Perché la critica musicale è troppo buona e poco efficace?

Periodicamente sui giornali, sui siti e sulle timeline dei social si torna a parlare della sempre più bassa rilevanza di certi articoli, in particolare gli approfondimenti e certa critica culturale. Negli ultimi mesi però, specialmente negli Stati Uniti, dalle parole si è rapidamente passati ai fatti. Ecco che Associated Press ha annunciato la fine delle sue recensioni settimanali di libri, il Chicago Tribune e il Washington Post hanno detto addio ai loro storici critici cinematografici , mentre il New York Times ha spostato ad altri incarichi quattro critici di punta . Inoltre pochi giorni fa sul New Yorker è uscito un lungo pezzo di Kelefa Sanneh verticale sulla critica musicale che secondo l'autore nel tempo ha perso il proprio smalto. L'articolo del New Yorker di Kelefa Sanneh Nell'articolo – quasi un mini-saggio – dal titolo “How Music Criticism Lost Its Edge” il giornalista musicale, che ha lavorato a lungo per il New York Times, sostiene che da parecchi anni la critica non abbia più opinioni forti e feroci come un tempo. In passato - racconta Senneh - la critica musicale ha costruito la propria reputazione proprio sulla severità, spesso sprezzante, dei loro giudizi contro la musica che andava in classifica. C'era proprio una netta distinzione tra la musica che la critica lodava e quella cosiddetta “commerciale”, termine che spesso conteneva un giudizio negativo. C'erano poi critici come Greil Marcus che addirittura negli anni 70 si permetteva di criticare aspramente dischi poco riusciti di Bob Dylan oppure come Robert Christgau, critico musicale molto influente del Village Voice, che stroncò album di George Harrison e di Danny Hathaway con giudizi molto tranchant. E all'epoca anche gli stessi fans degli artisti erano divertiti da queste critiche o forse le prendevano come un semplice gioco delle parti. Un certo gusto per la critica aspre si è mantenuta anche negli anni 90 e negli anni zero: la rivista Rolling Stone assegnò mezza stella al primo e ultimo disco da solista di Andrew Ridgeley, l'altra metà degli Wham!, mentre il sito Pitchfork, che per molti anni ha rappresentato la testata più autorevole della critica rock, attribuì un punteggio di 0.0 su 10 al singolo di grande successo dei Jet “Are you gonna be my girl”, con una recensione senza testo ma con solo un video di uno scimpanzè che dirige il getto della sua urina in bocca. Nel tempo però - scrive sempre Senneh nel suo lungo articolo pubblicato sul New Yorker - la distinzione tra musica acclamata dalla critica e quella più venduta e ascoltata è diventata sempre più sfumata, al punto che oggi i critici hanno praticamente smesso di scrivere stroncature, ma favoriscono di fatto un atteggiamento e un approccio più accomodante verso la cultura di massa o verso musica che incontra il consenso di nicchie abbastanza ampie. Senneh lo chiama Poptimism, crasi tra pop e ottimismo, per descrivere una sensibilità più inclusiva assunta dai critici nei confronti degli artisti più pop. In generale sono proprio le testate musicali ad aver iniziato a trattare, recensire e celebrare gli artisti più pop, fondamentalmente per adattarsi ai profondi cambiamenti dell'industria dei media e alla frammentazione della comunità online. Senneh fa riferimento ancora a Pitchfork e Taylor Swift i cui dischi fino al 2017 non erano mai stati recensiti dalla testata, considerandola poco interessante. Ci sono stati dei casi poi, come per “Solar Power” delle neozelandese Lorde, in cui le recensioni delle riviste erano molto più benevole e gentili dei giudizi espressi da lei stessa riguardo al suo disco. Ma quali sono i motivi di questo cambiamento di rotta? Kelefa Senneh attribuisce tutto questo a una serie di fattori. Da una parte c'è il timore di suscitare reazioni eccessive nei confronti dai fan degli artisti che nell'ultimo periodo sono diventati estremamente suscettibili e ostili, specialmente sui social media. L'altro elemento che mette sul tavolo Senneh è che rispetto ai critici cinematografici, teatrali o gastronomici, i critici musicali oggi “non possono nemmeno affermare di far risparmiare tempo o denaro ai loro lettori: ascoltare una canzone è spesso più facile, veloce ed economico che leggerne”. In altre parole: perché leggere le recensioni per capire se un album ci piacerà, quando possiamo ascoltarlo direttamente con un click sulle piattaforme di streaming e valutarlo subito? Il contesto più allargato Il grande non detto del lungo articolo del New Yorker è che l'editoria oggi versa in una profonda crisi di vendite e lettori, e quindi anche i grossi gruppi editoriali se vogliono assicurarsi l'intervista in esclusiva con l'artista, non solo devono essere moderati nei giudizi, ma spesso è richiesto un'alta dose di entusiasmo nelle recensioni. Negli Stati Uniti lo chiamano “access journalism”, e fa riferimento ad articoli che evitano critiche o argomenti controversi per poter “accedere” a inviti a concerti o a interviste in esclusiva con gli artisti. Che è poi quello che accade da anni con la moda: sottrarsi a opinioni critiche per evitare che i grandi brand escano dal gruppo degli inserzionisti pubblicitari. Tuttavia il contesto è così cambiato che forse non sono davvero importanti queste critiche o recensioni negative di cui tanto si parla qui. Oggi purtroppo il grande concorrente della critica è l'algoritmo e, dal momento che viviamo nell'epoca dell'abbondanza, la critica musicale dovrebbe muoversi più nella direzione della curatela / raccomandazione e insieme analisi di artisti-dischi-contesti che vale la pena segnalare. Personalmente credo che la critica non morirà mai, semplicemente cambierà forma, sia a livello di format che di piattaforma. Questo siginifica che vedremo sempre più approfondimenti narrativi che mescolano reportage, interviste e opinione, oppure critici che curano prodotti sempre più verticali, tipo newsletter su un genere specifico, raccogliendo nicchie di appassionati, o altre forme ibride. La storia della cultura ci insegna che periodi di caos e di abbondanza hanno generato nuove forme di mediazione.

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Michele Boroni