Neffa: "In Canerandagio mi sono misurato col rap e non solo"

Tra due settimane tornerà dal vivo in una veste in cui non lo si vedeva da tempo. Neffa celebra una intera carriera con un concerto evento all’Unipol Forum di Assago , Universo Neffa, il 5 novembre. Un live che arriva dopo “Canerandagio”, l’album in due parti che segna il ritorno al rap di Giovanni Pellino. Un disco forte, viscerale, sincero, con una prima metà di pura ispirazione e una seconda decisamente più “studiata”. Ecco cosa ci ha raccontato. Partiamo dall’appuntamento con Universo Neffa, il 5 novembre al Forum. Che live sarà? Ormai siamo abbastanza vicini da non dover assolutamente spoilerare nulla, però posso dire che sarà un concerto che traccia un po' le differenti fasi della mia carriera, quindi pezzi di repertorio ma anche molto dell'ultimo album. In questo senso sarà una festa ed evento sfruttando anche il fatto di essere a Milano che è un po' un crocevia. L'ultimo album, “Canerandagio”, l'ha diviso in due parti: della prima abbiamo parlato ad aprile, la seconda è uscita ad agosto, quattro mesi dopo. Come mai ha deciso di aspettare questo tempo per completare il discorso? Beh, perché credo innanzitutto che se l'avessi fatto prima non avrei dato assolutamente il tempo di degustare la parte 1. Quattro mesi di questi tempi nel mercato musicale corrispondono a un anno e mezzo di quelli pre-streaming, direi. Penso che il tempo sia stato abbastanza fisiologico, però chiaramente non volevamo nemmeno tardare troppo rispetto per dare la possibilità a chi viene al concerto di apprezzare anche quella parte di disco. Tra la prima e la seconda parte c'è ovviamente una certa continuità ma anche delle discontinuità. La seconda parte ho trovato che avesse sonorità un po' più morbide rispetto alla prima, poi mi ha colpito una cosa: proprio alla fine della prima traccia si sente qualcosa che nel rap di oggi è molto raro sentire: lo scratch. È un po' parte di una dichiarazione programmatica? Mi è sembrato normale rappresentare un po’ anche questa forma di arte musicale. Nel primo disco le cose sono state fatte con quel ritmo un po' febbrile dettato dal non sapere esattamente cosa stavamo facendo, dal dover chiudere le cose anche un po' in fretta. Qui ho avuto un po' più di tempo per pensare e ho ritenuto che valesse la pena rappresentare anche questa forma di arte, presente pure in “Dei dell'Olimpo”, il brano con Kaos. Gli scratch sono sempre di Double S, il mio DJ storico, che ha lavorato con me sui miei dischi di rap e che sarà anche il mio DJ al forum. Diceva prima che la prima parte è stata in qualche modo più immediata, no? Nella seconda invece mi è sembrato che ci fosse anche una maggiore ricercatezza nelle metriche. È effettivamente così? Diciamo che sulla prima parte ho approfittato di un momento di grande ispirazione e in un certo senso ho applicato il tipo di processo creativo che avevo applicato sui miei ultimi dischi di musica cantata, in particolare “AmarAmmore” ma anche “Resistenza”: l'improvvisazione al microfono, qualcosa che nel rap ti dà una dimensione stilistica un po' diversa dalla tipica scrittura rap, che invece ho applicato un po' di più nella parte due. Nel registrare la parte 1 volevo evitare di trovarmi in quella situazione in cui magari tu senti lo stesso loop per qualche ora e stai con una penna e un foglio a costruire delle strutture geometriche, cercavo un processo un po' più assimilabile alla scrittura letteraria, mentre invece nella parte due mi è sembrato un po' più assimilabile alla pittura. Mi sono messo lì come facevo del resto nei miei anni del rap, con la base davanti e solamente il pensiero di come costruire queste metriche, sempre cercando ovviamente di non sacrificare né il senso né l'intensità delle parole. Per esempio, il rap di “Miraggio” è più un sogno a occhi aperti, quello di “Burnout” è più anche una ricerca tecnica sulla forma della scrittura. Uno degli elementi di continuità tra la prima e la seconda parte è che comunque ha scelto di farsi accompagnare in questo tuo viaggio di ritorno da diversi amici e colleghi. Cito un paio di featuring della seconda parte che per ragioni diverse mi hanno colpito. Il primo è Coez, perché come già era successo con Franco126 nella prima parte sei riuscito a far rappare anche lui, a farlo ritornare al rap. È stata anche qui una cosa naturale nel senso che è stato lui a dirti io voglio fare così? Assolutamente, non è che io sono riuscito a farli rappare, è che non sono stato in grado di impedirglielo. Sono persone che evidentemente, in qualche momento della loro crescita, mi hanno ascoltato rendendomi un ingrediente della loro mappa di ispirazione. Franco126, mi ricordo che è entrato in casa e mi ha detto “se tu fai un disco rap, io voglio rappare”. E Franco126 è pure testardo, non ci ho provato nemmeno a oppormi a questa cosa. Con Silvano, invece, avevo già un ritornello pronto, ma al di là di questo penso che lui nella strofa abbia messo un po' tutti e due i suoi mondi. Aveva carta bianca, poteva fare quello che voleva, lui in particolare è quello con cui ho collaborato di più negli ultimi anni, avevamo già dei trascorsi, non c'era bisogno di dirsi moltissimo rispetto alla forma. Tra l'altro, sempre restando su Franco126, Coez e non solo loro, mi è venuto da pensare che in qualche modo lei ha fatto da apripista per questo tipo di artisti, è stato il primo a dimostrare che un rapper poteva anche essere un cantautore pop se lo voleva. Oggi è normale, quando l'ha fatto lei era sostanzialmente blasfemia. Sì, infatti mi ricordo che ho avuto una decina di anni di odiatori che avevano sempre il mio indirizzo, e questo mi faceva soffrire a suo tempo. Però devo dire che se mi attribuisco una forza, forse, è sempre stata quella di andare dritto. Più grandi erano le tempeste, più andavo dritto per la mia strada e quindi mi sento molto in armonia con il mio passato. C'è voluto tempo, ma adesso sì. L'altro featuring di cui volevo parlare è quello con Kaos. Com'è stato tornare a rappare con lui? Quando io gli ho presentato la mia idea del progetto e gli ho fatto sentire la base su cui avevo pensato che sarebbe stato interessante averlo, mi ha detto subito che ci avrebbe messo molto a scrivere, e a differenza di altri artisti con cui le cose sono state fatte in studio, con Kaos abbiamo fatto proprio un po' più alla vecchia, cioè lui si è tenuto la base per un paio di mesi e quando era pronto mi ha mandato il pezzo. Tra l'altro questo era un pezzo destinato a uscire nella parte 1, ma il problema era che nella mia prima strofa io stavo ancora molto giocando con il rap e gli ho detto di aspettare perché nel momento in cui poi ho deciso di uscire con il rap ci tenevo a trovare una misura di racconto, una misura narrativa, volevo scrivere una strofa che fosse degna proprio di questa unione. Tra gli altri featuring ci sono Jake La Furia, J-Ax, Salmo… C'è tanta vecchia scuola ma anche qualcosa di più nuovo penso a Nayt, e qualcosa di più pop, anche se forse meno presente rispetto alla prima parte, con Mahmood. Ha cercato in qualche modo un equilibrio nei featuring e nel distribuire tra le due parti dell'album o è stato anche lì tutto quasi spontaneo? Quando ho deciso di fare questo album, l'ho sempre pensato come un progetto in cui avrei voluto misurarmi con la scena musicale sia rap che in senso più lato. Infatti poi anche nella parte 1 la presenza di Francesca Michelin è chiaramente una cosa molto hip-hop vecchia scuola, la cantante pop che ci viene a fare un ritornello su un beat rap. Lo facevamo già anche ai tempi dei Sangue Misto, solo che eravamo in una posizione molto più di nicchia, avevamo in mente Giorgia, per esempio, ma il pop non ci conosceva ed era più difficile ottenere collaborazioni. Ale io lo considero un artista pop ma anche molto R&B, e l'R&B per me è sempre stato dentro il rap, non ci ho visto un grosso connubio di mondi. Poi mi rendo conto che il pop si evolve in tempi moderni nelle sue forme, sicuramente Ale si rivolge a un pubblico forse più giovane mediamente di quello a cui mi rivolgo io, però io non metto mai né barriere né vestiti a una spinta creativa. Poi quando chiami degli ospiti c'è anche un po’ un gioco di pedine, nel senso che magari qualcuno stava uscendo col disco e preferiva avere spazio per la propria musica, quindi l’abbiamo spostato più avanti. Poi c'erano anche dei pezzi su cui io ero in ritardo, per esempio Jake e Ale avevano registrato con me nel periodo del primo disco ma io non ero pronto e alla fine ho mandato avanti i pezzi che erano già pronti. Di recente, invitando i colleghi a esporsi in favore del popolo palestinese, Ghali ha detto e scritto che l'Hip Hop è morto, altri gli hanno risposto. Lei cosa ne pensa? L'Hip Hop è morto? Io oggi do per scontato che la cultura Hip Hop fa ampiamente parte della società mentre ai nostri tempi non si poteva distinguere il rap dall'hip hop. Io sono cresciuto sentendo i De La Soul, i Jungle Brothers, i Tribe Called Quest, i Public Enemy: erano gruppi di rinascimento culturale afroamericano, l'Hip Hop era decisamente più marxista nei primi anni 90, neorevoluzionario rispetto alla società americana e all'emancipazione degli afroamericani. Onestamente, da quando sono usciti gli NWA nel ‘92, nell’hip hop ho solo sentito parlare di catenazza e d'oro, donne di facili costumi e malcostumi per non usare altre parole e dammi i soldi. Questa è la narrativa, non è più un genere che si spende a favore della società da molti anni, quindi ho trovato un po' non esattamente centrata questa affermazione perché a questo punto se vale per l'hip hop vale per qualsiasi altro genere, vale per il cinema, vale per lo sport. È giusto che chi a livello personale si sente minato nella propria fiducia nel mondo dagli eventi che accadono dica qualcosa, io mi sono sentito di farlo ma decisamente a titolo personale, non da rapper. La ritengo ancora una scelta molto personale. A Ghali vorrei dire questo: “Sì, capisco da dove prendi l'angolo, ma ti voglio anche dire che quel tipo di hip hop non esiste da circa 30 anni”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Neffa: "In Canerandagio mi sono misurato col rap e non solo"

Gabriele Lippi