Il 13 settembre 1996 moriva per le ferite riportate in una sparatoria a Las Vegas Tupac Shakur. Proviamo a raccontarvi cosa rimane oggi di un artista che nella sua breve vita ha mostrato diverse sfaccettature, alternando l’impegno politico e l’attitudine da gangster in un inedito e rivoluzionario mix
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A diciassette anni Tupac Shakur scrisse un paper sull’hip-hop che suonava quasi come un manifesto programmatico di quello che avrebbe poi proposto come artista. Si intitolava Conquering All Obstacles e all’interno si leggeva: “Il nostro rap non parla delle storie ritrite che tutti sono ormai stufi di ascoltare. Parla di quello che succede nel mondo reale. Il nostro obiettivo è che le persone possano identificarsi con il nostro rap, che gli renda più semplice vedere cosa sta davvero succedendo là fuori. E, cosa più importante, ciò che possiamo fare per migliorare il nostro mondo”. In queste poche frasi c’è tutto quello che sarà Tupac in poco più di 25 anni di vita: il portavoce di un mondo che vorrebbe migliorare ma in cui finirà per rimanere tragicamente invischiato. Alla fine sarà quello stesso universo che voleva rivoluzionare a farlo fuori dopo averlo disorientato e fatto uscire dai binari ma, nel suo breve percorso, Tupac ha lasciato comunque un’eredità indelebile che vale la pena di essere ricordata, anche a più di un ventennio di distanza dalla sua morte.
Un uomo fatto per la rivoluzione
Mentre scriveva Conquering All Obstacles Tupac era un ragazzino fuggito da Baltimora che cercava il suo posto a Marin City, cinque chilometri da San Francisco. Non poteva più vivere con quella madre che adorava ma che ormai aveva un’ingestibile dipendenza da crack. Era stata proprio mamma Afeni a dargli quel nome che era un omaggio a Tupac Amaru II, il leggendario sovrano inca che guidò una rivolta indigena contro gli spagnoli del Perù coloniale. Afeni d’altronde, prima di partorire suo figlio e poi perdersi nell’inferno della droga, era stata un membro attivo delle Black Panthers e credeva nel cambiamento guidato dal popolo e dagli ultimi.
Con un dna del genere, Tupac non poteva che venire fuori come un rivoluzionario. Quando scoprì il rap gli fu chiaro che quello sarebbe stato il suo strumento per far arrivare a tutti il proprio messaggio, inedito per la scena di quegli anni. In Tupac già allora convivevano diverse anime: aveva vissuto la più classica delle infanzie difficili ma ad allontanarlo dallo stereotipo del ragazzo di strada ci aveva pensato la passione per l’arte. A Baltimora aveva studiato danza e recitazione, sviluppando una grande passione per Shakespeare. Quando arrivò in California ci misero poco a capire che non era un rapper come gli altri ma altrettanto poco ci mise lui a passare da aspirante attore nell’Otello a personaggio shakespeariano nella vita reale.
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Tupac conquista la scena
Dopo gli inizi gravitando attorno ai Digital Underground, un gruppo rap apprezzatissimo ma dalla dimensione troppo ironica e giocosa per sposarsi con la sua gravitas, Tupac iniziò un percorso autonomo con il primo disco solista 2Pacapalypse Now. Nel novembre del 1991 il giovane rapper poteva finalmente mettere in rima e in completa autonomia quello che si proponeva nel suo paper. Soprattutto in questi primi album, Tupac non si focalizza troppo su sé stesso ma prova piuttosto a raccontare senza filtri la società in cui è cresciuto e che troppo spesso viene raccontata per stereotipi. Come ricordava Ben Westwoff su The Guardian, molto prima della nascita di movimenti come Black Lives Matter, Tupac si esponeva già facendo domande del tipo: “Cosa rende una vita nera più importante di una vita bianca?”. Nel disco d’esordio c’erano brani come Brenda’s Got a Baby, in cui l’artista sceglieva apertamente di partire da una vicenda privata per poi raccontare una società che troppo spesso chiude gli occhi davanti a certe tragedie. La Brenda del titolo è una ragazza madre costretta a gettare il bimbo appena nato in un cassonetto perché tutti attorno dicono cose come “That’s not our problem, that’s up to Brenda’s family”. Tupac racconta quindi un mondo che ha dimenticato completamente la solidarietà sociale e in cui ognuno è abbandonato a se stesso, compreso lui.
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Il “complesso del martire”
2Pacalypse Now garantì successo ma anche problemi a Tupac. L’allora vicepresidente degli Stati Uniti Dan Quayle dichiarò che “nella società americana non c’era posto per opere come 2Pacalypse Now dopo una sparatoria in cui l’attentatore disse di essere stato ispirato da rapper come Tupac Shakur. Insieme al successo e alla notorietà che il carismatico Pac dimostrava di apprezzare, partecipando a faraonici party e accompagnandosi con superstar come Madonna, arrivarono i primi guai con la legge che contribuirono a cambiare in parte l’ottica dell’artista. Tupac restava legato a tematiche sociali e nei suoi lavori si trovavano ancora brani come I Ain’t Mad at Cha o Keep Your Head Up, in cui riabilita la figura della donna in una canzone rap partendo proprio da quanto siano fondamentali le madri per “salvare” i figli in certi quartieri difficili. Addirittura, durante la tregua tra gang passata alla storia come Picnic Truce, aveva provato a mediare tra i leader di Bloods e Crips. Vicino a questa naturale attenzione per ciò che aveva intorno, stava gradualmente emergendo tuttavia anche un Tupac più concentrato su se stesso, spesso ai limiti del paranoide. Dopo un periodo in prigione che ne minò gravemente la reputazione e un agguato da cui si salvò quasi miracolosamente, Pac sviluppò sempre più quello che qualcuno ribattezzò il “complesso del martire”. I suoi dischi sempre più ambiziosi portavano non a caso titoli come Me Against the World o All Eyez On Me. Si trattava di album comunque più introspettivi, in cui si percepiva quanto Tupac si sentisse solo contro tutti e impossibilitato a fidarsi di pressoché chiunque (anche dell’ ex-amico e collega Notorious B.I.G). La sua crescente paranoia lo portava poi a sentire sempre più vicina la morte. All’interno di All Eyez on Me si parla diffusamente del tema, anche in brani dal titolo esplicito come Death Around the Corner.
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Un uomo solo al comando
In questo periodo difficile, complice la disintossicazione di Afeni, Tupac trovò rifugio nel ritrovato rapporto con la madre. Proprio quest’ultima viene omaggiata in Dear Mama, altro pezzo in cui si celebra la figura di una donna in grado di cadere e rialzarsi.
Il riavvicinamento familiare però da solo non bastò a salvare il rapper. All Eyez On Me, il primo doppio disco di successo della storia del rap, rimase l’ultimo pubblicato in vita da Tupac Shakur. Quella morte violenta, più volte evocata, arrivò dopo una sparatoria a Las Vegas di cui a lungo non sarà chiara la dinamica. Resterà sempre il dubbio di quanto avrebbe potuto dare ancora Tupac, un artista che fino alla fine si sentì solo e incompreso. Nel 1995, in un’intervista al Los Angeles Times, disse: “Ciò che mi disturba è che la mia roba più profonda sembra passare inosservata. I media non capiscono chi sono o forse non vogliono accettarlo”. Oggi, 26 anni dopo, forse abbiamo più chiaro chi era Tupac ma soprattutto sappiamo meglio cosa ci ha lasciato: un’eredità musicale in grado di cambiare un intero genere e non solo. D’altronde era nato per fare la rivoluzione.