Il Racconto del Reale: tre famiglie, 'Un unico destino'

Serie TV

Veronica Rafaniello

Nei giorni in cui la vicenda dell'Acquarius ha riacceso la discussione sulla questione dei migranti,  Sky Atlantic ripropone Lunedì 11 giugno, alle ore 19.25 Unico destino – Tre padri e il naufragio che ha cambiato la nostra storia, il documentario dedicato al naufragio avvenuto al largo di Lampedusa l'11 ottobre 2013 che costò la vita a 268 siriani in fuga dalla guerra, tra cui 60 bambini. L'anno scorso, il Gip ha respinto la richiesta di archiviazione, ordinando il proseguimento delle indagini sugli Ufficiali coinvolti nella tragedia.  Tre  uomini, ricordando i propri figli morti in mare, raccontano quelle drammatiche ore e le ripetute e inascoltate richieste d’aiuto alle autorità

Unico destino – Tre padri e il naufragio che ha cambiato la nostra storia è un pugno nello stomaco, la storia di una tragedia evitabile rimasta senza colpevoli.

Il Racconto del Reale dà voce a Mazen, Ayman e Mohanad, tre medici, tre padri siriani fuggiti dalla guerra per assicurare un futuro migliore alle proprie famiglie. Dopo che Aleppo è stata ridotta in polvere, l’unica cosa che hanno potuto fare è stato andare in Libia, ma una nazione violenta, senza governo stabile e con la polizia che esercita liberamente la violenza sulla gente non è un luogo da chiamare ‘casa’, così sono ripartiti, alla volta di Zuwara, dove gli è stato assicurato un viaggio sicuro per l’Europa. Via mare.

Quando i siriani che fuggivano dalle bombe si sono accorti che in quel viaggio avrebbero rischiato la vita era troppo tardi. Hanno affrontato il Mediterraneo, stipati su un barcone fatiscente, promettendo ai bambini solo cose belle in quella terra vicina, ma divenuta improvvisamente irraggiungibile.

Nella notte, gli spari. Una motovedetta libica apre il fuoco contro l’imbarcazione, uccide, ferisce e danneggia irreparabilmente il mezzo. Ma in quel viaggio della speranza non si trovano sprovveduti, ci sono medici, ingegneri, professori universitari con le loro famiglie, conoscono l’inglese, hanno il numero della guardia costiera italiana e il telefono satellitare.

La tragedia poteva essere evitata, se alla prima chiamata fossero partiti i soccorsi. Di fronte al richiamo del principio di umanità, di fronte al semplice dovere di aiuto si è posta la burocrazia, la negligenza, lo ‘scaricabarile’. L’Italia non vuole intervenire. “Chiamate Malta” dicono all’ennesima, disperata telefonata e ordinano al pattugliatore P402 Libra della Marina Militare Italiana di nascondersi in modo da non essere intercettato dalle motovedette maltesi e non essere quindi coinvolto nei soccorsi. Malta, però, avendo inviato un aereo in ricognizione vede la nave e chiede l'utilizzo della Libra, vicinissima alle coordinate dell’imminente naufragio. L’Italia risponde ‘Sti c****’. Roger.

Il barcone affonda, i bambini muoiono, madri, sorelle, mariti e figli scompaiono per sempre nelle profondità di un mare che ormai sa di morte. Nessuno viene punito, nessuna corte marziale, nessuna scusa, solo i vivi a piangere quelle morti assurde.

Tuttavia, l'anno scorso il Gip ha respinto la richiesta di archiviazione ordinando la prosecuzione delle indagini sugli ufficiali della Marina e della Guardia Costiera coinvolti nella tragedia di Lampedusa.

Oggi quei tre papà, rimasti senza i propri cari, lavorano in Svezia, a Malta, in Germania. Salvano vite, curano i figli dell’Europa che ai loro ha prima inviato le bombe e poi li ha lasciati affogare a 100 metri da Lampedusa, 230 da Malta. Meno di trecento metri tra la vita e la morte, su una scacchiera salata dove bastava muove un pedone per evitare lo scacco matto.

 

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