Duran Duran, un viaggio nei ricordi avvolgente come una madeleine proustiana

The Wild Boys tornano in Italia per quattro concerti, due a Roma al Circo Massimo, uno a Bari alla Fiera del levante e poi a Milano nell'ambito degli I-Days Milano. Il tutto accade in questo mese di giugno oppresso da un calura che avvolge i corpi come un sudario. Partecipare a un live dei Duran Duran non è solo un'immersione musicale bensì un'esperienza nella storia di una band che ha segnato una generazione e dettato le linee guide del pop dagli anni Ottanta a oggi. Guidati dal carismatico cantante Simon Le Bon , insieme al tastierista Nick Rhodes, al bassista John Taylor e al batterista Roger Taylor, rimangono un gruppo d'avanguardia che riesce a ipnotizzare più generazioni nel mondo, indipendentemente dalla carta di identità, grazie a una creatività speciale e a una energia unica che nella dimensione live raggiunge la sua massima espressione. Formatisi a Birmingham nel 1978 si sono separati nel 1985, poco dopo la loro indimenticata partecipazione al Festival di Sanremo, dove sono tornati lo scorso febbraio, esattamente quaranta anni dopo accompagnati sul palco dalla bassista dei Måneskin Victoria de Angelis. Prima di riaggregarsi i Duran Duran si sono ritrovato per condividere momenti speciali. E uno lo è stato veramente. Si tratta di quando sono stati chiamati per collaborare alla colonna sonora del film di James Bond "Agente 007 - Bersaglio mobile": il brano si intitola "A View To A Kill" e ancora oggi, a distanza di 40 anni, resta l'unico brano tratto dalle colonne sonore della serie di 007 a essere salito al primo posto delle classifiche statunitensi. All'epoca fu girato un video in stile spionistico ambientato sulla Tour Eiffel che Simon Le Bon, parafrasando la celebre frase dell'agente segreto di sua maestà, conclude dicendo "Bon, sono Simon Le Bon". Per molti il loro ritorno, la loro reunion, ha rappresentato la fine della giovinezza. Perché non c'erano più le ragazzine ad assediare gli hotel dove alloggiavano, perché forse nessuna avrebbe sposato quel Simon Le Bon sempre fascinoso ma un po' imbolsito, perché sul palco portavano più storia che sensualità. Ma quando partono le note di "Girls on Film", "The Wild Boys", "The Reflex", "Ordinary World", "Come Undone", "Hungry like the Wolf", "Save a Prayer", "A View to a Kill" e "Rio" è impossibile non emozionarsi. Per molti sono icone Pop ma è una accezione generalista che non abbraccia il loro valore. Mettiamola così: esiste una prima British Invasion e ne esiste una seconda. La prima germoglia nella prima metà degli anni Sessanta e ha come capostipiti The Beatles, cui si aggregano, tra gli altri, The Rolling Stones, The Kinks e The Animals. Poi la marea si ritrae e ne arriva una seconda che ci regala The Who , Cream, Procol Harum, The Yardbirds e The Zombies. I fari si spostano sugli Stati Uniti, su Nashville, su New Orleans, su Los Angeles. Ma la terra d'Albione torna in ebollizione artistica a fuoco lento e negli anni Ottanta cala due jolly che si chiamano New Wave e Synth Pop, dei quali i Durand Duran, con gli antagonisti Spandau Ballet, sono portavoce. Il nome del gruppo, la leggenda narra, si ispira a quello dello scienziato Dr. Durand Durand del film di fantascienza "Barbarella" e la prima esibizione pubblica, datata 5 aprile 1979, ha visto i Duran Duran cantare brani ispirati a testi di Hemingway, Kerouac e Fitzgerald. Insomma, averli davanti, ascoltarli, rivivere attraverso i loro testi gioie e dolori, amori e disincanti, è come una madeleine proustiana: un morso di vita quotidiana, un oggetto, un gesto, un colore, un sentimento, un sapore, un profumo, un'essenza che muove i ricordi.

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