Baraye, la canzone di protesta iraniana potrebbe vincere un Grammy

Musica

Manuel Santangelo

L’inno delle proteste in Iran potrebbe vincere nella nuova categoria “Best Song for social change”. Il testo del brano scritto dal venticinquenne Shervin Hajipour è composto da messaggi che gli iraniani hanno pubblicato online dopo l’inizio delle manifestazioni

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“Per ballare per le strade, per baciare i propri cari, per le donne, la vita, la libertà“. Se volete conoscere buona parte dei motivi per cui il popolo iraniano ha deciso di protestare, arrivando addirittura a mettere a rischio anche la propria vita, potete ascoltare Baraye. Il brano scritto da Shervin Hajipour in un paio di minuti abbondanti spiega perché la morte della giovane Mahsa Amini sia stata percepita da buona parte degli iraniani, soprattutto i più giovani, come la goccia che ha fatto traboccare il vaso e il segnale di un cambiamento da attuare in fretta. Un messaggio forte quello del pezzo che è particolarmente piaciuto anche all’estero, tanto da spingere 95.000 persone a richiedere la candidatura di Baraye ai prossimi Grammy Awards.

A causa di

Si fa fatica d’altronde a trovare un brano più adatto a concorrere come “Best Song for social change”, la nuova categoria che farà il proprio esordio nella prossima edizione del premio. Il titolo della canzone significa proprio “per” o “a causa di” in farsi e anticipa la struttura di tutta la canzone, in cui si ripete più volte “baraye” seguito da uno dei motivi che hanno spinto i manifestanti a scendere in piazza. Il venticinquenne Shervin Hajipour non ha inventato di sana pianta le ragioni della protesta, anzi. La sua canzone è nata mettendo assieme tutti i messaggi che gli iraniani hanno pubblicato online durante la protesta e che iniziano proprio con quella parola: “baraye”.

Proteste masha amini getty def

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Hajipour vuole restare

La canzone di Hajipour aveva raggiunto quasi 40 milioni di visualizzazioni solo sul profilo Instagram dell’artista, prima che quest’ultimo venisse arrestato nel nord del Paese e finisse per essere costretto a cancellare il post. Nessuna censura è però bastata a far diventare la canzone un vero e proprio inno delle manifestazioni, arrivando a far apparire il testo del pezzo anche sui muri. Ora il venticinquenne autore di Baraye è tornato in libertà su cauzione, nell’ attesa del processo in cui verrà accusato di aver fomentato disordini con la sua opera.

Nella sua prima apparizione dopo il rilascio Shervin Hajipour non ha comunque fatto alcun passo indietro. È infatti riapparso su Instagram garantendo in un video che lui vuole continuare a vivere in Iran e non ha intenzione di smettere di cantare. Soprattutto ha detto che non prende in considerazione l’idea di censurasi o di smettere di esternare ciò che pensa: “Se voglio dire qualcosa, o criticare, vorrei farlo qui”. Quale prezzo pagherà per la sua battaglia è difficile capirlo oggi, come è complicato in generale intuire cosa rischino davvero tutti coloro che protestano ormai ogni giorno in ogni parte dell’Iran, anche nelle zone tradizionalmente più conservatrici del Paese. Ciò che è certo è che queste persone stanno ricevendo supporto internazionale, anche attraverso la promozione della “colonna sonora” delle rivolte. Il CEO della Recording Academy Harvey Mason Jr. dopo l’arrivo delle oltre 90mila richieste, si è definito “onorato” per aver ricevuto un tale numero di segnalazioni per il nuovo premio, garantendo il supporto alle proteste da parte di tutta l’organizzazione dietro al Grammy: “L’Academy sostiene fermamente la libertà di espressione e l’arte creata per potenziare le comunità bisognose. Perché la musica serve il mondo e la Recording Academy esiste per servire la musica”, ha garantito Mason. Anche se alla fine non dovesse arrivare nessun riconoscimento, la miccia è stata accesa.

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