Dall’inferno di Napoli all'inferno di Sofia, e ritorno: nell’episodio 3 della terza stagione di Gomorra – La serie torna finalmente in scena Ciro di Marzio, ma l’Immortale non è più lo stesso, e mai più lo sarà. Dopo un anno passato al soldo del boss bulgaro Valentin, dopo le umiliazioni subite da suo figlio Mladen, e dopo aver conosciuto Enzo, l’erede del Santo, Ciro decide che è arrivato il momento di tornare a casa. Morto dentro ma costretto a continuare a vivere nonostante tutto e nonostante tutti, Ciro prova a scrivere l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita, ben consapevole che per lui, comunque andrà, non ci sarà mai possibilità di redenzione. Forse, però, nel suo piccolo, nel suo essere un criminale, anche lui ogni tanto è capace di fare qualcosa che somiglia lontanamente al bene. O almeno alla sua idea di bene: leggi la recensione del terzo episodio di Gomorra 3
di Linda Avolio
Gomorra 3, episodio 3: la trama
Un tir con rimorchio si avvicina alla dogana al confine con la Bulgaria. “Passaport, please”, chiede la guardia all’autista, ma l’autista è un volto noto per il pubblico di Gomorra – La serie. Torna in scena Ciro di Marzio nel terzo episodio della terza stagione, e finalmente scopriamo che fine ha fatto dopo l’addio a Napoli, a Genny, e alla sua vecchia vita. Berretto di lana calcato in testa, barba di un po’ di giorni, un maglione e un banale bomber in pelle marrone: addio look ricercato, addio collane e anelli, addio guance lisce rasate di fresco, l’Immortale non c’è più. C’è solo Ciro, e ora Ciro a quanto pare fa l’autotrasportatore. Entra a Sofia, e porta il camion in un magazzino. Degli uomini tagliano le catene che chiudono le porte del rimorchio e iniziano a scaricare il contenuto. Capiamo subito che si tratta di qualcosa di non propriamente legale: il lupo perde il pelo ma non il vizio, anche se nel caso del personaggio di Marco D’Amore più che di vizio bisognerebbe parlare di abitudine.
Mentre gli uomini provvedono a recuperare il “carico” (ovviamente si tratta di droga), Ciro si accende una sigaretta. Arriva una macchina: un certo Mladen è alla guida, e sta parlando al telefono con quello che potrebbe essere il suo capo. Solo che il suo capo è anche suo padre. Di Marzio consegna dei soldi all’ultimo arrivato, ma questi non è contento: non sono abbastanza. “Sono 1500 a testa”, ribatte l’ormai ex Immortale, ma Mladen ne vuole altri 500. Di cosa si tratta? Di immigrati, entrati illegalmente nel paese dopo un interminabile viaggio nascosti in un vano del tir. Ciro non è d’accordo, hanno pagato quanto pattuito, dunque per lui non c’è più niente da aggiungere, così li libera. Mladen si arrabbia, ma non c’è tempo per discutere: un clandestino è morto durante il viaggio, e ora toccherà al personaggio di D’Amore occuparsi della cosa. Il ragazzo viene fatto sparire in una colata di acciaio fuso.
Il giorno successivo, Ciro si reca in una palestra. Due ragazzi stanno facendo un allenamento di lotta libera, il loro coach li incita. Ciro osserva da vicino, poi il coach, che scopriamo chiamarsi Valentin, gli comunica che suo figlio si è lamentato. Dunque Mladen è il figlio di quest’uomo, che chiaramente è un boss della criminalità di Sofia. “Gli uomini senza passione mi fanno paura, e a te sembra non piaccia niente”, dice Valentin, e l’Immortale ribatte: “Quello che mi piace non esiste più Valentin… Ma con te sto bene, faccio quello che dici, e non ho più tempo di pensare." Dopo essersene andato da Napoli, Ciro si è dunque spostato in Bulgaria ed è tornato a fare quello che gli riesce meglio: il soldato. E pare che Valentin si fidi di lui, al punto da affidargli le “case di Lyulin”. Si tratta di condomini della "Scampia bulgara" adibiti alla prostituzione. Dopo avergli detto di non mettersi più contro Mladen, Valentin lo liquida, e Ciro, con un paio di uomini, si reca alle case per sgomberarle.
I palazzoni potrebbe tranquillamente trovarsi a Scampia o a Secondigliano: le periferie povere e preda della criminalità organizzata sono similmente squallide ovunque si trovino. Di Marzio caccia via senza pietà una coppia di anziani: lui è gravemente malato, lei lo prega di non mandarli via, altrimenti il marito morirò sicuramente, ma il personaggio di D’Amore è irremovibile. Calato il buio, arriva un furgone, da cui scendono delle ragazze, giovanissime. A tutte viene sequestrato il passaporto, poi vengono sistemate nei vari appartamenti. Da lì non potranno più uscire, non potranno andare a fare la spesa, dovranno solo lavorare. A tutto il resto penseranno gli uomini di Valentin. Una ragazza albanese chiede con insistenza a Ciro di poter telefonare a casa, ma lui è perentorio: niente telefonate, e da qui non si esce.
La lunga giornata dell’Immortale giunge al termine, e finalmente è tempo di andare a casa. La casa in questione è in realtà un edificio fatiscente che sembra più un rifugio arrangiato alla bell’e meglio: un letto, un tavolo con alcune sedie, una tv, qualche mobiletto raggruppato in un angolo a simulare una cucina: ciò che rimane di Ciro Di Marzio non ha bisogno di altro per vivere. O meglio, per sopravvivere. Squilla il telefono: è Mladen. Vuole che Ciro lo aiuti a trattare con degli italiani. Lui dice di non lavorare con gli italiani, ma ovviamente quello del figlio del boss è un ordine, non una educata richiesta.
Al bancone del locale di Mladen, un night di successo, a Ciro viene detto di recarsi nel privé sul retro. Lì trova il figlio di Valentin in vestaglia, in compagnia della giovane albanese delle case di Lyulin. Dopo aver educatamente rifiutato il drink offertogli, Di Marzio va al dunque: “Quanto comprano?” “100 mila euro, pagamento tutto subito”, ribatte Mladen, che dice di conoscere questi napoletani con cui sta facendo affari. Ciro dice che terrà d’occhio lo scambio, poi fa per andarsene, ma il bulgaro, dopo aver fatto avvicinare la ragazza, gli dice “Tu sei strano. Non bevi. Non scopi. Vivi in una casa che farebbe schifo a una puttana albanese. Non so che cazzo ci vede mio padre in te.”
I napoletani arrivano. A guidare un gruppetto di ragazzi dalle folte barbe è quello che scopriremo essere Enzo, detto Sangue Blu. Quando entrano nel locale vengono subito avvicinati da una delle ballerine, ma Sangue Blu la allontana dopo averle dato dei soldi. Ciro osserva la scena, e, raggiunta Tatiana, la ballerina, nei camerini, le chiede di vedere i soldi. Si tratta di banconote false. Nel privé, Mladen, circondato da ragazze seminude, si mette in mostra, stappa una bottiglia di champagne, ma Enzo sembra concentrato solo sull’affare. Fuori dal locale, il figlio del boss sta per salire in macchina insieme alla ragazza albanese, ma Ciro lo ferma e lo avvisa: “I soldi di quelli non sono buoni.” “Mi stai dicendo che sono un coglione?” abbaia Mladen, ma Di Marzio non abbocca: “Mi hai chiesto un parere. Te l’ho dato. Fai come ti pare.” Il bulgaro lo chiama “’spaghetti’ di merda”, poi gli ordina di tornare dentro e contare l’incasso, come sempre.
Ciro è furioso. Sferra un pugno alla parete specchiata del bagno del night, fa qualche respiro profondo per calmarsi, poi torna nel privé da Enzo e dagli altri. Sangue Blu lo accoglie con un amichevole “Oh, fratello! Che ci fai in questo posto di mer*a?”, ma l’Immortale risponde secco “Io non sono tuo fratello”. Ad ogni modo, Di Marzio e i barbuti si dirigono verso l’aeroporto. I soldi si trovano in una macchina rimasta al parcheggio. Ciro e Enzo salgono, l’Immortale si mette al volante. Il piano è di raggiungere il luogo dello scambio, ma a un certo punto il personaggio di Marco D’Amore sterza e fa perdere le sue tracce. Si ferma sotto un cavalcavia, e lì, dopo aver appurato che i soldi sono tutti finti, decide di fare alcune domande a Sangue Blu. Scopriamo che Enzo è il nipote del Santo, un boss storico del Sistema. “Mio nonno faceva i miracoli come San Gennaro. Il Sistema l’abbiamo creato noi. Capito qual è la razza mia?”, dice il personaggio di Arturo Muselli, ma da quandosuo nonno è morto, la famiglia intera è caduta in disgrazia, e ora non conta più nulla. Ma ora le cose stanno per cambiare.
Ciro non sembra minimamente colpito dal discorso di Enzo, estrae la pistola e gliela punta in faccia. “Se vuoi fregare qualcuno, prima devi conoscerlo, altrimenti come fai a fregarlo? Ma tu non hai pensato a chi sono io, mi hai sottovalutato, e ora sei nei guai. E pensare che uno come tuo nonno non si sarebbe mai messo in una situazione come questa”, sputa l’Immortale, ma alla fine non preme il grilletto. Però vuole la verità. Dopo aver riaccompagnato Enzo all’aeroporto, Ciro gli intima di non farsi più vedere, ma il ragazzo in tutta risposta gli dice: “Se un giorno dovesse venirti nostalgia di Napoli, ricordati che la pizza migliore del mondo la facciamo a Forcella”. Poi gli allunga una confezione di fiammiferi e se ne va.
Ciro recupera i 5 chili di cocaina che sarebbero dovuti andare ai napoletani, poi va da Valentin in palestra. Gli racconta dei soldi falsi, e gli rivela che Enzo e gli altri erano chiaramente d’accordo con Mladen. Ma per quale motivo? Per incastrarlo e toglierlo di mezzo, per non essere scavalcato. “Se non avessi figli, ne vorrei uno come te, ma un figlio già ce l’ho” ribatte il boss. La situazione cambia nel giro di un secondo: “Mi dispiace”, risponde Di Marzio, e Valentin fa un cenno al suo uomo. Questi, però, non fa neanche in tempo a estrarre la pistola, e cade sotto i colpi dell’Immortale, nuovamente in azione. “Se avessi un figlio, glielo dire in faccia quando fa lo stron*o”, e poi l’ultimo colpo raggiunge la testa del bulgaro.
Dopo un anno di sonno, il soldato del Sistema si risveglia: va a casa di Mladen, elimina uno dei suoi uomini messi di guardia, e poi lo uccide a sangue freddo. La ragazza albanese è lì, e vede tutto: Ciro può o ucciderla o salvarla, e sceglie la seconda opzione. Giusto il tempo di fermarsi al night per recuperare un passaporto, e poi via. Elvana, questo il nome della ragazza, si lamenta perché il passaporto che Ciro ha preso non è il suo, è quello di una certa Anna, ma i due riescono comunque a superare il confine tra Macedonia e Albania. La mattina, si fermano a fare colazione in un bar lungo la strada. Elvana ha indosso il giubbotto di Ciro. A un certo punto, senza dire niente, lui si alza, e appoggia sul tavolo dei soldi e un cellulare. Una carezza sulla guancia, un “Fai la brava” appena sussurrato, poi se ne va. Si accende una sigaretta, sale in macchina e parte. Destinazione: Napoli. Casa.
Gomorra 3, episodio 3: la recensione
Dall’inferno di Napoli all'inferno di Sofia, e ritorno: torna finalmente in scena Ciro di Marzio, ma l’Immortale non è più lo stesso, e mai più lo sarà. Si è allontanato da tutto e da tutti, anche da se stesso, ma i suoi demoni alla fine l’hanno trovato. Il terzo episodio della terza stagione di Gomorra è (quasi) interamente dedicata a Ciro di Marzio, ma non stupisce la scelta degli autori di staccare completamente per un po’ dagli scenari a cui siamo abituati per raccontarci che fine ha fatto l’Immortale dopo aver ucciso Malammore e dopo essersene andato via da Napoli. Ritroviamo il personaggio di Marco D’Amore in Bulgaria, al soldo di un boss della malavita locale, un certo Valentin. La seconda vita dell’Immortale non è poi così diversa dalla prima, dai tempi in cui era solo un soldato e si limitava a eseguire gli ordini. Prima c’era Don Pietro, ora c’è Valentin, e tanto basta. Certo, Mladen, il figlio di Valentin, non è minimamente paragonabile a Genny – col quale Ciro ha un rapporto così profondo da essere inscindibile nonostante tutte le cose che si sono fatti a vicenda – ma le cose stanno così. Di nuovo Di Marzio viene preso sotto l’ala di chi il potere lo esercita, di nuovo si sente stimato, e di nuovo si sentirà messo da parte per fare posto a un figlio che, specialmente nel caso di Mladen, non meriterebbe di essere portato in palmo di mano dal proprio padre. Questa volta, però, l’epilogo sarà differente.
Per buona parte dell’episodio vediamo un Ciro che più che vivere sopravvive, che obbedisce, che esegue, ma allo stesso tempo lo vediamo ribellarsi ad alcune ingiustizie: prima prende le parti dei clandestini, rifiutandosi di raccogliere altri 500 euro da dare a Mladen, poi prende le parti di Elvana, la ragazza albanese finita nel giro di prostituzione delle case di Lyulin, e lo vediamo anche graziare Enzo, nipote ed erede di un personaggio storico del Sistema, il Santo.
E’ ovvio che a muovere il personaggio di Marco D’Amore in questi casi, specialmente coi clandestini e con Elvana, è il senso di colpa per la morte della moglie e della figlia, ma sappiamo benissimo che per lui, come per gli altri protagonisti di Gomorra, non ci sarà alcuna redenzione. D’altronde anche in lui scorre quel veleno citato da Genny a Patrizia nel primo episodio: anche lui sa benissimo che quel veleno c’è, ma anche lui non sa come buttarlo fuori. Ormai non può più buttarlo fuori. Impossibile comunque non notare dei lampi di umanità, se così vogliamo chiamarla, nell’Immortale, e siamo curiosi di vedere che sviluppi avrà questo Ciro 2.0.
Molto scenografiche le scene al night, mentre inquietano quelle girate nella periferia estrema di Sofia, con schiere di casermoni che non hanno niente di diverso da quelli di Scampia e Secondigliano. Queste, per l’appunto, le parole scritte da Roberto Saviano per presentare la terza stagione:
La terza stagione di Gomorra è uscita da Scampia, è uscita anche da Napoli, ha lasciato l’Italia di nuovo (dopo l’Honduras e la Germania della strage di Duisburg) per approdare in Bulgaria, nella periferia occidentale di Sofia, a Lyulin: la Scampia di Sofia. Lyulin è un quartiere costruito a partire dagli anni Settanta, un quartiere ghetto che ospita più di 100mila persone. Quello che volevamo mostrare è come le periferie del mondo si somiglino tutte, come le periferie del mondo abbiano un muscolo comune che pompa sangue e denaro, un cuore che batte all’unisono, e quel cuore è un cuore criminale, è un cuore immortale. E in questo racconto non c’è spazio per il bene, per la la dicotomia classica tra bene e male. Le forze dell’ordine, la società civile non sono altro che interferenze nel complesso di azioni militari e imprenditoriali del Risiko criminale che abbiamo messo in scena. Non c’è possibilità di ricomporre il caos, si può solo raggiungere un caos ancora maggiore.