It Will Be Chaos - Sarà il caos, il fenomeno migranti in prima persona

Serie TV

Marco Agustoni

It Will Be Chaos - Sarà il caos
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Domenica 7 ottobre alle 21.15 va in onda su Sky Atlantic, all’interno del ciclo Il Racconto del Reale, il documentario targato HBO It Will Be Chaos – Sarà il caos, che racconta due storie differenti di migranti in viaggio verso l’Europa. Ce ne ha parlato in un’intervista la co-regista Lorena Luciano: continua a leggere e scopri di più

Ci sono pochi fenomeni di attualità come i grandi flussi migratori verso l’Europa. Eppure ci sono poche questioni sulle quali c’è così tanta disinformazione e così poca consapevolezza. Per cercare di mostrare da vicino le persone – perché di persone, di singoli individui si tratta – dietro questo grande sommovimento, i registi Lorena Luciano e Filippo Piscopo hanno girato il documentario It Will Be Chaos – Sarà il Caos, prodotto da HBO e premiato per la Miglior regia al Festival di Taormina.

It Will Be Chaos, presentato in questi giorni al Milano Film Festival durante l’Immigration Day, andrà in onda in prima visione tv domenica 7 ottobre alle 21.15 su Sky Atlantic, all’interno del ciclo Il Racconto del Reale. Ci ha parlato del documentario e dell’esperienza produttiva uno dei due registi, Lorena Luciano.

A cosa si riferisce il caos del titolo?
È una frase pronunciata da una signora lampedusana, che però poi abbiamo tagliato dal documentario perché risultava ridondante. È un titolo forte, che rende conto della prepotenza, della violenza del fenomeno migratorio. Si tratta di una crisi non soltanto italiana, ma internazionale. E non è che passerà da sola, è destinata a durare.

Qualcuno potrebbe dire che il caos è quello che ci aspetta se accogliamo tutti…
Chi sostiene che l’accoglienza porterà il caos, Salvini compreso, fonda le sue affermazioni su informazioni sbagliate, perché i dati non confermano le loro parole. Noi abbiamo girato per 6 anni in varie parti del mondo e abbiamo visto le cose con i nostri occhi. Per questo, invitiamo chi ha risposte semplici a problemi complessi ad andare, vedere, informarsi. Le sfide maggiori le devono affrontare le comunità di frontiera, spesso costrette a gestire da sole questi flussi. Ma se si guardano i numeri, si capisce che è un caos arginabile con una giusta distribuzione delle risorse e con una sinergia internazionale.

Dietro il timore nei confronti dei migranti non c’è anche la tendenza a uniformarli, come se le loro storie fossero tutte uguali?
La concezione generale di quelli che chiamiamo migranti è una massa indistinta. Per questo la nostra volontà era proprio di portare il discorso sulle persone, sugli esseri umani che intraprendono questi viaggi. Abbiamo seguito due vicende molto diverse: da un lato un ragazzo eritreo scampato al naufragio al largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013; dall’altro, una famiglia della borghesia medio-alta siriana in fuga dalla guerra, bloccata a Smirne e con la speranza di raggiungere la Germania attraverso il corridoio balcanico. Tutte persone coraggiose e orgogliose, che hanno però dovuto lasciare i rispettivi paesi. Sottolineo questo passaggio: hanno dovuto, perché chi può non lo fa. Anche perché non bisogna certo pensare che poi si ritrovino in situazioni ideali. Penso ad esempio alla famiglia siriana, un tempo agiata e rispettata, che oggi si ritrova in condizioni di disagio in un paesino tedesco nel nulla, in mezzo ai turchi, che per i siriani non hanno particolare simpatia.

Cosa c’è dietro la ferocia mostrata negli ultimi tempi – spesso solo sui social, ma sempre più di frequente anche nella vita reale – nei confronti dei migranti?
Pur essendo sempre a stretto contatto con il mio paese, sono partita per l’estero ormai da vent’anni. All’epoca in Italia eravamo tutti bianchi e quasi tutti cattolici, oggi ovviamente non è più così. Il “peccato mortale” dell’Italia è stato di non accettare di crescere, di fare i conti con l’oggi, perché in questo mondo la contaminazione non è solo inevitabile, è necessaria. Ma vince la paura del diverso.

Quali sono state le principali problematiche operative?
È molto difficile lavorare con persone in fuga, sempre in movimento e in contesti problematici. Per fortuna si è formato tra noi un rapporto reciproco di stima e fiducia.

Girare questo documentario ha ampliato la vostra visione del fenomeno?
Tantissimo, ti rendi conto che si tratta di una crisi antica e mai gestita, con ramificazioni enormi. Oltretutto è destinata a durare e ad acuirsi, perché diventeranno sempre più frequenti i migranti in fuga da condizioni climatiche estreme. Ma se non si cambia il modo di comunicare questo tema, si porta avanti una logica di emergenza continua.

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