Speravo de morì prima: la recensione degli ultimi due episodi della serie tv su Totti
Nelle due puntate finali della serie tratta dall'autobiografia dell'ex capitano della Roma, in onda su Sky Atlantic e NOW, Totti scende a patti con la fine della sua carriera da calciatore. Con almeno due sorprendenti partecipazioni straordinarie... ** Attenzione: SPOILER **
Seduto sul divano in una sala del lussuoso castello dove sta festeggiando i suoi primi quarant'anni, all'inizio del quinto episodio di Speravo de morì prima Francesco Totti fissa alcuni vecchi dipinti appesi alle pareti e chiede a sua moglie: “Per te questi, quando j'hanno fatto il ritratto, stavano ancora in attività?” “In che senso in attività?” “In attività per dì vivi”. È un bel dialogo, breve, incisivo e rivelatore della poetica che sta dietro Speravo de morì prima: a prescindere dalla propria condizione economica e sociale, per qualunque persona smettere di fare la cosa che gli piace più al mondo, abbandonando così per sempre la propria ragione di vita, equivale a morire. E non ci sono “con tutti i soldi che guadagnano” o “in fondo c'è chi sta peggio” che tengano: banale ma innegabile, la felicità non ha niente a che vedere con il conto in banca.
È per questo che è così credibile il Totti solitario y final, tormentato dai dubbi e dalle paure, costretto a un pianto dirotto al solo pensiero di quello che lo aspetta “dopo”. Totti siamo noi, certo con un po' meno qualità nel piede sinistro e destro e nell'esecuzione dei calci piazzati. Gli ultimi due episodi della serie diretta da Luca Ribuoli e scritta (molto bene) da Stefano Bises e Michele Astori sono ambientati nell'annata 2016-17, la più malinconica dell'intera carriera dell'ormai ex Pupone. Tutto gli suggerisce il ritiro, tutto gli fa capire che è finita, persino alcuni versi scritti da Bruno Lauzi per Mia Martini 35 anni prima: quelli di Piccolo Uomo, disco sarcasticamente regalato da Spalletti a Ilary, con quella frase - “è l'ultima occasione per vivere” - così profetica. Il finale ha un passo dolente: al contrario della precedente, la stagione 2016-17 di Totti fu un lungo trascinarsi fino all'ultima giornata, con l'allenatore che gli negava persino l'uscita di scena alla Kobe Bryant attraverso gli applausi dei suoi ultimi spettatori. A Roma e non solo: simbolico e ben riportato lo sgarbo di Milan-Roma, quando Spalletti lasciò sadicamente Totti in panchina per 90 minuti nonostante i giallorossi vincessero con due o tre gol di scarto. I messaggeri della fine assumono le sembianze del solito Cassano, del dirigente Baldissone che lo invita a rispettare gli accordi, del nuovo direttore sportivo spagnolo Monchi a cui i genitori davanti alla tv riservano parole non gentilissime (tanto ormai se n'è tornato a Siviglia). Una stagione contraddittoria, “infame”, ma anche la stagione in cui la Roma di Spalletti, così ostentatamente de-tottizzata, realizza il record di punti e di gol in serie A, a conferma che le medaglie hanno sempre due facce.
approfondimento
Speravo de morì prima, foto e anticipazioni degli ultimi due episodi
Un discorso a parte merita il finale: parole che ovviamente vi invitiamo a non leggere se non avete ancora visto l'ultimo episodio. A cominciare dalla presenza discreta di Corrado Guzzanti che consente di chiudere il cerchio aperto nel prologo del primo episodio, prima che la fiction si faccia da parte e la scena rimanga tutta dell'originale. Appare dunque il vero Totti, seduto, solitario e affranto nel suo ultimo spogliatoio, come già era stato ritratto in Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli. Solo anche in campo, mentre legge l'ultima lettera da calciatore, nonostante sia circondato da 80mila fedeli. La circostanza di un attore sostituito dal vero personaggio che ha interpretato non ha molti precedenti nella storia del cinema e della tv: sicuramente non ne ha nella storia dello sport, fatta di molti documentari ma di pochissimi lavori di rielaborazione del reale. Dunque il vero Totti appone il proprio sigillo all'intera ricostruzione e all'intera serie e si espone in prima persona per scegliere l'ultimo desiderio: anticipato da una luce abbagliante, appare un uomo anziano – il nome non viene detto, ma si tratta evidentemente di Franco Sensi, il presidente dello scudetto 2001 – che estrae un foglio, una penna, l'ennesimo rinnovo del contratto, l'ennesimo capitolo. Un salto in avanti di dieci anni: è la prima giornata della stagione 2026-27 e lo speaker dell'Olimpico annuncia la presenza da titolare di Francesco Totti, a quel punto cinquantenne. Un finale molto bello, molto sincero ma anche molto triste, tra Peter Pan e Pinocchio. Ci è dispiaciuto un po' constatare che ancora oggi Totti, Totti “quello vero”, non riesca a farsene una ragione. Ma ci è piaciuto molto vedere questa serie.