Da YouTube a Swag: Justin Bieber e il manager che ha cambiato tutto

Certe rivoluzioni iniziano nel modo più silenzioso possibile. Un ragazzo canadese canta in cameretta, la madre carica i video su YouTube. È il 2008. Dall’altra parte dello schermo, un talent scout americano si ferma, incuriosito. Si chiama Scooter Braun, ha poco più di vent’anni e un fiuto per i fenomeni nascosti. Quel tredicenne si chiama Justin Bieber. Nel giro di settimane, Braun contatta la famiglia, porta Justin ad Atlanta e gli organizza un incontro con Usher. Nasce la RBMG, etichetta cofondata da Braun e Usher per firmare il giovane talento. È l’inizio di un sodalizio che plasmerà un’intera generazione musicale e culturale: Bieber diventa la popstar della Gen Z, Braun il manager più potente della sua epoca. E tutto comincia con un clic. Ascesa da record, sotto l’ala di Braun Nel 2009 esce l’EP My World, ma è con My World 2.0 del 2010 che Justin esplode globalmente: il singolo “Baby”, featuring Ludacris, diventa uno dei video più visti di sempre. A soli 16 anni, Bieber è già una macchina da sold out. Ma dietro il fenomeno mediatico, c’è una gestione strategica accurata: Braun cura ogni dettaglio, dall’immagine social al merchandise, dalle apparizioni TV alla costruzione del fanbase. L’obiettivo è uno solo: rendere Justin non solo un idolo per teenager, ma un artista longevo. Braun lo fa con astuzia. Dopo il successo adolescenziale, arriva la fase “di transizione”: Bieber pubblica Believe , sperimenta suoni più maturi, collabora con produttori come Diplo e Benny Blanco. Il passaggio da teen idol ad artista globale viene pilotato con fermezza e visione. Ma non sarà un percorso lineare. Il crollo e la rinascita Nel 2013-2014, Justin Bieber finisce spesso sulle cronache non musicali: arresti, eccessi, sfuriate. È l’inizio della crisi. Braun, però, non lo lascia solo. Anzi, fa qualcosa di raro: lo obbliga a fermarsi. “Non volevo lasciarlo morire”, dirà. Fa muro contro chi gli chiede di capitalizzare sull’immagine “bad boy” del momento. Pretende che Justin si curi, riposi, cresca. Una mossa controcorrente in un’industria che brucia i suoi idoli. Nel 2015, la strategia paga: Purpose è il disco della rinascita. Hit come “Sorry”, “Love Yourself” e “What Do You Mean?” dominano le classifiche. Bieber ottiene il primo Grammy, riconquista la critica. È un nuovo inizio: più sobrio, più adulto, più consapevole. Il merito? Anche della direzione di Braun, capace di leggere il momento e fare un passo indietro per proteggere l’artista. È il momento in cui il rapporto tra i due sembra più solido: Braun è testimone del matrimonio tra Justin e Hailey Baldwin nel 2018, a riprova di un legame che va oltre il contratto. L’addio silenzioso: quando finisce una partnership Ma nel 2023, all’improvviso, qualcosa si incrina. Prima sussurri, poi notizie: Justin Bieber starebbe cercando nuovi manager. I portavoce smentiscono, ma a Hollywood lo sanno tutti: Bieber e Braun non si parlano da mesi. Il 16 giugno 2024 arriva la conferma: “Scooter Braun e la SB Projects non sono coinvolti negli affari o nella gestione attuale di Justin, né lo saranno in futuro”. È finita. Senza proclami, senza comunicati infuocati. Finisce come cominciano le cose vere: in silenzio, ma con effetto duraturo. Le ragioni della rottura non sono drammatiche. Non c’è un litigio, né uno scandalo. C’è l’evoluzione. Justin ha 30 anni, ha venduto il suo catalogo musicale per oltre 200 milioni di dollari, ha annullato il tour per motivi di salute, vuole una nuova gestione. Braun, invece, è diventato CEO di HYBE America, e ha meno tempo per l’attività di management diretto. Due traiettorie che si allontanano naturalmente. Eppure, il rispetto resta. Quando Bieber pubblica il suo primo disco post-Braun, è lo stesso Scooter a celebrarlo su Instagram: “È il lavoro più autenticamente Justin che abbia mai ascoltato”. Nessuna faida, nessuna frecciatina. Solo riconoscenza. E un messaggio: certe storie finiscono bene, anche se finiscono. Il declino di Scooter Braun manager Il caso Bieber è solo il più eclatante. Già nel 2023, altre star abbandonano la SB Projects: Ariana Grande, Demi Lovato, J Balvin, Idina Menzel. Tutti nel giro di pochi mesi. Non è un’epurazione, né una fuga. È una trasformazione. Molti artisti sentono che Braun, sempre più impegnato con HYBE e le sue operazioni globali, non è più “sul pezzo” come una volta. Alcuni, come Ariana, si sentono trascurati nei momenti personali difficili. Demi Lovato cambia per cercare una direzione nuova. J Balvin passa alla label di Jay-Z. Braun non smentisce. Anzi, reagisce con ironia: “Breaking news... non sono più nemmeno il manager di me stesso”, scrive su X . Pochi mesi dopo, l’annuncio ufficiale: si ritira dal management per dedicarsi a HYBE e alla sua famiglia. “Un’artista importante mi ha lasciato e ho sentito che era il segnale”, confessa. In molti leggono tra le righe: è Ariana. Ma il punto non è chi lo lascia. È come lo fa. Senza strappi. Con rispetto. La chimica dei grandi sodalizi Il caso Bieber-Braun non è isolato. Nel pop e nell’hip-hop esistono sodalizi celebri che hanno segnato intere epoche. Come Dr. Dre ed Eminem: una combo esplosiva nata contro ogni aspettativa. Nel 1998 Dre scopre un rapper bianco di Detroit, sfida lo scetticismo e lo firma. Nasce “My Name Is”, e tutto cambia. Da allora, i due non si separano più. Album dopo album, superano alti e bassi, restano leali. Quando Eminem viene introdotto nella Rock & Roll Hall of Fame nel 2022, è Dre a pronunciare il discorso. Il rispetto reciproco è intatto. Come la chimica. Lo stesso vale per Taylor Swift e Jack Antonoff. Si conoscono nel 2012, da allora scrivono insieme i dischi più importanti della carriera di Taylor: 1989, Folklore, Evermore, Midnights. Cambiano genere, stile, tono. Ma non cambia il legame: si parlano come amici, si confrontano come artisti, si stimano come colleghi. È la formula perfetta. Un altro esempio? Missy Elliott e Timbaland. Amici d’infanzia, rivoluzionano l’hip-hop con Supa Dupa Fly nel 1997. Timbaland inventa suoni futuristici, Missy li cavalca con ironia e stile. Una coppia inseparabile per anni, poi rallentata da problemi di salute. Ma l’impronta che hanno lasciato è indelebile. Missy è oggi nella Rock & Roll Hall of Fame – prima donna rapper a entrarci – e molto lo deve al sodalizio con Timbaland. Cosa fa funzionare un sodalizio? Alla base di ogni partnership vincente ci sono tre cose: fiducia, visione comune, comunicazione. Senza questi elementi, nemmeno il miglior talento può durare. Braun aveva visione e strategia, Bieber talento e carisma: insieme hanno costruito un brand. Ma nel tempo, se uno dei due cambia ritmo, il legame si logora. Quando un artista sente di essere “cresciuto oltre” il manager, o il produttore non segue più le sue ambizioni, il sodalizio si incrina. Talvolta basta un gesto mancato, come nel caso di Ariana. Altre volte è il fisiologico scorrere del tempo. Il rischio? Finire come molti duo storici che si sono lasciati male. Ma Bieber e Braun hanno evitato tutto questo. E oggi rappresentano un modello: quello in cui si può chiudere un rapporto senza rovinare il passato. Epilogo Nel 2025, Bieber è finalmente libero e consapevole. Ha superato crisi personali, problemi di salute, ha lasciato il suo manager storico. Eppure sembra più sereno che mai. La musica parla per lui: il nuovo disco è più vulnerabile, più diretto, più adulto. È la prova che l’allievo è diventato maestro. E che la lezione di Braun – strategia, coerenza, visione – è rimasta dentro di lui. Braun, dal canto suo, guarda avanti. HYBE America, i nuovi progetti, la famiglia. Il management diretto è il passato. Ma la storia con Bieber – quella sì – è destinata a restare nei manuali. A dimostrazione che quando un sodalizio è vero, anche la sua fine può essere bella.

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Giuditta Avellina