Quanto valgono veramente gli stream delle canzoni?

In questi giorni capita di vedere in tv quei classici show generalmente organizzati dai network radiofonici in giro per l'Italia dove si passano in rassegna i successi dell'estate: qui i presentatori sono soliti introdurre gli artisti e le canzoni con annunci roboanti dei milioni e milioni di stream collezionati nelle principali piattaforme. Spesso resta dentro di noi l'interrogativo di quanto in effetti valgono questi streaming. Proviamo qui a rispondere, ma è necessario fare delle premesse. Come più volte abbiamo detto su queste pagine, oggi le attività più redditizie per gli artisti sono le esibizioni dal vivo , gli accordi con i brand, il merchandising e soprattutto le iniziative legata al fandom, ovvero dirette principalmente ai superfan. Gli incassi che arrivano dallo streaming invece sono ridotti, decisamente molto più bassi rispetto alle entrate di quando c'erano solo i supporti fisici . Ma oltre alla questione puramente economica, c'è anche un tema più sostanziale e qualitativo. Ogni stream racconta una storia diversa L'evoluzione del ruolo dello streaming è in gran parte legata all'ascesa dell'ascolto passivo: poiché il consumo di musica è diventato sempre più dipendente dalle raccomandazioni algoritmiche, la scelta consapevole dello streaming è meno frequente, e questo rende piuttosto difficile il confronto con formati di consumo storici come l'acquisto fisico o il download digitale. Con questi formati, acquistare musica è sempre stata una scelta attiva: dietro c'era un costo tangibile ed era un investimento permanente. Invece l'ascolto in streaming di una canzone non contiene lo stesso investimento: una persona può ascoltare una canzone tutte le volte che desidera spendendo comunque la stessa cifra. Tuttavia, gli streaming e gli acquisti sono trattati in modo simile dall'industria discografica : secondo FIMI, “la metodologia utilizzata per l’inserimento degli streaming nelle classifiche Singoli prevede quanto segue: 1 download digitale = 180 ascolti in streaming premium e 1.260 ascolti ad-supported”. I conteggi degli streaming confondono quindi il comportamento attivo e passivo, perdendo la sfumatura che un tempo derivava dalla divisione tra l'ascolto alla radio e la vendita al dettaglio. Perciò con gli streaming è impossibile sapere come viene ascoltata una canzone: una persona che ascolta la stessa canzone 180 volte e 180 persone che la ascoltano una sola volta ciascuna vengono conteggiati allo stesso modo. Ed è ancora più difficile capirne il motivo: un utente può ascoltare in streaming una canzone perché ad esempio ha bisogno di musica di sottofondo per studiare, oppure perché è il più grande fan dell'artista o perché l'algoritmo della piattaforma lo consiglia o semplicemente per curiosità. Tutto questo dal semplice numero degli stream non si evince. Piattaforme come Spotify hanno adottato delle misure per risolvere la questione attraverso lo strumento di analisi chiamato “Super Listeners”. Tuttavia, i dati condivisi da Spotify servono solo a evidenziare una sfida chiave dell'era dello streaming: sebbene questi super listener siano fan sfegatati che in media contribuiscono a oltre il 18% degli stream mensili di un artista, rappresentano solo il 2% degli ascoltatori mensili. Più persone che mai oggi ascoltano musica in streaming, ma di conseguenza, la percentuale di ascoltatori profondamente coinvolti sta effettivamente diminuendo. A chi interessano gli stream? Come abbiamo visto gli streaming mascherano un'ampia varietà di comportamenti di ascolto che, a loro volta, vengono valutati in modo diverso a seconda dell'interlocutore. Per le etichette discografiche, gli elevati numeri di streaming contribuiscono alla quota di mercato, quindi si tratta di un dato fondamentale in termini di scalabilità. Per gli artisti invece la quota di mercato è meno interessante: per loro è prioritario raggiungere e costruire una folta fanbase. Peraltro da varie ricerche emerge come la scoperta di canzoni e artisti da parte del pubblico avviene spesso altrove: solo il 30% dichiara lo streaming come uno dei primi tre canali per scoprire nuova musica. Al contrario YouTube è il canale di scoperta più popolare. Quindi per gli artisti, gli streaming stanno diventando sempre meno un mezzo per generare fandom e sempre più un sintomo di fandom esistente. Resta comunque il problema delle informazioni limitate: gli artisti possono vedere quanto gli utenti stanno ascoltando, ma non come o perché, né riescono a distinguere facilmente tra ascoltatori passivi e fan. Quindi i diretti interessati hanno bisogno di altri dati, anche offline, per acquisire una comprensione più completa del loro pubblico, piuttosto che considerare le metriche dello streaming come il dato definitivo. Sta quindi crescendo il numero degli artisti che spostano l'attenzione dal semplice numero di stream verso nuove strategie incentrate sul fandom: i numeri degli streaming stanno diventando meno un obiettivo inflessibile e più una conseguenza del successo in altri settori. Questo però non significa che lo streaming non sia più significativo, perché rimane la forma dominante di consumo musicale oggi e il principale motore dell'industria discografica. Tuttavia, se ci concentriamo su altri parametri di successo come per esempio la risonanza dell'identità, che è un importante indicatore del fandom, gli artisti possono iniziare ad abbandonare tutto questo gioco dei numeri. Ed è quindi piuttosto chiaro che se si concentrano sulla coltivazione del fandom, gli streaming inevitabilmente seguiranno.

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Michele Boroni