Fremir e l'album Stoccolma: "Voglio meno chimere e più sogni che si avverano"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Credit Gianluca Giovanna e Mattia Pisani

L'artista campana ci guida, attraverso otto canzoni, in un viaggio che scandaglia le sfaccettature dell'umanità e dell'essere umano, che racconta un mondo dove è il momento, dopo la speranza e le preghiere, di pretendere quello che ci meritiamo. L'INTERVISTA

Il titolo dell'album è Stoccolma ma la sindrome è di Fremir, dell'esplosiva artista campana Francesca Salzano, che col suo progetto ha indirizzato la nostra stella polare interiore verso l'introspezione e la voluttà emotiva. Otto brani ipnotici, sinuosi, avvolgenti che esplorano le dinamiche dei rapporti umani senza temere di affrontare temi ostici quali come la tossicità e le dipendenze.

Francesca il tuo album Stoccolma è un album di dipendenze e di rapporti umani. Come lo hai pensato e hai ragionato che tanta umanità è antistorica nella stagione dell’IA?
Non ho tanto pensato al disequilibrio tra le parti, a prescindere dal concetto di Intelligenza Artificiale abbiamo bisogno di tornare a una dimensione umana. E’ necessario ed è anche il perché Stoccolma parla di umanità e umano.

Il viaggio nel quale ci accompagni parte con La Patologia, dove i sogni diventano chimere: sei una dreamer?
Li rincorro e cerco di farli combaciare con la realtà. La chimera è spaventosa e mi rincorre, aspiro a meno chimere e più sogni risolti.

La polvere cui sei attaccatissima, oltre al “nostro disordine”, la nascondi sotto il tappeto o la respiri?
La nascondo, così rimane protetta e la vado a prendere quando ne ho bisogno. Oppure mi ci avveleno. Sono avvelenata di passato e nostalgia, è il mio elemento, rappresenta quello che è stato e mi ci devo immergere.

Il Padre che Torna è una confessione: scambiare, o forse sarebbe meglio rinunciare, a qualcosa per farsi consolare e rispettare è salvifico oppure un palliativo?
Nel ritornello alcuni elementi sono salvifici e altri palliativi: la musica con l’amore e il lavoro sono palliativi. Il bosco è salvifico. L’amicizia è il mio bosco.

“Distrarsi e divertirsi sono due cose diverse”: in questo periodo della tua vita quale delle due frequenti?
Una alternanza però mi sto più distraendo e questo richiede impegno perché devi impegnare la mente. Però mentre scrivevo l’album mi stavo a modo mio divertendo.

“Invisibile e libera” sono due concetti inscindibili? Chi è vittima e chi è carnefice.
Non sono inscindibili, puoi essere entrambi, è uno stato e mi ci sono immaginata come Margherita, nuda e libera da catene. Non c’è qui una dinamica vittima-carnefice.

“Ti amerò per sempre come mi piacerebbe” è arrendersi alla passione o costringerla a seguire i nostri desideri, le nostre pulsioni?
La passione mi trasporta e c’è il conflitto che si respira nell’album e cerco io di condurre il gioco. Quello che citi è un verso arrendevole. Dice che mi piacerebbe amarti per sempre ma non succederà.

La gioia deve avere sempre una provenienza? Non può essere come un’erba spontanea?
Anche erba spontanea purché autentica. Non deve essere intellegibile ma autentica sì.

I Templi sono Chiusi mi ha ricordato il centro di gravità permanente di Franco Battiato: oggi è il tempo di sperare, pregare e pretendere?
Quello di pretendere. Ho sperato e pregato abbastanza, anche per me stessa. Ora da me stessa, non in maniera severa, ma voglio raccogliere i frutti da quello che ho imparato.

Fino all’Orlo è smarrimento, ricerca di protezione…se ritrovassi quella poesia che hai perso nel primo verso risaliresti a galla?
E’ tutto lì il mistero. Dalla perdita della poesia si va a fondo e se non ritrovi quella dimensione non risali.

Il Paolo di Pollice Nero chi è? Mi ha ricordato il Paolo del Banco del Mutuo Soccorso e il Paolo buon amico di Daniele Silvestri: chi è? A chi assomiglia?
E’ una figura fittizia ma pure reale. Descrive la dinamica della molestia non portata a compimento e ti lascia addosso una traccia, un giardino arido dove non fiorisce la bellezza perché non è rimasta una traccia. Pollice Nero è l’episodio che non sai descrivere, è le responsabilità che non sono tue ma te ne fai carico.

“Qui c’è la tempesta”…sei pronta a scatenar tempesta come Alda Merini?
E’ una responsabilità. Non ho l’arroganza di poerla scatenare nella vita altrui, ma nella vita mia sì. Voglio tenere dentro di me le situazioni in movimento anche a costo di creare subbuglio se arriva ad altri, se arriva da me…meglio.

Restiamo a Pollice Nero dove parli di un bravo uomo: chi è oggi un bravo uomo?
E’ una allusione sarcastica: hai riconosciuto in te la persona che non fa determinate cose ma non sei andato a fondo, hai fatto qualcosa di ambiguo ma non ti si può denunciare. C’è l’uomo buono e c’è il brav’uomo. All’uomo buono voglio crederci come anche alla donna buona, voglio credere all’essere umano buono.

Medusa non è solo quella che si lascia trasportare dalla corrente ma è anche quella che pietrifica con lo sguardo. Quest’ultima è la Fremir consapevole di questo periodo?
Mi piacerebbe avere questo potere. A volte lo ho avuto e lo ho usato. Mai ho pietrificato uno sguardo, sono le azioni a farlo e anche in positivo.

Che accadrà nelle prossime settimane?
L’8 gennaio sarò protagonista dell’opening act di Origimi. Sempre nei primi giorni del 2025 ci sarà una piccola edizione della rassegna Pericolo Costante a Berenice. Il 2024 è stato un anno pieno di fermento e dunque mi fermerei un momento.

Fermarsi non è in sintonia col tuo nome artistico.
Fremir significa fremere dal portoghese. E’ l’urgenza di buttare fuori quello che ho dentro, è un canale che non avevo esplorato. E’ la musica fuori dalla mia stanza

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