Emanuele Colandrea, presenta l'album "Belli Dritti sulla Schiena"

Musica

Fabrizio Basso

Credit Sara Martini

Nei dieci brani che compongono l’album si respirano diverse influenze, da quelle polverose legate al songwriting folk-rock statunitense quasi al confine col Messico, a quelle che sono maggiormente riferite alla tradizione autoriale italiana, con un equilibrio di suoni che rendono l’ascolto dell'album un viaggio suggestivo. L'INTERVISTA

È un album che non smetteresti mai di ascoltare Belli Dritti Sulla Schiena di Emanuele Colandrea. Le dieci canzoni che lo popolano sono state scritte in prima persona senza l’intenzione di essere autobiografiche. Ci sono dentro persone, pensieri e cicatrici indispensabili, sono in un certo senso canzoni promemoria, che ribadiscono la differenza tra tenere e a mente e non dimenticare.

Emanuele partiamo dalla storia dell’album: come è nato e come ci hai lavorato?
Nasce due anni fa, durante il primo lockdown. Avevo un po’ di pezzi pronti e ho deciso di uscire dal guscio e sperimentare un po’ di elettronica analogica, ho lavorato a distanza con Pier Cortese, erano tempi di cambiamento.
Tutte le strade portano a Roma ma non quelle di campagna: dove conducono?
Sempre a casa torno io. È l’unica via per fare questo mestiere costruito spesso più di selfie che di musica vera, bisogna valorizzare l’importanza della sostanza nel fare musica. Non è una verità assoluta, ma è la mia zona di confort.
La tua Turandot è quella dell’opera di Puccini o della fiaba teatrale di Carlo Gozzi?
È quella di Puccini. Mi sono documentato e quello è stato un amore funesto, ha generato danni, ma nonostante tutto resta un amore. Non ti aspettavi che sbocciasse ma lo ha fatto.
Certo che se i sentimenti li porti a “cavacecio” non li vedi: come la mettiamo?
Però ne senti il peso. È un modo di assumersi le responsabilità dei sentimenti, bisogna prendersene cura.
Oggi credere nel vizio di protestare non è rischioso?
Non lo so ma è doveroso farlo. È la prima arma che si ha per dissentire. Viene dallo stomaco la pulsione ed è collegata all’intolleranza dell’intolleranza.
Le risposte che cerchi le soffia il vento di Bob Dylan o di Pierangelo Bertoli? A chi è dedicata? Ha l’incedere della Ninna Nanna.
Hai colto, è una dedica a Dylan. La ho dedicata alla mia compagna ma si è sviluppata in una dedica a chi non riesce a fare le scelte e resta figlio del proprio orto e delle sue insicurezze. Nel periodo in cui la ho scritta lei stava cambiando lavoro, lasciava un posto fosso per una esperienza precaria: è stato il mio modo di augurarle buona fortuna.
Sappiamo cosa ne pensa Erika, la tua fidanzata, ma tu che pensi dell’America e del sogno americano?
Già esprimo il mio pensiero nel ritornello, nella velocità dei cibi surgelati…la penso come Erika!
Qua è sempre tutto uguale: hai bisogno di certezze nella quotidianità?
Sono cresciuto con il calcio, mi ha sempre appassionato, lo ho praticato dalla strada ma anche in modo serio. È un mondo che conosco bene quello dello spogliatoio. Parlo della modernità nella quale tutti si specchiano ma ha poca sostanza.
I muri tu li usavi per fare l’amore in piedi e oggi invece sono divisione: quanta tristezza ti mette?
Tanta. La ho scritto quando fu eletto presidente Trump e ha espresso la volontà di erigere un muro divisorio col Messico. Nasce da un senso di civiltà spropositato, sono partiti da Gerico per essere cittadino del modo e ora siamo pieni di muri.
Scrivi spesso canzoni sui treni e continui a bere abbastanza?
Bere ci ho un po’ mollato. Scrivo di più in auto, mi piace pensarle e poi mi affretto a fermarmi per appuntarle o registrare l'idea sul cellulare.
Chi è il Gabriele di Pane e Farina?
Un caro amico perso in un incidente. Abbiamo iniziato a suonare insieme, faceva il fornaio ed è morto recandosi al lavoro.
Se il filo conduttore è la differenza tra tenere a mente e non dimenticare…cosa ti resta oggi di quello che hai raccontato?
Mi resta proprio il racconto, Vivendo io di sveglie, appuntarmi le cose sulle canzoni è fondamentale, ricordare certe sfumature, come il profumo della cucina materna che fa tanto casa.
Hai già annunciato alcune date del tour: che altro accadrà nelle prossime settimane?
Stiamo cercando altre date. Avrei già pronto un altro disco, voglio continuare a suonare anche con progetti da musicista e produttore. Mi diverte fare parte di un gruppo anche se sul palco non porto solo il mio. Mi piace scrivere. Di base ci muoviamo in due, a volte in quattro con contrabbasso e violino. Il mio duo è con Erika che non nasce musicista ma ora condivide il palco con me.

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