Paolo Cantù: “Rafforziamo le nostre radici per costruire un nuovo pubblico”

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

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Il direttore dei teatri di Reggio Emilia presenta una rassegna, giunta alla quindicesima edizione, che ha come claim "Algoritmo popolare" Tra gli ospiti Ginevra di Marco e il Gran Gala Punkettone che segna il ritorno dei CCCP. L'INTERVISTA

Dal 23 settembre al 19 novembre 2023 a Reggio Emilia torna il Festival Aperto:

concerti, performance, coreografie, workshop, incontri, mostre, spettacoli, proposti da Fondazione I Teatri con Reggio Parma Festival, per leggere il presente guardando al futuro. Questa 15esima edizione mette insieme due parole divergenti, molto diffuse, e anche molto abusate: “Algoritmo popolare”: parole che indicano due straordinari tesori di conoscenza a cui il teatro vuole attingere con 35 tra spettacoli e incontri, 45 repliche, 8 tra produzioni e coproduzioni, 8 tra prime assolute e prime italiane.

Paolo partiamo dal Festival Aperto: come è stato pensato e perché “Algoritmo popolare”?
E’ la nostra vetrina sul contemporaneo e sulle nuove tendenze in Italia e nel mondo soprattutto su danza e musica ma poi il panorama si amplia. L’idea è di un luogo aperto di sperimentazione, riflessione, dialogo e costruzione di nuove idee. Abbiamo giocato con le parole unendo due termini alternativi l’uno all’altro. Algoritmo è numero e statistiche ed è un elemento anche social mentre popolare lo abbiamo scelto perché legato al popolo, nasce dal basso e ha un anelito verso la libertà e la democrazia, spinge la speranza che i popoli possano incontrarsi e condividere. Se uniamo l’intelligenza di queste due parole potrebbe nascere una nuova energia, quella del popolare unita ai numeri.
So che ci sono due progetti che meritano un focus speciale.
Esatto. Sono i 50 anni del progetto Musica/Realtà, iniziativa musicale nata nel 1973, cui si unisce il progetto Circus Audienti per voci registrate, giornalista narrante, musicisti itineranti, ensemble, video ed elettronica di Fabio Cifariello Ciardi (Icarus vs. Muzak diretto da Dario Garegnani) che prende quell’esperienza come materiale (da archivi sonori e visivi), mettendola a reazione con materiali odierni (interviste, flash mob musicali nel centro cittadino), nell’intento di cogliere attraverso molteplici canali comunicativi lo spirito della città fra passato e presente; nata l’anno dopo, la mostra “Arnold Schoenberg” a cura della Biblioteca di Stato di Vienna, la più grande mai realizzata sul compositore, con 512 pezzi esposti. Si racconta che la mostra ebbe più visitatori a Reggio Emilia che non a Vienna, e non importa se sia vero o meno: resta la forza della musica e della cultura, quand’anche ritenuta “difficile”. A Schoenberg è dedicato il progetto Verklaerte Nacht di Viktoria Mullova e Matthew Barley, con il Mullova Ensemble.
Guardando il programma mi sembra che più che in passato sia forte l’incidenza multi etnica: è così? Quello del teatro resta un territorio senza muri?
Già lo scorso anno siamo partiti sul tema delle radici e la loro derivazione, cosa hanno costruito e prodotto per il futuro perché una radice non è qualcosa di sterile. Il nostro mondo, quello occidentale, ha bisogno di incontrare altre radici per nutrirsi. Il nostro modo di immaginare un mondo diverso è non nella militarizzazione ma nell’unione delle culture.
La sensazione è che ci sia un risveglio forte di interesse, che dopo il covid il pubblico abbia fame di libertà, cultura e leggerezza.
Quella paura è finita. Si sta tornando a buoni, anche ottimi livelli: il tema è lavorare per costruire un nuovo pubblico, noi ci apriamo agli altri. Vedo un pubblico più diverso, a volte meno preparato ma curioso perché la riconosce come esperienza diversa ed extra-ordinaria. Poi ci sono tanti progetti si interrogano e interrogano.
L’opening e uno spettacolo al femminile e di sorellanza, She/هي/Elle/Lei di Ginevra Di Marco con Almar’a Orchestra delle donne arabe e del Mediterraneo e Orchestra di Piazza Vittorio: è la risposta del tuo teatro alla drammatica cronaca quotidiana?
L’abbiamo pensata con l’idea che chi fa questo mestiere ha l’obbligo di affrontare e confrontarsi con questi temi trasfigurandoli in forma d’arte. Parliamo di femminile, di donne, di temi che ci stanno a cuore. Oggi siamo sovrastati dalla comunicazione e dall’immagine ma non si approfondisce.
Una caratteristica del Festival Aperto è che è un patrimonio della città: è difficile essere geograficamente fluidi?
Uscire dal teatro è sempre un po’ complesso ma se gli artisti sono predisposti pur non essendo semplice è arricchente. Devi farlo però con progetti, appunto, arricchenti e resta comunque un rischio, non sappiamo come verrà. Voglio incontrare chi sta fuori con un obiettivo, non devo uscire dal perimetro del teatro tanto per farlo.
Uni dei momenti più attesi è il Gran Gala Punkettone con i CCCP, che hanno per altro raddoppiato la data: una storia lunga 40 anni. Cosa è per te la nostalgia? Che rapporto hai con i ricordi?
Tendo a ricordare sul lavoro ma dimentico nel privato. Ci sono cose che tornano ma non ricordo molto. Da un lato ha una criticità perché mi infastidisce, dall’altro ha il pregio di non fare avere troppi rimpianti. Rispetto ai CCCP sono stato un fan come poi lo sono diventato dei CSI: mi ricordo giovane che andavo ai concerti. Non deve essere una operazione nostalgica, portiamo al Teatro Valli 40 anni di memoria e di vuoto, e volgiamo farlo attraverso un racconto che ha a che fare col presente.
Oggi un programma multi-artistico resta un atto di coraggio oppure e una società poco curiosa che lo rende un atto di coraggio?
Non lo considero un atto di coraggio, quello lo riservo ai medici di Emergency e di tante altre realtà simili. Non è scontato e diretto, ma mettere insieme mondi e linguaggi differenti ha l’obiettivo di andare incontro al pubblico. Lo diventa in un paese dove pochi vanno a teatro per carenze didattiche. Dobbiamo ricostruire un po’ da soli un mondo e Festival Aperto è una rassegna che esce dagli steccati e porta all’incontro di altri mondi.
Raccontami invece della stagione vera e propria: ho visto che nel cartellone della prosa sono diminuiti i classici e c’è un sensibile spostamento verso una programmazione più moderna. Cosa ti ha spinto in questa direzione?
La prosa punta su un teatro di regia, vogliamo lavorare con autori e registi che abbiano qualcosa da dire. Il contemporaneo è un tema…se il classico è il Macbettu di Alessandro Serra mi può interessare; poi cerco drammaturgie contemporanee sulle quali innescare delle riflessioni. L’intrattenimento c’è ma va fatto bene.
So che sei spesso all’estero per vedere nuovi spettacoli: c’è un paese, o un’area geografica; oggi particolarmente all’avanguardia?
Francia e Germania sono sempre forti, oggi provo curiosità per realtà periferiche quali il Portogallo, la Spagna o i Paesi dell’Est. Si incrociano sguardi diversi, quello di cui parlano mi incuriosisce a prescindere che mi piaccia o meno lo spettacolo.
Infine ti chiedo visto che siamo prossimo al centenario di Puccini, per la stagione 2024/2025 la stagione d’Opera andrà in quella direzione?
Lo terremo in considerazione e qualcosa succederà.

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