Intervista a uno dei pianisti classici più famosi del mondo, a Roma per un recital all'Accademia di Santa Cecilia. Per parlare della natura delle emozioni, dell'esigenza di far conoscere meglio i compositori poco eseguiti e di uno straordinario incontro tra Oriente e Occidente: il suo, che a 15 anni si è trasferito dalla Cina agli Stati Uniti
Lang Lang è un musicista moderno, seguitissimo sui social, impegnato ad alto livello nel volontariato e nella beneficenza, abituato a suonare per i grandi del mondo, spesso in giro tra i continenti per i suoi tour. È anche un carismatico divulgatore della musica, soprattutto fra i giovanissimi.
Tutto molto contemporaneo e notevole, soprattutto per un pianista classico.
È un esempio vivente di fortunato incontro di culture: nato in Cina, le sue radici sono saldamente nella musica romantica europea. Era ancora un giovanissimo prodigio della tastiera quando si è spostato negli Stati Uniti accompagnato dal padre per completare la sua preparazione accademica al pianoforte.
Oggi, a 41 anni, è in piena carriera: non tutti apprezzano il suo stile molto espressivo, ma Lang Lang è certamente capace di attrarre il pubblico con concerti e dischi.
Lo abbiamo intercettato a Roma, dove ha tenuto un recital nella stagione dell’Accademia di Santa Cecilia.
Lang Lang, com’è essere una superstar della classica?
Mi sento un privilegiato per avere una fama mondiale. Mi dà una gioia davvero enorme. Ovunque io vada, fortunatamente è tutto esaurito e questo è un grande incoraggiamento perché quando ero ragazzo la sala non era affatto piena. Ricordo che c’erano magari venti, trenta persone al centro, altre venti da un’altra parte. È incredibile essere famoso ed avere tanti ammiratori: è una bellissima sensazione.
Nel suo nuovo album per la Deutsche Grammophon, oltre al Secondo concerto per pianoforte e orchestra e al “Carnevale degli animali” di Saint Saëns lei suona anche diversi pezzi di compositrici quasi sconosciute. Ha voluto accendere un riflettore sulle donne?
Ci sono diverse ragioni per cui l’ho fatto. Innanzitutto credo che il loro lavoro sia eccellente. Poi è importante proporre compositori nuovi o che non siano stati molto conosciuti in passato. Che siano donne o uomini è una questione meno importante. Qui abbiamo trovato cinque fantastiche signore da diversi momenti, soprattutto del post-impressionismo. Hanno portato nel mondo della musica soprattutto bellissime melodie, che ci suggeriscono un modo per comprendere le composizioni.
Cos’è per lei un’emozione?
L'emozione ha molti meccanismi e livelli. Può essere gioiosa, oppure una lotta, può essere lirica o amara. Le emozioni devono arrivare da ogni parte e il pianista maturo le deve adattare. È quasi come miscelare un profumo, mettere insieme aromi originali e creare una miscela.
Secondo lei perché la classica è spesso considerata una musica per le élite culturali?
Io non lo credo, non l’ho mai detto. Credo che la classica dovrebbe essere suonata per tutti. Essendo cinese, non avrei mai suonato la musica classica occidentale se fosse stata solo per un certo gruppo di persone. Ovviamente per capire la musica classica devi imparare la Storia, leggere molti romanzi.
La grande notizia è che nel pianoforte non ci sono parole: ci sono suoni senza parole. Fondamentalmente sono sensazioni.
Un buon pianista, uomo o donna, ti prende come un narratore e ti dà questa conoscenza senza costringerti a leggere, ma soltanto a provare sensazioni con le note, l’armonia, le onde della musica.
Lo ha appena accennato: lei all’età di 15 anni si è trasferito dalla Cina agli Stati Uniti. Come è stato questo incontro di Oriente e Occidente?
All’inizio è stato una specie di shock culturale, perché non ero in Europa, in uno dei Paesi di questa tradizione musicale. Ero a Filadelfia, in America. Ero un liceale con tanti ragazzi che non avevano idea di chi fosse Beethoven, volevano solo essere i più fichi. Al conservatorio Curtis invece era un altro mondo: erano tutti così seri, volevano suonare il Bach autentico. Ricordo che i miei compagni volevano avere il suono di Glenn Gould o di Horowitz: erano tutti presi dalla purezza della musica classica.
Per me è stato fonte di ispirazione, ma anche uno shock culturale non sapere chi fossero, non parlare la lingua, non mangiare lo stesso cibo. È stato come trovarsi in un posto dove tutto è nuovo. Presto però ho costruito amicizie e le rispettive culture si sono mischiate.
Ecco ciò che chiamiamo la potenza della musica: la musica ha fatto di noi una sinergia.
Diversi grandi pianisti fanno concerti oltre gli ottanta anni di età. Lei può immaginarsi così tra quarant’anni?
Lo spero proprio. Bisogna dire che fare concerti è una cosa, ma il massimo livello è un’altra cosa. Sono certo che se sarò ancora vivo potrò ancora suonare le note, ma sarà una sfida essere ancora ad altissimo livello, o ancora migliore, più maturo. Bisogna essere in forma fisicamente e avere dita ancora giovani.
Per esempio, Martha Argerich: ho avuto un meraviglioso incontro con lei recentemente. Le sue dita sembrano quelle di una ragazza. Io le ho chiesto come faceva a mantenerle così, lei mi ha risposto che era questione di genetica. Io ci credo e spero che succeda anche me. Così potrò suonare fino a ottanta o novanta anni.