Jericho e i toni più cupi della Nevermore Academy, una sorta di vivace Hogwarts i cui allievi si sfidano per conquistare la prestigiosa Poe Cup, dedicata al più celebre tra gli alunni dell’Accademia. Burton appare decisamente in forma e a suo agio con una storia che pare cucita addosso alla sua passione per l’universo narrativo della Famiglia Addams e alle tematiche a lui più care fin dai tempi di Edward Mani di Forbice. Al suo fianco un Danny Elfman ancora una volta magistrale nel costruire la colonna sonora perfetta per vestire la storia.

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UNA STREPITOSA JENNA ORTEGA

A brillare in un cast corale e giovane, che lascia le stelle Catherine Zeta Jones e Christina Ricci su ruoli secondari, è una Jenna Ortega straordinariamente brava nel portare per la prima volta sullo schermo una versione inedita di Mercoledì, un personaggio che per la prima volta vediamo non più bambina e alle prese con il passaggio all’età adulta. In un contesto che invita all’overacting e all’esasperazione macchiettistica, Ortega lavora per sottrazione, risultando capace di restituire l’emotività e la sensibilità di una giovane donna unica nel suo genere attraverso silenzi, sguardi fissi e allucinati, battute sferzanti pronunciate con tono monocorde.

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OLTRE L'ICONA

E alla fine è proprio questa, forse, la cosa più interessante di Mercoledì. Al netto di ogni discorso sull’estetica burtoniana e sul ritorno più sincero alla poetica dell’emarginazione da parte del regista di Beetlejuice, ciò che emerge è il coraggio di dipingere un’altra Mercoledì, di misurarsi con l’icona (e la presenza di Christina Ricci nel cast è la conferma di questa volontà) per andare oltre e provare a raccontare una nuova storia senza violare lo spirito dell'opera originaria. Che parli dei giovani mostrando di saperli ascoltare.

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