L'album dell'artista ligure è un intenso e profondo excursus composto da undici brani. Ognuno è un soffio che racconta un’emozione diversa, ogni traccia è una piccola tessera di un mosaico complesso. L'INTERVISTA
Respiro è lo specchio delle anime di Maurizio Carucci, che negli scorsi mesi ha voluto
accompagnare l’ascoltatore in un percorso che ha portato alla vetta più alta del suo
carattere artistico: un album sincero, pronto a manifestarsi nella sua interezza.
Maurizio partiamo dalla storia dell’album: la pandemia lo ha condizionato, nel bene e nel male?
L’album nasce nella pandemia ma senza una volontà precisa, mai ho pensato di fare un mio album. Le mie canzoni vivono anche in album altrui oltre che in quelli degli Ex Otago. In questo momento tragico, complici fatti nefasti tra cui la perdita di un amico, una crisi identitaria mi ha fatto capire che la strada giusta fosse un disco, in modo da ritrovarmi. Da vent’anni vivo in gruppo, tra gli Ex Otago e il collettivo agricolo in montagna. C’è sempre stata una mediazione nella mia vita. Attraversavo una sensazione di smarrimento, non sapevo la forma che avessi e per non mandare tutto a ramengo ho chiuso gli ultimi due anni in un disco.
Perché non si dice più ti voglio bene ma neanche buongiorno e come stai, che citi in Silenzio?
Ci penso da anni e sono in difficoltà. Faccio meditazione per entrare in una profondità di presenza diversa. Metà Mattina, il brano che apre l'album, mi ha aiutato…ma non so i meccanismi che si innescano. Faccio fatico, non so se sia energia o odori. Sono un artigiano, una persona semplice, posso scrivere solo quello che vivo.
Il palloncino dei bambini non temi possa tramutarsi in quello di Pennywise?
Il bambino è idealizzato, è quello che corre in spiaggia col palloncino. Poveracci gli adolescenti di oggi che hanno fatto due anni di galera; io alla loro età pensavo ai motorini e a limonare.
Le tue giornate iniziano a metà mattina? E hai sempre l’ansia del lunedì mattina?
Assolutamente. Io inizio la mattina presto abitando in campagna. In estate alle 5.30 e in inverno verso le 8. Ho la fortuna di avere messo da parte le logiche della nostra società tipo lavorare per andare in pensione o l'attesa del weekend. Per me il lunedì è un giorno come gli altri.
In cosa crede oggi la tua religione: a quello che vede, che non vede o all’immaginazione?
A tutte e tre le cose. Non vivo solo di teorie che fluttuano nell’aria, non amo gli intellettuali puri, per me non sono un riferimento. Un idolo è Mario Rigoni Stern. Credo in ciò che immagino, è giusto dare fiducia a chi ha il coraggio di immaginare. Amo ciò che non vedo, non sono così sciocco che quello che si vede c’è e quello che non si vede non c’è. Sono annoiati dalla visione antropocentrica. E' importante il legame col concreto.
Come si fa a fare funzionare le parole tra di noi? Viviamo in un’epoca di incomprensioni?
Le incomprensioni senza attenzioni nascono facilmente. Per manie di onnipotenza e arroganza vogliamo sempre dare un nome a qualcosa, invece i nostro corpi sono più evoluti e le parole sovente rovinano. Cerco il silenzio e la meditazione, cerco il linguaggio non verbale.
L’unica cosa ancora palpabile di quegli anni Novanta è il cornetto Algida: ti piace sempre?
Lo mangio se non trovo qualche buon gelataio. Le pubblicità del cornetto hanno fatto sognare. Ora non fa più le pubblicità.
Ti capita di metterti in ascolto col viso rivolto verso l’altro? Cerchi risposte o conferme?
Mi capita. Cerco più conferme. Lì ho immaginato il ragazino di via Robino in balia degli eventi, ero esagitato, non sapevo dove stavano Nord e Sud e quando i miei mi hanno detto che si sarebbero separati ho sentito un richiamo, quello deI ragazzino che si ferma perché sente un richiamo da chissà dove. E' sciocco non ascoltarli.
Sei figlio o guerriero oppure è proprio vero che non importa sapere chi siamo?
Sono entrambi. Figlio senza dubbio, anche un guerrieto nella Marassi degli anni Novanta dove non trovavo una strada per il futuro: ero un guerriero per stare in equilibrio. Siamo alla ricerca di chi siamo e dobbiamo considerare che siamo elementi complessi. Non sarà mai una identità definita ma multipla. Può far stare male ma sempre controccorente rispetto a quello che la società vorrebbe.
L’idea che qualcuno non conosca Schillaci è un trauma generazionale? Nel senso che diamo per scontato che le nuove generazioni conoscano i nostri miti?
Lo ho amato alla follia, ci ha fatto sognare. Sono stufo di parlare di futuro, la mia è una provocazione che sottolineo anche dicendo credo nei ricordi. Il futuro fa guadagnare qualcuno ma ci distrae.
Il senso a questo tempo è lo stesso che cercava Vasco?
Il Vasco dei Novanta rimane in assoluto il più grande. Chiediamolo a lui.
Ti sei abituato a questa vita oppure vuoi tornare in via Robino perché solo il posto dove sei nato è per sempre?
Non mi sono abituato. Sono sempre immerso nella natura. Amo alla follia questa vita. Coltiva la diffidenza, la paura, alza muri e fa guera e io non voglio abituarmi a questa schifezza, voglio segnare dei tracciati e restare ai margini.
Sappiamo di cosa hai paura…ma di cosa non hai paura?
Non mi fa paura la complessità della vita. Me la sono sempre cavata.
Ora che il disco è uscito possiamo dire che le tue storie viaggiano sia a piedi che nel vento: quanto ne sei orgoglioso?
Sono orgoglioso ma anche inquieto, non sono mai contento, ho il cuore sotto sforzo a livelli inauditi. Intimamente sono sempre in subbuglio.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Un po' di date di presentazione ci sono poi partirà il tour perché ogni musica per essere goduta deve essere suonata dal vivo.