Beatrice Rana contro i pregiudizi sulla musica classica

Musica

Bruno Ployer

foto@Simon Fowler-Warner Classics

La pianista salentina, giovane e affermatissima, presenta la settima edizione del suo festival 'Classiche forme' e parla delle sfide che la musica classica deve affrontare.

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Un pubblico giovane da raggiungere e coinvolgere, un repertorio da ampliare e aggiornare, una serie di pregiudizi da spazzare via. Sono alcune delle sfide della musica classica nei nostri tempi, secondo Beatrice Rana, pianista di gran fama internazionale regolarmente in tour sui palcoscenici che contano.

I suoi occhi vispi ed espressivi sorridono quando, prima dell’intervista, parla dei suoi concerti londinesi appena conclusi. Ora la aspetta una serie di esibizioni negli Stati Uniti, in Canada, in Europa e poi a luglio la settima edizione del festival “Classiche forme”, da lei fondato e diretto a Lecce. Anche parlando di questa sua creatura affiorano emozione e trasporto.

In programma dal 17 al 23 Luglio ci sono tredici appuntamenti ambientati anche nei giardini pensili dell’Accademia di Belle Arti, alle Mura Urbiche cinquecentesche e a Palazzo Maresgallo, dimora storica nel cuore della città. Gli eventi quest’anno saranno estesi anche ad altri comuni del Salento, nella Basilica gotica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina e nello storico borgo di Casarano.

Beatrice Rana

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Beatrice, sei una musicista affermata a livello internazionale, però mi pare che tu tenga molto al legame con la tua terra, cioè Lecce.

Sono legatissima a Lecce, al Salento, ma poi in generale alla mia nazione, l’Italia. Il mio mestiere mi porta molto spesso all’estero e sono convinta che l’Italia abbia una bellezza e una forza difficili da trovare altrove. Mi piace pensare di poter restituire in qualche modo ciò che questo posto mi ha dato quando ero piccola, perché ho vissuto in Italia fino a quando ho avuto diciotto anni. Incontrare artisti di fama internazionale, conoscere musica che non ho mai ascoltato e portare tutto questo per una settimana a Lecce è per me un atto di restituzione dovuto.

 

L’ estate è anche la stagione dei festival. Cos’ha di speciale ‘Classiche forme’?

Ci sono artisti incredibili come il flautista Emmanuel Pahud, la soprano Rosa Feola, i violoncellisti Mario Brunello e Giovanni Sollima e poi tantissimi altri con un repertorio che spazia dal conosciutissimo Ottetto di Mendelssohn al rarissimo quartetto di Ligeti. In più, essendo io in primis giovane ho voluto giovani musicisti come il Marmen Quartet, che è uno dei quartetti più rampanti, ma anche giovanissimi delle accademie migliori d’Italia, come Santa Cecilia, Fiesole, Avos. Sul palcoscenico non ci sarà differenza di generazione.

 

La musica classica ha bisogno di contemporaneità?

Assolutamente, ma soprattutto ha bisogno di vita. La musica classica non parla di cose antiche, ma di emozioni, sentimenti e accadimenti di cui facciamo esperienza tutti i giorni. Metterla in un contesto diverso dai velluti rossi dei teatri è anche un esperimento per rendere tutti partecipi di questa esperienza.

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C’è bisogno anche di un rinnovamento del repertorio che si esegue nei concerti?

Si tende sempre a sottovalutare il pubblico, nel senso che gli organizzatori hanno giustamente paura di non riempire le sale e programmano i grandi capolavori che tutti conosciamo. Per esempio come pianista io eseguo spesso il primo concerto di Tchaikovsky. Credo invece che il pubblico sia meno prevenuto di quanto pensiamo e che sia sinceramente aperto al bello. Per questo motivo io uso ‘Classiche forme’ come laboratorio di esperienza del bello e in questi sei anni di festival ho capito che il pubblico non ha alcuna forma di pregiudizio.

 

Dal tuo punto di vista qual è oggi il pubblico della musica classica?

Credo che sia molto variegato e credo anche che i social abbiano aperto uno squarcio diverso. Purtroppo in Italia abbiamo grande carenza di educazione musicale nelle scuole: questo ha messo una grande barriera fra il palcoscenico e il grande pubblico. I social invece stanno aprendo questo nuovo modo di interagire anche con le persone che normalmente non avrebbero accesso alla musica classica. Credo ci sia voglia di scoprire il bello e io sto lavorando moltissimo per il rinnovamento del pubblico, perché è un dato di fatto che il nostro pubblico in Italia sia avanti con gli anni e io tengo ad avere un pubblico eterogeneo.

 

Trovo interessante ciò che hai detto a proposito dei social. Come possono intervenire nel percorso di avvicinamento tra grande pubblico e musica classica?

Facendo capire cos’è veramente la musica classica, che è vittima di tanti pregiudizi accumulatisi negli anni, come: 'La classica è per vecchi, è una musica distante dai nostri giorni, è una musica che non si capisce...'. Invece tutto ciò è frutto della stratificazione dei pregiudizi. Secondo me i social possono creare un legame diretto tra la musica e l’ascoltatore, dimostrando che non c’è niente di spaventoso nell’andare a sentire un concerto di classica e che anzi può essere un’esperienza delle più scioccanti nella vita, perchè può essere emozionante, commovente, può veramente aprire squarci di conoscenza.

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