In quattro episodi, la nuova creatura di Steven Moffat (Doctor Who, Sherlock) riflette su quanto sia sottile il confine tra un’esistenza tranquilla e una macchiata per sempre da un crimine. Inside Man utilizza un grande cast di attori, tra cui Stanley Tucci, per raccontare una storia che ha volutamente molti piani di lettura diversi
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Steven Moffat è l’uomo dietro alcune delle migliori serie britanniche uscite di recente, dall’ultimo Doctor Who passando per Sherlock e Dracula. Qualunque genere o personaggio iconico, passato attraverso la sua lente, si evolve in qualcosa di personale e unico. Inside Man, sebbene sia una miniserie condensata in sole quattro ore, è se possibile un progetto ancora più ambizioso. È difficile anche incasellare in un genere questo esperimento, che mischia il dramma al thriller senza disdegnare un certo humor nero e che ci porta a fare i conti con noi stessi.
Guida intergalattica per fatalisti
Moffat ha costruito un cubo di Rubik, un rompicapo in cui è anche piacevole scervellarsi, scomponendo la sua storia in due linee narrative che a metà diventano quasi tre (grazie a un personaggio messo lì quasi apposta a fare da raccordo). Non è una serie credibile Inside Man e forse non punta neanche ad esserlo, visto che uno dei protagonisti (Tucci) è una specie di investigatore che prova a risolvere cold case pur trovandosi contemporaneamente nel braccio della morte. Eppure, nonostante le idiosincrasie, anche questa creatura di Netflix convince lo spettatore a sospendere l’incredulità. Questo perché anche l’azione più a prima vista senza senso serve alla fine per raccontare quanto l’essere umano agisca a volte senza logica, mettendo in pericolo lui stesso e chi gli sta intorno.
I personaggi principali di Inside Man sono persone normali e proprio per questo il loro essere invischiati tutti in qualche modo in un omicidio finisce per renderli dei funzionali archetipi alla resa dei conti: il prete di provincia di David Tennant, il condannato a morte in cerca di redenzione Tucci e la reporter Beth ( portata sullo schermo da Lydia West) ricordano tutti quanto in fondo basti poco per restare invischiati in situazioni torbide.
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L’assassino è dentro di te
È come se Inside Man fosse nata apposta per ricordarci che una parte della nostra vita è figlia di reazioni inevitabili a ciò che accade, con buona pace di chi non ama il fatalismo. La frase più citata da chiunque si sia approcciato a questa serie resta il mantra forse un po’ semplicistico “Everyone’s a murderer, you just need a good reason and a bad day” (Tutti sono degli assassini, basta una buona ragione e una brutta giornata). In questa frase è racchiuso tutto il senso di Inside Man, dove serial killer e uomini che uccidono la moglie sono diversi ma neanche troppo, in una triste accettazione che la furia animale dell’uomo possa venire fuori anche in un morigerato vicario. In un panorama così nichilista non stona una buona dose di humor nero chiaramente britannico, che qui viene ampiamente regalato arrivando a flirtare con il puro cinismo. A farne largo uso è soprattutto il Jefferson Grieff interpretato da Stanley Tucci, a metà tra l’impiegato di banca che non sospetteresti mai e un possibile Hannibal Lecter. È il carismatico attore de Il diavolo veste Prada a dare ritmo a una storia spezzata in due metà, chiarendo quale sia il messaggio alla base della serie più di una volta. Il personaggio di Harry Watling, il prete cui dà il volto David Tennant, è invece maggiormente tormentato e sembra più volte quasi un auto con i freni rotti, destinata inevitabilmente ad andare fuori strada dal momento in cui riceve una chiavetta che complicherà molto la sua vita. La sensazione alla fine è che Inside Man sia un viaggio di quattro ore, in grado di porre domande cui non vorremmo forse mai avere risposta.
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Il cast ruolo per ruolo:
- David Tennant (Harry Watling)
- Stanley Tucci (Jefferson Grieff)
- Dolly Wells (Janice Fife)
- Lydia West (Beth Davenport)
- Lindsey Marshal interpreta (Mary Watling)
- Louis Oliver (Ben)
- Atkins Estimond (Dillon Kempton)
- Dylan Baker (Case)