Motta: "Con la musica ho fatto cadere le mie convinzioni, ora mi sento libero"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Motta

Oltre se stesso con una nuova consapevolezza. Esce venerdì 27 (e lo stesso giorno da Livorno debutta il tour) il nuovo album dell'artista toscano La Musica è Finita. L'INTERVISTA

Con La Musica è Finita sposta la lente dell’osservatore da se stesso agli altri, aprendosi per la prima volta a collaborazioni inedite. Per superare le proprie convinzioni e sperimentare, Motta ha deciso per l’occasione di chiamare amici e colleghi come Willie Peyote, Giovanni Truppi, Jeremiah Fraites e GinevraLa musica è finita è un disco diretto, sfacciato e potente, nato da una forte fase creativa e di contaminazione, arricchita dalla partecipazione anche di musicisti di spessore. Al via venerdì 27 da Livorno il tour.

Francesco, partiamo dalla storia di La Musica è Finita che hai definito una ripartenza: come è nato? Per altro è un concetto quasi in opposizione al titolo e al fatto che è un disco con moltissima musica.
La contraddizione è un gioco testuale che mi piace molto, è arrivare ai limiti. Per partire di nuovo ho dovuto mettere un punto a un periodo della mia vita artistica e non. Mi sentivo ingabbiato in certezze che poi hanno ceduto e si sono liberate in questo disco. Si discosta dagli altri tre, difficilmente nella mia vita sono stato in studio così tanto; ci sono anche due colonne sonore che ho realizzato.

La paura di riuscire ad amare delle anime perse è una figlia dei nostri tempi o c’è sempre stata?
Prima nel bene e nel male c’era più inerzia nei rapporti, ci si pensava di più anche prima di lasciarsi. Qui parlo di amare se stessi per amare un altro. Talvolta si fa di tutto per amare e poi non ci si riesce.

Per Non Pensarci Più sembra una presa di consapevolezza della forza di sé: nel senso che alla fine sei tu la favola che sta bene e non il mondo. Possiamo definirlo sano egoismo?
Lo è nella maniera in cui io mando a quel paese la musica che è come mandare a quel paese me stesso. È stato l’ultimo pezzo ed è stato pure liberatorio, parla di un elenco di certezze che ho lasciato andare e con un velo ironico. Può essere visto come il fatto di lasciarsi andare e capire che al quarto disco alcune cose sono parte di un percorso, c’è una accettazione nel bene e nel male.

Ti capita spesso di sentirti avulso dal mondo? Come il soldato giapponese che non sa che la guerra è finita?
Per la prima volta ci sono dei feat in un mio album e quella è una frase di Willie Peyote. Difendo quello che gli altri hanno scritto nonostante i loro modi di approcciarsi al testo più forti rispetto alle mie metafore. Tutti almeno una volta ci siamo sentiti fuori luogo. Con Willie abbiamo la sana presunzione di pensare che quello che facciamo sia importante, essere in studio insieme forse ha alleggerito l’idea. Ci chiediamo se restassimo gli ultimi a combattere, lo faremmo comunque o da soli ci arrenderemmo?

Chi è Alice che nella canzone fa finta di niente?
È mia sorella. Ho parlato con grande fatica della mia famiglia negli altri album, l’approccio più punk mi ha portato a indicare due nomi nei testi e uno è quello di mia sorella. Coinvolgere qui Giovanni Truppi è la conseguenza del fatto che anni fa ho suonato con lui come turnista. Lui conosce Alice e i miei genitori, mia madre lo ha ringraziato via mail. È un attore entrato in un film non facile con estrema delicatezza.

Nel primo verso la musica è quasi finita, poi è finita: cosa è successo nel tempo di una canzone per fare evaporare un quasi? E se il mondo stacca l’elettricità, il tuo mondo riesce a restare attaccato alla corrente con un senso e una filosofia?
Cosa è successo? Di solito succede di tutto in una canzone, qui c’è la fine del processo di ostentazione di restare per forza attaccato a convinzioni che poi cadono. Dovevo staccare il respiro e la musica per farle cadere che per me è morire per rinascere ma a metà canzone ci ballo su questo fuoco. La visione mi è venuta con il film Joker, quando lui scende le scalinate ballando: come credo molti altri spettatori, mi è successo di non giudico la pazzia ma la libertà, in quell’attimo lui è se stesso seppur nella pazzia e nella diversità.

Dove è oggi quella maledetta voglia di felicità?
Dare un nome e un senso alla felicità la fa scemare perché rincorrerla è come rincorrere una voglia e non la felicità.

Quello che ancora non c’è è un brano di intimità e di cambiamento ma non di accettazione: credi che oggi tendiamo più a idealizzare un persona che a prenderla per quello che è la sua natura?
Le canzoni servono per passare prima all’accettazione e poi alla sintesi. Alle mie domande in cerca di risposta ho provato a dare una soluzione con le canzoni, magari non ho risolto i problemi ma stavo meglio perché vedevo il problema da diverse prospettive.

Alla fine possiamo dire che sei pronto per la “fottuta maratona” che è la vita e la musica?
Assolutamente. Sono tanti anni che faccio concerti e vedo succedere cose intorno e dentro di me. Mai però è cambiata la curiosità di superare i limiti e cercare nuovi lidi musicali.

Venerdì 27 ottobre da Livorno parte il tour: cosa dobbiamo aspettarci?
Proporrò tante canzoni del disco nuovo, ci sono dei musicisti nuovi e cambiando le persone cambiano gli arrangiamenti. Anche se siamo sempre stati dediti a rigenerare le canzoni attraverso gli arrangiamenti. A volte questo processo ci ha fatto dimenticare come le canzoni sono nate, dunque abbiamo ripreso anche canzoni che non facevamo da tempo e ora sembrano nuove.

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