Il disco rappresenta il punto di partenza, in perfetto equilibrio tra soul anglofono e l’urgenza espressiva dell’italiano, del giovane cantautore romano. L'INTERVISTA
Dopo il Qui e Ora sanremese (GUARDA LO SPECIALE FESTIVAL) per Yuman inizia il futuro. E il primo tassello è l'Ep Qui, un lavoro che ha trasformato in musica tutte le emozioni degli ultimi anni. Qui nasce dalla voglia di fare un tipo di musica che faccia star bene nel profondo. Trasmette un concept sonoro che trae linfa da tutto il mondo funk-soul. Anima e cuore sono gli ingredienti principali, gli strumenti acustici la spina dorsale dell'Ep.
Yuman partiamo dalla storia dell’Ep.
Non era ancora nato prima del Festival, mai avrei pensato di vincere la categoria Giovani e ritrovarmi in gara con i Big. Alcune canzoni già esistevano e le altre hanno completato un quadro realizzato con un concept sonoro funky-soul con sfaccettature molto diverse.
Il cantare in italiano e in inglese è per te forza espressiva o è anche guardare a un mercato estero?
Certo, guardo all’estero ma è anche una forza espressiva perché se una canzone è bella lo è in ogni lingua, basta farla bene.
Cosa rappresenta per te la parola speranza?
È tutto, è quello che ci anima. Fa bene serve sempre e motiva.
"Qualcuno mi aiuti a capire la mia famiglia"… ora è più chiaro?
Con quel verso intendo tutto il genere umano, siamo tutti parte di una grande famiglia ma non ci aiutiamo. Allora ti domandi che vuol dire famiglia.
La risposta?
È il cuore che ci metti.
Take a look at your wild sight: cosa vedi adesso in quella direzione?
Vedo tanta grinta e determinazione. Ci metto tutta l’energia del mondo. Va assecondato il lato selvaggio e lasciarsi andare.
Perché secondo te la black music tradotta in italiano trova pochi artisti che osano?
Non c’è stata in Italia la cultura e dunque sempre pochi hanno preso quella direzione.
In Now Confessed parli di un desiderio di appartenenza: a cosa? E cosa ti manca?
La ho scritta tre, quattro anni fa in un momento particolare, è nata come uno sfogo. Ci ho messo parole che non riuscivo a pronunciare. Le rileggo e poi mi faccio autoterapia. Mi lascia qualcosa in più.
Mille Notti a chi è indirizzata, c’è una profonda vena melanconica.
È indirizzata a mio padre, è una lettera d’amore. Non abbiamo un vero dialogo, un dialogo costante, ma con la canzone gli dico quello che non gli dico a voce.
Cosa ti resta del Festival?
Tante emozioni, la carica del palco, l’orchestra sotto che suona e ti riempie. E una grande emozione anche nel vedere tutte le stelle intorno a me. È stato un onore esserci.
In Italia c’è la pessima abitudine di categorizzare gli artisti per genere: non credi che potrebbe essere limitante per un artista versatile come te?
Odio le etichette, il confine è sempre più sottile. Mi dicono che io faccio Nu soul ma non è così, quello è un altro genere. La canzone se è bella lo è a prescindere dal genere.
Oggi gridi ancora più forte che stai bene?
Sempre.
Come dici in Ora e Qui siamo all’inizio del viaggio: le prossime tappe? Per altro manca poco alle date di Roma e Milano: come ti stai preparando, che concerto vedremo?
Sto facendo le prove con una grande band con coristi e archi, è una emozione, esce la nostra anima accompagnata da funky, ritmo e groove. Proporremo solo pezzi nostri, sarà esplosivo.
Quando hai iniziato a fare musica?
Mi è sempre piaciuto, suonavo la chitarra prima di cantare. Avevo il Canta Tu per giocare poi cantavo io le canzoni in auto quando non avevamo l’autoradio. Con gli anni ho cercato di fare sempre meglio.
Ricordi il primo brano fatto?
Eccome, una canzone terribile scritta alle medie con tre accordi rubati a un compagno di banco, poi sono venute sempre meglio, mi piace però pensare al passato.
Perché ascotare Qui?
È intenso e pieno di groove, non lo spieghi ma ti ci senti dentro, accoglie canzoni dirette che colpiscono e sono influenzate da tutti gli ascolti di una vita!