Francesco Lettieri: l’architetto invisibile delle emozioni visive

C’è una scena, in un videoclip di Liberato, in cui due ragazzi si rincorrono tra le pieghe di un’estate che sembra sospesa nel tempo. Il mare è grigio e dolce, le luci basse, i palazzi umidi, la città si mostra con una bellezza che non cerca il trucco. Quella scena, come tante altre, porta la firma invisibile di Francesco Lettieri: regista, autore, architetto di sentimenti visivi. L’uomo dietro la maschera – non perché sia Liberato, ma perché senza di lui, probabilmente, Liberato non avrebbe mai avuto un volto, una lingua filmica, una liturgia così precisa e struggente. Lettieri ha saputo tradurre un mistero musicale in un racconto per immagini che è diventato culto. Ma il suo percorso non si è fermato lì. Napoli oltre i cliché Il punto di partenza non poteva che essere Napoli. "Tutta la mia infanzia e la mia adolescenza sono legate chiaramente alla città in cui sono nato", racconta Lettieri. "Però me ne sono andato presto: a 18, 19 anni mi sono trasferito a Roma per studiare. Ho continuato a frequentare Napoli, facevo avanti e indietro anche più volte a settimana. Questo mi ha permesso di guardarla da dentro e da fuori". Quando ha iniziato a girare i primi videoclip di Liberato, nel 2017, la rappresentazione della città era dominata da un unico immaginario: "Gomorra la faceva da padrone", ricorda. "Io volevo raccontare Napoli in un modo diverso, riprendendo anche ironicamente lo stereotipo della cartolina. Giocavo con i cliché, ma cercavo dentro di essi la verità, restituendo un racconto realistico, contemporaneo. Napoli non è solo criminalità o folklore, ma anche architettura degli anni Settanta, avanguardia, stratificazione urbana". Quella scelta visiva ha aperto una breccia. "Credo che da Liberato in poi siano nate altre rappresentazioni della città. Penso, per esempio, a Mare Fuori: so che i suoi autori hanno guardato a quel tipo di immagine, una Napoli sì legata alla criminalità, ma raccontata in modo diverso, più contemporaneo". La sfida, oggi, è un’altra: "Sette anni fa era più facile", dice Lettieri. "Napoli era una città abbandonata a se stessa, molto genuina, ingenua, tutto era visibile in superficie. Oggi invece ha molti più strati: è diventata una città ‘cool’, usata come sfondo da mode internazionali, meta turistica. È la città dei murales di Maradona, di Pino Daniele, delle icone. Prima nessuno la voleva, oggi la desiderano tutti, ma è un successo effimero e superficiale. Si vendono le cose più banali e commerciali, mentre la parte più profonda rischia di essere dimenticata". La sorpresa e la nostalgia come chiavi narrative Nel lavoro di Lettieri i luoghi non sono mai semplici scenografie, ma spazi emotivi. "Quando scrivo, penso sempre a posti che conosco, a persone reali. Mi appoggio a caratteri veri, a location che ho visto", spiega. Ma non si limita a questo: "Lo scouting è uno dei momenti che preferisco. A volte un luogo che ricordavo non era così bello, altre volte bussando a una porta, entrando in un sottoscala, scopro posti molto più interessanti. Quella sorpresa è ciò che mi anima, che mi fa ancora amare questo mestiere". Accanto alla sorpresa, c’è la nostalgia, cifra costante della sua poetica. "Tutto nasce un po’ da lì: dal mio sentimento di nostalgia per i luoghi, per i personaggi, per le storie", confessa. "Ho capito che la mia chiave era fare emozionare le persone. Non con il melò, che non mi interessa, ma con un realismo capace di toccare corde profonde. La mia idea è rendere nostalgiche le cose del presente: essere nostalgici di quello che sta succedendo, non solo del passato". È una nostalgia che non riguarda solo epoche perdute, ma fasi della vita che non torneranno più. "Non è solo raccontare i ragazzi che facevano il tuffo a Mergellina negli anni Ottanta. È la nostalgia dell’età che non c’è più: l’adolescenza, la giovinezza, che chi guarda non vive più. In questo senso la nostalgia diventa una lente universale". La musica come rivelazione Il legame con la musica è stato decisivo. "Quando ho cominciato a fare video per Calcutta e Liberato ho capito che mi attraevano le canzoni malinconiche, nostalgiche. Quelle di Liberato, come 9 maggio, parlavano di un passato che ti fa emozionare. Facendo quei video ho capito che quella era la mia chiave narrativa". Per Lettieri la musica non è solo colonna sonora, ma bussola di scrittura. "In televisione spesso si abusa della musica: se una scena non funziona, ci mettono sotto un piano, due note per forzare l’emozione. Io lo trovo fastidiosissimo. Preferisco usarla nei momenti giusti, anche quando diventa prepotente, ma mai come tappabuchi. Ho imparato tanto passando ore in sala mix. Lì capisci che l’audio è un mondo a sé, fondamentale quanto l’immagine. È un campo in cui devo crescere, ma che mi affascina moltissimo" Anche i suoi ascolti personali rivelano un’anima composita. "Ho sempre ascoltato di tutto, dai Kraftwerk all’elettronica estrema come Aphex Twin o Autechre, fino ai cantautori italiani anni Settanta, da Dalla a Pino Daniele. Ultimamente sto rispolverando i miei vecchi capisaldi, quelli che mi hanno formato". L’elettronica, spiega, lo aiuta a scrivere: "Quando non c’è un testo, solo un’atmosfera musicale, mi facilita l’ingresso in una stanza narrativa". Videoclip, cinema, documentari: linguaggi che si contaminano Lettieri ha sempre rifiutato di rinchiudersi in un formato unico. "Il documentario, per me, è un campo dove è necessario sperimentare. Non mi interessava fare il classico schema intervista-live. In Pino Daniele – Il tempo resterà ho usato l’animazione, ne Il segreto di Brado ho cercato una struttura personale. Sono stati film miei, non semplici biografie". Con la fiction il discorso cambia, ma l’approccio resta contaminato. "In Lovely Boy ho inserito momenti che sembrano videoclip, scene ibride dove non è chiaro se sei in un film o in un video musicale. Mi piace ibridare, mescolare linguaggi". Questa tensione tra formati diversi deriva anche dalle sue letture e dalle influenze artistiche. "Herzog per me è stato fondamentale: la sua capacità di scoprire storie sul campo, di cambiare direzione, di guardare fuori da sé. Oppure Garrone, nella ricerca della verità. E poi i libri: leggere è molto più importante che guardare film, perché lì non puoi barare. Nei libri c’è sincerità totale. Ora sto leggendo Bret Easton Ellis, sono in un momento noir". L’ombra lunga di Liberato L’associazione con Liberato è inevitabile, e Lettieri lo sa. "Mi pesa quando vengo conosciuto solo per quello che ho fatto con lui", ammette. "Liberato è una parte importante del mio percorso, ma non è tutto. All’inizio mi dava fastidio quando mi identificavano direttamente con lui, oggi no. Faccio parte del progetto, continuo a lavorarci, e ne sono orgoglioso. Mai avrei immaginato di far parte di qualcosa che funziona anche all’estero. Se ci saranno altre canzoni, continuerò a girare i video". Lettieri rivendica il valore autoriale dei suoi videoclip. "Spesso i video sono visti come semplici spot per i cantanti. Io li considero opere d’autore. In Liberato ho trovato uno spazio di libertà enorme" Un esempio lampante è il video di Niente. "Dovevamo girare a Capri, ma era impossibile: budget ridotto, permessi complicati. Alla fine ho pensato di usare solo fotografie. È nato così un fotomontaggio struggente, forse uno dei miei lavori più emozionanti. A volte la necessità porta alle soluzioni più potenti". I film che verranno Parallelamente, Lettieri coltiva il cinema. "Ho scritto tre film e ora sto lavorando a un quarto", racconta. "Sono tutti diversi: uno in costume ambientato a Napoli negli anni Ottanta, uno nel mondo del cinema a Roma, un altro su un’isola deserta in Grecia. Spero un giorno di riuscire a farli tutti. Non ho un genere fisso: mi interessa la scoperta, cambiare ogni volta, come ha fatto Kubrick". La difficoltà è trovare i produttori: "Non è che stai dieci anni a pensare a un film e poi lo realizzi. Spesso scrivi dieci progetti e ne fai quello che ti permettono di fare. È un momento complicato per il cinema, ma continuo a scrivere". Francesco Lettieri, insomma, non cerca il centro della scena. Preferisce il margine, l’invisibile. È lì che trova la verità. "La sorpresa e la scoperta ti portano di fronte alla realtà, che spesso è più interessante di quello che hai in testa tu", afferma. "Il mio compito è lasciarmi trasportare, non costringere le storie dentro un presupposto". E così, in questo lasciarsi andare alla corrente, la sua Napoli è dolce e feroce, stratificata, mai cartolina. La sua regia è fatta di nostalgia del presente, di emozioni trattenute e poi rilasciate. Ha dato corpo a un mito musicale, ma non si è lasciato imprigionare in esso. Invisibile come il suo protagonista, ha reso visibile l’indicibile: i sentimenti sospesi che fanno di una città, di un’estate, di un amore – un racconto universale.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Francesco Lettieri: l’architetto invisibile delle emozioni visive

Giuditta Avellina