Quasi tre ore sul palco per l'artista romano accompagnato da una super band. Una notte di lacrime e consapevolezza con il pubblico tutto in piedi da subito. IL NOSTRO RACCONTO
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Totemico. Il viaggio di Alessandro Mannarino all’Arena di Verona inizia con un tempo sospeso, l’eco dei Tamburi e una vibrazione che ci porta in Africa. E giustamente come canta…lasciamo fare alla musica. Potente l’idea di decollare con il continente subsahariano ritmato alle percussioni da tre vestali che fanno fluire bellezza e vita. Le anse del Fiume Nero sono seducenti, quasi lascive, e fanno viaggiare e distruggono i muri che certa umanità vorrebbe costruire. Siamo alla seconda canzone e già la platea è in piedi, tra un sabba e una rave. Gli strumentali non sono solo musica bensì carezze che non fermano l’affogare in immensi occhi d’acqua. Apriti Cielo è il segnale forte che il mare non finisce all’orizzonte, che la vita è una e porta l’amore nella notte scura, come lo è quella dell’Arena. Alla fine arriva il sorriso liberatoria di Alessandro, arriva la consapevolezza che l’Arena è sua. La scaletta non ha cali, come un alchimista Mannarino prepara le sue pozioni che distribuisce come uno stregone. Cantaré è una preghiera laica di una potenza devastante, da sola brucia tutti i vangeli apocrifi, è il nuovo esperanto, è una lingua universale. Gli amori atomici e i letti malinconici de La Banca di New York portano un palco colorato da segmenti fluorescenti e si ha realmente la sensazione che il cuore possa scoppiare dalla felicità. Quanta commozione sul volto di Ale già dalle prime note di Marylou che è travolgente, non c’è una sola persona in Arena che riesca a non seguire le vibrazioni. Per il vino per le donne e per le botte ci porta nella beatitudine di Maddalena, dove anche Giuda ha una anima candida, resa tale dall’amore: una rilettura originale e nabokoviana di un’epopea sacra ed erotica. Si torna sulla terra con Fatte Bacià che è un panacea a tutti gli spigoli che la quotidianità ci mette di fronte. Lei è un talking che pone un dubbio esistenziale infinito…quanto cemento ci vuole per tenere insieme una vita? Le unghie nella schiena che fanno scendere il temporale è una immagine bellissima, un attimo fuggente di spleen contemporaneo. Il totem si illumina, l’esorcismo è compiuto ora possiamo scatenarci con Ballabylonia e con Serenata Lacrimosa che fa entrare in Arena lo spirito del rave.
Profumo delle origini con Tevere Grand Hotel. Ormai la festa è completa, sono saltati tutti gli schemi “tra le cosce del mondo spinti verso il fondo”. Con Scetate Vajò è nitida la sensazione che dopo questo concerto la musica mediterranea con le sue contaminazioni è entrata in una nuova età aurea. La deriva dell’Arca di Noè mi ricorda l’isola di Pietra di José Saramago, senza bussola e senza rotta lungo i mari dei migranti e dell’umanità. Vagabunda e Bandida fanno riprendere fiato ma non perdere la strada che ormai giunge al termine. Eccoci ai bis che sono concentrati sull’epico album d’esordio Bar della Rabbia, ma prima arriva Paura, un testo di motivazionale di una bellezza stordente nonostante quella lacrima sul cuscino. E vai di stornello con Bar della Rabbia, Statte Zitto e Me so ‘mbriacato: superfluo dire che l'Arena era una bolgia, tra tentativi di maldestri ma apprezzabili di pogo, coppie un po' stordite che si strusciavano, urletti striduli insopportabili e fuori nota che neanche al passaggio dei Beatles alla fine degli anni Sessanta e signori (presumibilmente) molto seri che perdevano l'aplomb nell'annusare, guardandosi intorno, quanto è bono l'odore della gonna. Il saluto, accompagnato dalle lacrime d'emozione di Mannarino e da una lunga coda strumentale...pazzesca...è con Vivere la Vita: Alessandro ci saluta ricordandoci esci di casa, sorridi, respira forte sei vivo, cretino! Insomma la rivoluzione parte da dentro di noi prima che da vuori. Questo concerto è una storia da raccontare. Da tramandare.
SCALETTA
Tamburi
Africa
Fiume Nero
Agua
Apriti Cielo
L’Imperio (Pachamama)
Cantaré
Banca de New York
Marylou
Maddalena
Fatte Bacià
Lei
Ballabylonia
Serenata Lacrimosa
Tevere Grand Hotel
Scetate Vajò
Arca di Noé
Vagabunda
Bandida
(Le Rane)
Paura
Bar della Rabbia
Statte Zitta
Me so ‘mbriacato
Vivere la Vita