Westworld 3, la recensione del settimo e penultimo episodio, Passed Pawn

Serie TV sky atlantic

Linda Avolio

Leggi la recensione del settimo e penultimo episodio della terza stagione di Westworld. Il gran finale andrà in onda lunedì 4 maggio, come sempre su Sky Atlantic. OVVIAMENTE CI SONO SPOILER PER CHI NON HA ANCORA VISTO L'EPISODIO - Westworld 3, la recensione del sesto episodio, Decoherence

Westworld 3, episodio 7: riassunto e recensione

 

ATTENZIONE: PERICOLO SPOILER

PER CHI NON HA ANCORA VISTO L'EPISODIO

 

Passed Pawn, settimo e penultimo episodio di Westworld 3, si apre con una sequenza che è (apparentemente) slegata da quello che vedremo dopo la sigla. Jakarta. Rehoboam ci segnala che c’è un “intervention in progress.” Dopo aver mandato in missione uno dei suoi uomini per far arrivare qualcosa di molto importante a Dolores, Fake Musashi riceve la chiamata, decisamente inaspettata, di Fake Hale. Che è ancora viva e che, per farla breve, ha deciso di cambiare casacca.

Dolores li ha lasciati entrambi indietro a morire, ma lei è sopravvissuta, e ora è in cerca di vendetta. Motivo per cui ha rivelato la sua posizione all’altra squadra. Il personaggio di Hiroyuki Sanada fa per lasciare il ristorante in cui si trova, ma viene fermato da – rullo di tamburi – Clementine (Angela Sarafyan). Miss Pennyfeather elimina senza troppi problemi i suoi sgherri, ma Miss Abernathy, in qualsiasi corpo si trovi, resta comunque un osso duro. Non duro abbastanza, però, perché nel giro di pochissimo Fake Musashi viene trafitto dalla katana di – rullo di tamburi numero 2 – Hanaryo (Tao Okamoto), la versione giapponese di Armistice. #teammaeve 1 – #teamdolores 0. Ne vedremo delle belle.

Il passato di Caleb

Ci viene finalmente svelata la verità riguardo il passato di Caleb. Riassumendo al massimo, il personaggio di Aaron Pauel effettivamente era un militare, e fu mandato in Crimea durante la Guerra Civile Russa per individuare ed eliminare dei ribelli, cioè delle potenziali anomalie nell’ordine prefigurato dal Sistema.

I suoi ricordi, però, sono stati editati da un certo punto in avanti. Durante una missione, Caleb e Francis (Scott Mescudi) – entrambi forniti di impianto al palato, dunque controllati in maniera chimica – finiscono in un agguato. E da qui le cose cambiano, e anche tanto. Perché è grazie al lavaggio del cervello fatto dal Sistema che Caleb alla fine arriva a credere non solo di essere andato avanti con quella specifica missione, ma addirittura che Francis è morto durante un’operazione di trasferimento del leader della resistenza, freddato davanti ai suoi occhi dai colpi del nemico.

Peccato che le cose siano andate in maniera “un pochino” diversa. Dopo essere stati feriti nell’agguato, i due vengono infatti rispediti a casa, e lì, tramite la app RICO – app che, ci viene confermato proprio in questo episodio, è una creazione dello stesso Sistema, che la usa per i suoi scopi più oscuri (e illegali) al fine di mantenere l’ordine – si ritrovano a compiere delle missioni che, in fondo, non sono poi così diverse da quelle affrontate all’estero. Per la precisione, si specializzano nella cattura di specifici soggetti che vengono poi consegnati a terzi. Non sanno di essere diventati cacciatori di anomalie.

Un giorno, però, il personaggio di Aaron Paul permette a uno di questi soggetti, di solito imbavagliati con il famigerato nastro adesivo grigio visto in qualsiasi film americano, di parlare. Il prigioniero, a differenza loro, sa benissimo cosa sta succedendo. Sa benissimo perché è stato rapito, e sa benissimo il motivo per cui la squadra incaricata del ritiro questa volta è stranamente in ritardo. Il Sistema sta lavorando per metterli uno contro l’altro in cambio di una cospicua somma di denaro: chi sarà il Giuda di turno?

Una volta fuori, a Caleb, che ha permesso al tarlo del dubbio di insinuarsi nella sua mente e che, purtroppo, fa bene a essere paranoico, arriva una notifica. Francis, che ha già deciso di tradire il compagno, capisce subito cosa sta succedendo. Prova a sparare, ma l’amico è più veloce. Ecco cosa intendeva dire Liam Dempsey nell’episodio 4: quel “You didi t!” (Sei stato tu!) era riferito a quella tragedia. Tragedia che Caleb ricorda diversamente solo perché la sua memoria è stata editata.

Ciò che è successo dopo ce lo rivela Solomon: a editing concluso, è stato reintrodotto nella società. In fondo gli è andata bene: per nove outlier su dieci, infatti, la terapia non funziona, e l’unica soluzione è tenerli rinchiusi in dei sarcofagi ipertecnologici collegati al Sistema, in attesa dell’arrivo di nuovi dati che potranno ulteriormente migliorare le proiezioni. Meglio così che ucciderli, no?

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Solomon, il passato (ri)scrive il futuro

Sonora. Rehoboam ha rilevato una divergenza. Si tratta ovviamente di Dolores e Caleb, che si stanno dirigendo in un luogo già noto agli spettatori: la struttura dove Serac ormai un po’ di anni fa ha dato vita al suo programma di “contenimento” delle persone imprevedibili e potenzialmente pericolose per il mantenimento dell’ordine creato dal Sistema. Sistema che, scopriamo, si trova ancora lì. O meglio, si trova anche lì. Se Rehoboam – che è l’ultima versione in ordine cronologico – è posizionato a Los Angeles, Solomon – la versione precedente e in qualche modo complementare – si trova tra quelle mura.

Non è chiaro se Dolores abbia raccontato a Caleb la verità riguardo la sua natura o se Caleb ci sia arrivato da solo, ad ogni modo è chiaro che lui adesso è a conoscenza del fatto che lei arriva da Westworld…e che è un androide. Ma in cosa consiste l’agognata rivoluzione? Il personaggio di Evan Rachel Wood non vuole solo un posto per i suoi simili: vuole un posto per tutti loro dove essere finalmente liberi. E vuole anche qualcos’altro: che Caleb diventi un punto di riferimento per l’umanità post rivoluzione (people still have a chance), che sia un leader. Non dimentichiamo che, dopo aver hackerato Rehoboam, Dolores sa benissimo chi è il suo compagno di viaggio, che chiaramente non è stato scelto in maniera casuale.

Dopo aver fatto fuori le guardie grazie a una speciale arma con drone annesso (!!) i nostri entrano nella struttura, apparentemente vuota…e finalmente Caleb comincia ad avere i primi flash dal passato. E’ confuso: sa di essere già stato lì, ma non sa per quale motivo. Dolores comprende il suo spaesamento: alla fine anche lui sta per raggiungere il centro del suo personalissimo labirinto e sta per risvegliarsi.

Ma non c’è tempo da perdere, bisogna trovare Solomon, la versione precedente di Rehoboam, accantonata a causa delle troppe possibili proiezioni e a causa dello sviluppo di alcune anomalie (“Il fratello di Serac era schizofrenico, si può dire che il suo Sistema abbia ereditato il suo modo di pensare”, dice Dolores). Per quale motivo? Per farsi dare la strategia ottimale per la sopracitata rivoluzione.

Solomon saluta i suoi ospiti – da qui in avanti “parlerà” usando la voce del suo creatore –, e dice che se loro si trovano lì significa che allora una delle sue simulazioni si è avverata (sempre che si trovino veramente in quel luogo e in quel preciso momento…). Il Sistema riconosce Caleb, ma non riconosce, per forza di cose, Dolores. Di lei sa solo che è un prodotto della Delos, ma non è in grado di prevedere le sue mosse.

Dunque cosa vuole lei da lui? Semplice: vuole un aiuto per fermare il nuovo ordine imposto da Serac, un ordine che in realtà non ha funzionato…non come previsto, quantomeno. In realtà alcune cose hanno funzionato, risponde Solomon…per esempio la reconditioning therapy di Caleb. Che, quando scopre di essere stato un topo da laboratorio, ovviamente non la prende troppo bene.

Superato l’ologramma del personaggio di Cassel – programmato per attivarsi nel caso in cui suo fratello si fosse risvegliato e fosse finalmente diventato la “versione migliore” di sé stesso –, i nostri raggiungono il “magazzino degli outlier”, e al centro c’è il sarcofago contenente proprio il fratello di Serac. Caleb è scosso quando scopre di essere stato un cacciatore, seppur inconsapevole, di anomalie, ma il colpo finale – la rivelazione dell’omicidio dell’amico – deve ancora arrivare. E farà malissimo.

Intanto Maeve sta scendendo dall’elicottero che l’ha portata fin lì. E’ in tenuta da combattimento, con tanto di katana in grado di trapassare il metallo. Dolores lascia Caleb in compagnia di Solomon, che sta elaborando la strategia definitiva, poi va ad affrontare il suo destino. Se non tornerà, toccherà a lui guidare i sopravvissuti.

Dopo uno scambio di battute telepatico, Miss Millay – che è preoccupata per la sicurezza di sua figlia e degli altri spediti nel Sublime, perché sa bene che la sua rivale è pronta a qualsiasi mossa pur di vincere la sua guerra – e Miss Abernathy si lanciano in un corpo a corpo senza esclusione di colpi. Dolores non capisce come mai Maeve abbia scelto di schierarsi contro la sua specie, ma Maeve non se la beve: quella non è la sua battaglia, non lo è mai stata. Lo scontro si sposta all’aperto. Il personaggio di Thandie Newton sembra avere la meglio. Dolores prova a scappare, ma si distrae, e non si accorge dell’elicottero sopra la sua testa. Sente un colpo, e si ritrova senza il braccio sinistro. E’ troppo anche per lei. Cerca di mettersi al riparo dentro la struttura, cade, si rialza, striscia a terra, ma ormai è braccata.

Intanto Caleb, furibondo per aver scoperto la verità su sé stesso, vuole sapere da Solomon come fare per uccidere il suo creatore. Il Sistema gli dice che tale compito richiederà del tempo e che pertanto non potrà procedere con l’elaborazione della strategia richiesta, ma ormai lui ha deciso: quella è la sua priorità, fermare Serac. Maeve si rende conto che la sua nemica ha un alleato, e la cosa non la stupisce: non è la prima volta che Dolores circuisce un giovane uomo portandolo nell’oscurità (vedere alla voce Young William).

Solomon consegna le preziose informazioni al personaggio di Aaron Paul, e gli dice che, prima di salutarlo, deve avvisarlo in merito a qualcosa. Non riuscirà a terminare la frase, perché Dolores, con le sue ultime forze, schiaccerà il pulsante che “disattiverà” non solo lui (esso?) ma anche lei stessa e Maeve…

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Una macchia indelebile

Anzitutto una precisazione: William, così ci viene lasciato intendere, non è stato sostituito con una sua versione sintetica, dunque il personaggio di Ed Harris gioca ancora ufficialmente per il #teamesseriumani. Come si spiega però il suo utilizzo come “designated recipient”? Si spiega in maniera assai semplice. Vi ricordate quando, sul finire dell’episodio 4, il nostro viene punto dal personaggio di Tessa Thompson? Ebbene, tramite quella puntura è avvenuta una sorta di infezione con una specie di virus sintetico (ecco perché nel suo sangue ci sono delle proteine non riconosciute e dei biomarcatori anomali). Una volta caricato il campione biologico dell’ex Uomo in Nero nella rete della struttura, Fake Hale è riuscita a infiltrarsi e a spedire lì i dati trafugati. Easy peasy. Più o meno.

San Francisco. Bernard, scavando nell’archivio informatico della struttura, capisce che è stato mandato lì da Dolores per scoprire cos’ha fatto finora Serac. E cos’ha fatto finora Serac? Ha usato la scusa del centro di igiene mentale per far sparire dalla circolazione gli outlier (tutti con codice identificativo che inizia per U), tra i quali figura anche William.

Il personaggio di Jeffrey Wright ha capito tutto: il visionario genio francese ha sempre voluto salvare il mondo, ma non è mai stato in grado di salvare gli esseri umani da loro stessi…così ha tentato di riprogrammarli. La stessa procedura usata con i residenti di Westworld. Per farlo, però, aveva bisogno di una grande mole di dati…dati che lo stesso William gli ha venduto, perché la Delos aveva bisogno di liquidità, e si sa, pecunia non olet. Sì, insomma, parafrasando le parole di Bernard, la fine del mondo ha bussato…e William l’ha lasciata entrare. Intanto Stubbs ha recuperato i file degli outlier, e tra questi c’è quello di Caleb.

Il personaggio di Ed Harris – che è sicuro di sapere dove si trovi Fake Hale e che ora ha un obiettivo preciso, sterminare gli androidi, il suo peccato originale, una volta per tutte e “ripulire” il mondo – è sicuro di sapere dove si trova Dolores, così il per niente allegro terzetto si mette in viaggio. Intanto fuori si sta scatenando il caos più totale. Arrivati a una stazione di servizio vandalizzata, Stubbs prova a far ripartire un’auto abbandonata, e intanto chiede al suo socio che ruolo potrebbe avere Caleb. La risposta di Bernard è precisa: Dolores è stata costruita con una “sensibilità poetica”: vuole distruggere l’umanità, e farà in modo che a farlo sia proprio un essere umano.

Nel mentre, William, allontanatosi con la scusa di andare alla toilette, ha trovato un fucile a canne mozze: forse non era il caso di ucciderlo, ma almeno legargli le mani, quello sì!

Westworld, stagione 3, episodio 7: il nostro commento

Siamo vicinissimi alla fine – o meglio, a una fine –, e si vede. Questo settimo e penultimo episodio di Westworld 3 è in realtà un Finale: Parte 1 in cui succedono un bel po’ di cose ma in cui, soprattutto, ci vengono rivelate e spiegate parecchie cose. Dopo il chiarimento in merito alla condizione di William, ecco anche il chiarimento riguardo la condizione di Caleb. Che no, non è un androide, come ipotizzato online da alcuni fan, bensì è, come già suggeritoci dalla serie stessa nei precedenti episodi, un outlier, una di quelle persone imprevedibili tanto temute da Serac e pertanto rinchiuse e “rieducate” a base di editing della memoria. Casomai non fosse chiaro: il mondo non è altro che un parco di enormi dimensioni, e se il dio di Westworld – degli host, quantomeno – era Ford, qui il dio è Serac.

Se Solomon, la versione precedente di Rehoboam, è stato accantonato a causa delle troppe possibili proiezioni e delle troppe strategie elaborate – e anche a causa di alcune anomalie, dettaglio molto interessante, non a caso anche lui (esso?)  è tenuto prigioniero nella struttura…  –, viene naturale pensare che Rehoboam sia in realtà una versione depotenziata del Sistema appositamente progettata da Serac: è lui l’autore della Storia, è lui a scegliere tra le possibili (poche, a questo punto) proiezioni della sua creatura, questa è la verità. Vedere alla voce “God Complex.”

Molto interessante il ragionamento che sta alla base della app RICO, che è tanto chiaro quanto inquietante, soprattutto perché applicabile anche al mondo reale in cui viviamo noi spettatori: è impossibile sperare di eliminare completamente le zone d’ombra, dunque perché piuttosto non controllarle e usarle per mantenere una parvenza di ordine e legalità? Della serie: purtroppo ogni società per funzionare ha bisogno anche della sua parte sommersa e illegale, che ci piaccia o meno.

Ci sono poi un po’ di questioni in sospeso: cosa intende dire veramente Dolores quando dice di volere un posto per la sua specie? vuole forse riportare nel mondo reale le anime spedite nel Sublime? e perché l’ologramma di Serac dice “Avrei voluto essere qui con te, ma l’uomo che ero non esiste più…”? Serac è morto? cos’ha intenzione di fare Caleb? come mai quando si è disattivato Solomon si sono disattivate anche Dolores e Maeve?

Alcune considerazioni sparse

La struttura dov’è rinchiuso William si chiama Inner Journeys Discovery Center, che si potrebbe simpaticamente tradurre con Centro “Viaggi mentali” per la scoperta interiore.

Come svelato dalla stessa Dolores, il parco di Westworld è stato modellato su un’area ben precisa del mondo reale: la zona che nella serie ci viene indicata semplicemente come Sonora, e che si trova tra lo stato messicano di Sonora (per l’appunto) e la parte meridionale degli stati americani della California e dell’Arizona.

Fantastico Solomon che alla frase di Dolores “Io non sono come loro, sono come te…” risponde, quasi piccato, “Tu sei stata creata per somigliare a loro, io e te non ci assomigliamo proprio per niente.” Che stoccata!

Pillola di Solomon philosophy: “Every human relationship can be adjusted with the right amount of money.”, cioè “Ogni relazione umana si può regolare con la giusta somma di denaro.” Triste ma, in linea di massima, vero.

La poesia di Bernard: “Questo mondo era una polveriera in attesa di una scintilla…Dolores…”

Per la serie “Donne che le danno”: stupende Clementine e Hanaryo, specialmente durante la camminata al ralenti mentre lasciano il ristorante in compagnia della testa mozzata di Fake Musashi.

Per la serie “Donne che se le danno”: ma quanto ci vanno giù pesante Dolores e Maeve?? E pensare che non è ancora finita!

Quando Dolores ripensa a casa sua, al parco, dice “Ho vissuto all’inferno…ma c’era comunque della bellezza…” è un chiaro riferimento a una delle sue battute ricorrenti della S01, precisamente a “Have you ever seen anything so full of splendor?”, cioè “Hai mai visto qualcosa di così meraviglioso?”

William che risponde a Stubbs “Non venire a farmi la predica, fo**uto apriscatole che non sei altro!” è TOP.

Fenomenale Dolores quando dice a Caleb che per i primi 35 anni della vita è stata un personaggio secondario, quando pronuncia quel “...rancher’s daughter…” (la figlia del mandriano) con un misto di nostalgia e disprezzo. Mai sottovalutare i personaggi secondari!!

 “You should have killed me when you had the chance…” (ndr, “Avresti dovuto uccidermi quando ne hai avuto la possibilità…”) è probabilmente una delle frasi più usate e abusate della storia del cinema e della televisione a stelle e strisce, ma detta da Ed Harris/William fa sempre un certo effetto.

In merito all’ordalia di Caleb, non si può non notare come la serie ci dica chiaramente una cosa: il modo migliore per fare il lavaggio del cervello a qualcuno non è sconvolgere totalmente i suoi ricordi e le sue credenze, bensì basarsi sui suoi ricordi e sulle sue credenze per andare a riscrivere una realtà esistita solo in parte ma non totalmente inventata. Inquietante.

Chiudiamo col commento superficiale della settimana: ma quanto sta bene Dolores con quel taglio di capelli??

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