Dal 9 maggio su Netflix un curioso "k-drama" ambientato tra Seul e il nostro Paese, ricco di particolari comici e surreali
Nel momento d'oro della Corea del Sud, che tra Parasite e Minari recita un ruolo da protagonista nel cinema internazionale, ecco una serie tv che interessa anche l'Italia a cominciare dal titolo, quantomeno curioso per un prodotto di origini asiatiche: Vincenzo.
Citiamo testualmente la sinossi di Netflix: “Durante un viaggio nel suo paese d'origine, un avvocato di mafia italocoreano ripaga un'organizzazione criminale con la stessa moneta. La giustizia non fa sconti”. Cercando in giro ne sappiamo qualcosa in più: Park Joo-hyung (interpretato da Song Joong-ki) è andato in Italia dopo essere stato adottato e lì ha cambiato il proprio nome in Vincenzo Cassano, divenendo un avvocato e consigliere della mafia. Poi le cose si sono messe male e la mafia gli si è rivoltata contro: così Vincenzo è dovuto scappare in Corea, dove ha iniziato a pianificare la propria vendetta. Detta così sembra la trama di un grande crime-movie, ispirato a mille modelli cinematografici e televisivi americani; ma a giudicare da ciò che si legge in giro e dai primi video disponibili su Youtube Vincenzo – che nel Paese d'origine è stata trasmessa dall'emittente tvN e ha ottenuto ascolti pazzeschi grazie anche al “traino” del brand Italia che in Estremo Oriente è garanzia di successo – possiede anche una grande quantità di dettagli surreali e comicità anche involontaria, giocata sui classici stereotipi per cui l'Italia è conosciuta all'estero. Tra i più improbabili anche la presenza di un piccione, animale domestico di Vincenzo e da lui ribattezzato “Inzaghi” come il più noto ex calciatore Pippo, stella del Milan (e idolo personale di Vincenzo, che ha anche lui un cognome “calcistico”, Cassano).
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Il simpatico pennuto è solo il più curioso dei tanti omaggi alla cultura e alla lingua italiana, dai proverbi che Vincenzo ama snocciolare durante gli episodi al suo continuo gesticolare, dalla passione per l'alta moda all'abbondante uso di parolacce che sono state notevolmente edulcorate nel doppiaggio in coreano. In un episodio compare addirittura il Papa, che nella versione coreana ha un improbabile accento lombardo, interpellato da un amico del protagonista in cerca di un'intercessione del Vaticano. Tra gli interpreti minori del cast segnaliamo anche la presenza di Jeon Yoe-bin, una delle attrici emergenti della nouvelle vague sud-coreana. nel ruolo dell'avvocatessa Hong Cha-young. Non è ancora dato sapere se nel cast compaiano anche attori italiani: di sicuro, a causa anche dalla pandemia, le scene ambientate in Italia sono state girate con un robusto uso di blue-screen e computer grafica assortita. Piacerà anche a noi?