Tropea: "L'album Serole è la nostra storia, è l'istinto che vince sull'amore"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

La band nata a Milano e finalista a X Factor nel 2022 racconta i sentimenti e il sentimentalismo di una generazione. L'INTERVISTA

Tropea, grandi protagonisti a X Factor 2022 (GUARDA LO SPECIALE), pubblicano il loro primo disco Serole, fuori con peermusic ITALY Artist FirstSerole è il senso di concretezza che i Tropea hanno voluto dare a un lungo percorso di registrazioni e creazione, iniziato anni fa in un casolare sperduto nelle Langhe, proprio a Serole, un altro luogo dell’anima della band e meta di “ritiri spirituali” periodici, in cui hanno trovato un riparo dal mondo esterno, che gli ha permesso di concepire le dieci tracce contenute nel disco.

Serole è una intuizione che parte nel 2017 e dunque c’è un viaggio lungo ormai sette anni: vi chiedo come avete ragionato sulla scelta dei brani e poi visto il lungo viaggio in cosa si ritrova l’urgenza espressiva?
Facciamo due discorsi paralleli. L’idea del disco c’è dall’inizio come fantasia. La prima release realizzata in maniera artigianale da un amico combacia col caricamento delle prime cose su Spotify. Non pensiamo all’aspetto pratico della discografia ma pensiamo al nostro essere e ai concerti. Poi ci siamo strutturati con persone che ci hanno chiesto di rilasciare musica e un singolo e dopo un altro singolo…così siamo arrivati a Serole, la prima operazione discografica partita da noi. Contiene canzoni scritte per urgenza non per la pubblicazione. L’urgenza non è nelle canzoni, ma è nostra, espressiva e artistica, legata allo stimolo di pubblicare canzoni anche vecchie perché se no non avrebbero trovato modo di esistere. Non ci siamo snaturati.

La cover dell’album rappresenta un gruppo di ventenni che sale la collina della vita ognuno col suo ritmo: Serole ha uniformato l’andatura o restano gli andamenti differenti?
Non è uniformato l’andamento ma c’è un rispetto religioso per quello che sono i brani. Raffigura un primo gennaio immortalato da Giovanni Pagani: è una cover coerente con le registrazioni, le idee e quello che è successo.

“Penso che non penso ma poi penso che ti amerei”: già Giorgio Gaber nel 1994 cantava E Pensare che c’era il pensiero. Voi usate il verbo tre volte in un verso. In amore bisogna pensare prima di amare o bisogna amare senza pensare e quel che sarà…sarà?
Abbiamo superato Giorgo Gaber e già è importante. Pensiero e amore non si toccano se non nella filosofia. Viva la vocazione. Per quanto ti sforzi di mettere il pensiero davanti all’amore, provare a reprimere certi istinti e pulsioni non funziona, vince l’istinto.

Tu Credi Che sembra raccontare lo spaesamento non solo di una generazione bensì di un’epoca: “Senza nemmeno un cenno che tradisca un esitare un minimo tentennamento”. La regola oggi è se non puoi convincere confondi oppure crederci sempre anche se hai un amico che ti mente sempre?
E’ un featuring con Marco Castello. Per noi significa crederci sempre, l’amico che ti crede vuole il tuo bene. L’importante è avere tanti amici, sia chi mente sia chi ti mette in faccia la verità. Confondere? Dipende dalla situazione e dall’indole.

L’inizio di Discoteca e il suo “no non voglio proprio fare niente” mi ha ricordato Il Mestiere di Vivere di Cesare Pavese, scritto nel periodo del confino con frasi veloci e incisive: nel vostro brano, come nel suo diario, trovo la difficoltà di coniugare la chiarezza della vita con la paura di affrontarla. Il carattere evocativo del vostro brano può superare il dubbio?
Nasce seguendo l’istinto almeno la parte testuale, quella musicale è improvvisazione. E’ una intersezione tra ispirazione, momento ed errore. Ci fa piacere il ponte con Cesare Pavese, ma noi abbiamo seguito l’istinto e poi lo abbiamo accolto, mai abbiamo cambiato la versione improvvisata iniziale.

Se è vero che a farsi i ca**i propri si campa cent’anni, voi che raccontate storie vere e quindi non ve li fate avete messo in conto di morire a 99?
Pure prima. Non ci ispira il futuro che arriva dal mondo e che fa parte della nostra generazione. L’ironizzare è figlio di questa situazione. Chi muore dopo muore davvero…dovrebbe essere una citazione di Eduardo De Filippo. Spaventa sopravvivere alla morte degli altri. L’esistenza deve essere felice così se finisse presto ce la siamo goduta.

Perché la depressione che raccontate in Sick è in inglese?
Il linguaggio dei meme è permeato di ironia nera sulla depressione. Anche qui buona la prima: Sick nasce nel primo mese del lockdown in una atmosfera tetra e orribile, permeata di morte e tristezza. E’ venuta fuori così, la lingua inglese si ricollega alla mimetica ironizzante della nostra generazione. Non vogliamo escludere l’ascoltatore anche se l’inglese crea una barriera linguistica e dissimula.

E perché il finale di All My Life, dopo avere seguito il movimento naturale e vitale del sole, diventa un nascondersi da se stessi? E se individualmente non avete trovato il vostro posto nel mondo, collettivamente avete trovato quello nella musica?
Tutto il testo vuole essere un po’ ermetico, sul finale cala. E’ un brano del 2016 e già c’erano quelle sensazioni. Cerchiamo il sole, quello che ci piace, le passioni ma rimane l’incertezza: ci porterà da qualche parte? Non lo sappiamo. C’è quasi la paura di affrontare il buio che abbiamo dentro. E’ integrato nello strumentale delle interviste che si ascoltano. C’è il dualismo tra Paolo, titolare del bar Picchio che da giovane prese lezioni di musica perché aveva perso il bar, e poi cantiamo la nostra vita un po’ sciupata in dinamiche che il bar Picchio ci ha creato passando tanto tempo lì.

Ribellione mi sembra una versione ermetica di Incontro di Francesco Guccini: i due anni in più dei protagonisti sono struggimento e melanconia o accettazione e fatalismo? Perché anche in Parole c’è il concetto del ritrovarsi e non ci sono parole né per te né per me. Spesso ho la sensazione che protagonista vera della vostra musica sia l’assenza. O l’assente.
Vogliamo porre attenzione sulle sonorità di come le parole suonano, molliamo il guinzaglio dell’autore. Il tema parte dall’accettazione: il tempo passa e io non posso invecchiare cercando di stargli dietro. Queste persone si accettano per quello che sono. E’ una assenza che viene riempita. In Parole il ritornello nasce in maniera più edonistica, cercando una frase che suonasse bene. E’ quello che è.

Proponimento per il 2024: basta nodi in fondo alla gola anche se sono per suonare sempre.
Ce li benediciamo i nodi perché li grattiamo via cantando con la speranza che ci portino soddisfazione e concerti. Fanno bene, la musica è una catarsi ma a volte bisogna liberarsene per la salute.

Cosa potete anticiparmi dei live e di quello che avverrà nella vostra vita in questo incipit di 2024.
Rispondiamo con una sola parola: concerti. Vogliamo unire con i fatti la musica. Sarebbe sminuente creare altra musica ora.

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