Un thriller appassionante ambientato nella capitale irachena nel 2003, nei mesi dell'occupazione anglo-americana in seguito alla cacciata di Saddam Hussein: l'appuntamento dal 18 gennaio tutti i lunedì alle 21:15 su Sky Atlantic e in streaming su NOW TV
Una scomparsa, un'indagine, un'esistenza precaria nella polveriera permanente del Medio Oriente, in particolare nell'Iraq travolto dai venti di guerra del 2003, l'anno della cacciata di Saddam Hussein e del governo di transizione anglo-americano. Di questo parla Baghdad Central, serie tv in sei episodi di produzione inglese, diretta da Alice Troughton e firmata da Stephen Butchard, che affronta con la tipica finezza britannica temi universali, inseriti in un contesto ancora più problematico. La vedremo su Sky Atlantic (e in streaming su NOW TV) da lunedì 18 gennaio: due episodi alla settimana, a partire dalle 21:15.
Il primo episodio inizia con uno dei pochi momenti lieti e spensierati della serie: la festa di compleanno della giovane studentessa Sawsan, che spera nell'arrivo (ormai imminente) degli americani affinché riportino la democrazia a Baghdad. Con un salto temporale di otto mesi passiamo immediatamente al novembre successivo, quando la transizione è ormai compiuta (Saddam verrà catturato un mese dopo) ma Sawsan – nel frattempo diventata traduttrice per gli americani – è sparita: si prende carico delle ricerche suo padre Muhsin, ex poliziotto con un'altra figlia gravemente malata, che non esita a passare dalla parte dei “collaborazionisti” per condurre in porto la propria missione. Su Baghdad Central aleggia un senso costante di precarietà paranoica e intermittenza, come la corrente elettrica che va e viene in una città che gli occidentali hanno saputo conquistare ma non amministrare; dove “le donne hanno l'abitudine di scomparire” come osserva la professoressa Zubeida Rashid, uno dei tanti personaggi a doppio fondo di una serie che a livello drammaturgico offre agli appassionati del genere le tipiche ambiguità delle spy-story, da Homeland in giù, innestate però su uno sfondo di piccole tragedie intime e personali autentiche e immediatamente riconoscibili: quando un purosangue viene penosamente travolto a un incrocio da un veicolo militare, sembra di rivedere la scena di Missing di Costa-Gavras, drammatica e onirica insieme, in cui uno splendido cavallo bianco attraversava al galoppo le strade di Santiago del Cile, abbrutita e mortificata dal coprifuoco imposto dalla dittatura. Anche lì, un padre (Jack Lemmon) cercava suo figlio in mezzo a un deserto di giustizia e moralità: il dolore non ha confini geografici né latitudini.